Ad Ischia, l’antica Torre Guevara si trasforma in un enorme dispositivo multi-mediale, grazie alle installazioni di Marisa Albanese e Roberto Marchese che danno luogo ad un intenso dialogo tra l’interno e l’esterno, tra introspezione ed esplorazione di paesaggi umani ed urbani.
Il progetto curato da Michela Casavola e patrocinato dal Comune di Ischia e dal Museo Madre, unisce due artisti differenti per formazione e generazione che si incontrano sul piano astratto della ricerca artistica, accordando linguaggi analogici e digitali per mettere in rilievo la caratteristica complessità socio-antropologica del presente. L’esposizione è l’origine, il punto in cui si incrociano due assi, due ricerche: una verticale, più intima, quella di Albanese e una orizzontale, spaziale, quella di Marchese. E’ il luogo in cui diventa tangibile la tensione tra il sé e l’altro da sé, tra l’uomo e la natura, un combinato disposto di pratiche artistiche fatto di ingombranti assenze e di fragorosi silenzi.
Marisa Albanese si interroga sul concetto di mobilità, toccando le dinamiche del viaggio inteso come moto fisico e mentale: disegna delle mappe ideali, i Diariogrammi, in cui si configurano i processi empatici, l’alternarsi di sensazioni e di energie con cui l’artista si confronta durante i suoi spostamenti. Si tratta di disegni «automatici» che danno forma ad una personale geografia del mondo, forme che si definiscono solo attraverso gli occhi di chi le osserva. Nelle opere di Albanese tutto è in movimento. Come afferma Achille Bonito Oliva: «Il panta rei di Eraclito trova accoglienza nella creazione, attraverso la citazione di un flusso che tutto accoglie e nulla respinge». Lo stesso getto creativo compone Hp/, un lavoro di stampe sul bordo di blocchi di carta che ricordano l’antica tecnica del fore-edge painting con cui si «nascondevano» preziose immagini nel taglio anteriore dei libri. Ma l’artista non occulta, piuttosto fa emergere dai fogli le figure simbolo della «mondializzazione», il fenomeno di trasformazione umana e sociale in cui identità nomadi si annullano e si perdono in territori indefiniti.
Il concetto di dinamismo viene ripreso nell’installazione interattiva Cosa ferma le altalene? in cui un magnete, posto sotto la seduta di cinque altalene in legno, come un pendolo foucaultiano, muovendosi sposta della polvere di ferro che segna infinite rotte e disegna imprevedibili figure in evoluzione, immagini di una società «liquida» in continuo divenire.
La costante tensione tra mobilità e stasi si palesa in Il Progetto, un lavoro in cui Albanese costruisce un ossimoro: una sedia capovolta su un tavolo, entrambi completamente dipinti di bianco, sembra segnare un tempo di pausa ed evocare la presenza umana, tra mucchi di fogli accartocciati, simboli di progetti e pensieri sfumati. Un momento di stallo che si contrappone all’ etimologia della parola stessa(dal latino pro-jectus: gettare in avanti) che conserva, invece, un concetto di movimento.
Ma lo spostamento perpetuo della società contemporanea, il «nuovo nomadismo», ci permette davvero di approdare a nuove consapevolezze, ad una maggiore conoscenza di sé e del mondo? Mare chiuso è l’installazione site-specific di Marisa Albanese che riflette sulle potenzialità umane di comprensione in cui il sale (simbolo di sapienza) riempie un’ intera stanza della Torre. Qui un braccio meccanico, un ideale prolungamento di sé, disegna ininterrottamente un cerchio impreciso, un perimetro labile che segna i confini con l’«altro», una linea incoerente determinata soltanto dalla volontà di ognuno.
Anche Roberto Marchese lavora sull’idea di confine analizzando l’evoluzione/involuzione dei panorami contemporanei. Ispirato dal Manifesto del terzo Paesaggio di Gilles Clément, si concentra su quei luoghi che si presentano come passaggi interstiziali, terre di frontiera tra spazi antropizzati e aree naturali allo stato brado, luoghi ibridi intrisi di grande potenziale culturale accomunati dall’inattività umana che si trasformano in «moderni scavi archeologici» dove oggetti in disuso diventano futuri «fossili antidiluviani».
Dross Archive è una serie di lavori, «residui», che si distribuiscono negli spazi dell’edificio rinascimentale: calchi in cemento di vecchi televisori, bilance meccaniche ed attrezzi superati sono le scorie del presente, nuovi reperti archeologici, simboli di una memoria collettiva frammentaria.
Terreni abbandonati, parcheggi, siti di stoccaggio, aree dismