Tralasciando l’enorme lavoro scenografico e illuminotecnico dell’intera mostra e le scene tratte dai film sul fondo di ogni stanza (elementi che rendono la visita alla mostra un’esperienza a tutti gli effetti), soffermiamoci sulla stanza PARA BELLVM, e più in particolare sull’estetica contemporanea della guerra, nella mostra, tra le più mondane del momento, VITA DVLCIS al Palazzo delle Esposizioni.
Nel suo libro Interregno – Iconografie del XXI secolo, Mattia Salvia, nel capitolo Netflix & kill, pone l’attenzione su come si sia modificata, negli ultimi vent’anni, la nostra fruizione della guerra. Essa è stata sempre interessata dalla curiosità popolare, dall’estasi dei comandanti eroici che dopo la vittoria di una importante battaglia, passava di bocca in bocca in tutte le classi della società, attraverso l’orgoglio così come, in altri casi, la paura. Qualcosa si trasforma in modo estremamente critico, però, con le tecnologie che inaugurano la società di massa, implodendo, nel suo acme, durante la Prima Guerra del Golfo, in quel «predominio della visione sulla presenza» di cui parlava Jean Baudrillard. La guerra stava sempre di più acquisendo caratteristiche estetiche, non tanto attraverso i vecchi e nuovi archi trionfali a guerra terminata, ma le stava acquisendo nel suo farsi, nel divenire immagine quotidiana depotenziata, trasformata e tradotta dai vari soggetti presenti nel processo di creazione e trasmissione.
Trenta anni più tardi la fruizione della guerra è ancor più esasperata, come ci dimostra quella contemporanea in Ucraina, tra dirette YouTube come quella sulla pericolosa battaglia nella centrale nucleare di Zaporižžja, vista da più di 80.000 spettatori, canali Reddit che testimoniano giorno per giorno la guerra, al pari di come si farebbe con una serie televisiva a puntate, brendizzazioni (questa è la prima volta che è possibile comprare t-shirt, tazze, calamite e quant’altro che riguardano un fenomeno bellico contemporaneo, per dimostrare il proprio tifo, al pari di come si fa con le manifestazioni sportive) e ancora slogan, mitologie artificiali e contemporanee, guerre di meme sui social tra profili ufficiali di organizzazioni governative, eccetera, eccetera, eccetera. C’è anche, se vogliamo dirla tutta, una linea comica nell’immenso dramma bellico, così com’è tipico trovarla nelle serie tv contemporanee: numerosi video di buffi contadini ucraini che trovano mezzi militari abbandonati dai russi e li prendono trainandoli con i loro trattori.
La guerra si è fatta varietà, intrattenimento di massa per tutto il globo, e il «predominio della visione sulla presenza», con Internet, è diventato predominio dell’azione (personale, attraverso i mezzi tecnologici e le loro variegate notizie dal fronte che dicono sempre tutto ed il suo contrario contemporaneamente).
Se la guerra in Ucraina si stesse combattendo dagli eroi omerici, o magari dai grandi imperatori romani, l’impressione di fondo, la percezione velata, sarebbe un po’ come quella che troviamo nella sala PARA BELLVM della mostra di Francesco Vezzoli al Palazzo delle Esposizioni, intitolata VITA DVLCIS. Sia chiaro, non perché di colpo Vezzoli sia diventato un artista drammatico e cupo come solo la guerra può essere, ma, appunto, è la guerra che è diventata pop, assurdamente «divertente», appassionante, superficialmente drammatica, come una partita di calcio. Questo ad eccezione, certo, di chi la guerra la sta vivendo per davvero.
Questa similitudine ardita, provocatoria, grottesca, pone l’attenzione sul proverbiale rovescio della medaglia di ciò che abbiamo detto sopra, cioè la capacità di Vezzoli di rappresentare il tempo presente, in una profondità nascosta e celata da una sostanziale superficialità warholiana. Come il geniale artista di Pittsburgh, Vezzoli vetrinizza la Storia: se Warhol vetrinizzava il suo presente, nel galoppante sviluppo della società dei consumi e delle immagini, Vezzoli lo fa con il passato, immerso, come tutti noi, nella spirale postmoderna dell’indeterminatezza, anche temporale. Nel pastiche prevale il genius loci, Roma e il suo più grande impero del passato, e lo zeitgeist, il nostro, quello di una società sempre più analogicodigitale, disarmata e sola con se stessa eppure iperconnessa nell’infosfera.
Proprio questa capacità di cogliere lo spirito del tempo trasforma la sala PARA BELLVM in teorema della percezione bellica contemporanea, quasi a poter creare un collegamento tra le rovine, originali (le sculture dell’Antica Roma) o simulate (le opere di Vezzoli) con il loro opposto assoluto, le macerie (quelle dei palazzi sovietici sventrati dai missili).
Partiamo dal titolo della sala, che racchiude, potremmo dire, tutta l’ipocrisia bellica del passato come del presente: PARA BELLVM, parte finale della locuzione «Si vis pacem para bellum» dello scrittore latino Vegenzio, incitamento a garantirsi i giusti mezzi di difesa per assicurare al proprio Stato la pace, ma anche motto della Deutsche Waffen und Munitionsfabriken, che proprio «Parabellum» ha chiamato il suo più noto tipo di proiettile. «Preparare la guerra» per fare la guerra, soddisfare il bisogno virile di chi lo Stato lo comanda, di combattere, ma con il pretesto della pace.
Nella sala troviamo una sorta di triangolo, con al suo centro l’opera che ne crea il senso. Il triangolo è composto da due teste che si guardano, quelle del dio Marte e di Alessandro Magno, provenienti rispettivamente dalle Terme di Diocleziano e da Palazzo Massimo, da Para Bellum (Portrait of a Roman General) di Vezzoli, scultura in marmo rappresentate una contemporanea testa latina che indossa un casco da ciclista in bronzo, e dal torso dell’Imperatore Domiziano vestito da Ercole combattente, anch’esso proveniente dalle Terme di Diocleziano. Al centro troviamo due opere che si relazionano, una di Vezzoli: Achille!, rappresentante il busto del semidio protagonista dell’Iliade, con il volto variopinto da un fiorellino pop, e l’altra di origine romana, i resti del gruppo scultoreo di Achille e Pentesilea (sempre proveniente dalle Terme di Diocleziano).
Se l’Achille di Vezzoli è magnifico e trionfale, estetizzazione pura della guerra, nell’allegoria dell’eroe bello e fiero che porta con sé valori positivi e giusti, con quel fiorellino delicato a rappresentare forse la sua presunta omosessualità, sicuramente a nasconderne la violenza, il sangue e la morte, i resti della scultura romana sotto ad esso, proprio in quanto rovine di un concetto (originariamente magnifico e trionfale come l’opera di Vezzoli) ne mostrano le turpi profondità immorali, eliminano, cioè, la traduzione estetica del medium, ci fanno vedere oltre lo schermo bugiardo, mostrandoci, in una sorta di percezione irrazionale, la guerra vera. Nell’Iliade, Pentesilea era la regina delle Amazzoni, giunta, dopo la morte di Ettore, ad aiutare gli achei. Essa viene uccisa da Achille, che toltole l’elmo se ne innamora compiendo in quel momento un atto di necrofilia sul suo cadavere. Gli istinti più bassi dell’uomo, esacerbati dalla guerra, sono qui rappresentati concettualmente nei resti di una traduzione eroica del passato.
A seconda della propaganda bellica a cui ci affidiamo, l’Achille di Vezzoli, oggi, potrebbe essere Volodymyr Zelens’kyj o Vladimir Putin, curati in tutti i particolari, a favore delle telecamere mondiali, il gruppo di Achille e Pentesilea, tra il figurativo e il concettuale, con il suo senso nascosto sprigionato dal tempo e dalla distruzione della sua bellezza originaria, potrebbe essere invece una qualunque delle innumerevoli orrende azioni compiute dai due eserciti, nello svelamento di ciò che c’è dietro il carisma eroico e la presa di coscienza che in guerra non esistono buoni e cattivi, né tantomeno giusti, ma solo interessi contrapposti geopolitici ed economici.
Il culto della guerra e il culto del bello si sono sempre intrecciati nel corso della Storia, ma la loro fruizione contemporanea, raffreddata dalle nuove tecnologie e messa in scena, così come è raffreddata nella messa in scena della sala bellica di Vezzoli, ne compromette il senso, ne trasforma la dimensione e ne fa propaganda funzionale. Achille, eroe e necrofilo, non lo è mai contemporaneamente, anzi, possiamo dire che sia sempre eroe, basta trasformare la sua brama di sangue in maestria con la spada e l’evento di necrofilia nell’eroica vittoria, nella supremazia divina, sulla regina delle Amazzoni.
Vita Dulcis. Paura e desiderio nell’impero romano, Palazzo delle Esposizioni, Roma, 22.04 – 26.08.2023
immagini: (cover 1-3) Francesco Vezzoli, «Achille!», 2021 VITA DULCIS, Sala PARA BELLUM, ph: Daniele Molajoli (2) Francesco Vezzoli, «Para Bellum (Portrait of a Roman General)», 2023, VITA DULCIS, Sala PARA BELLUM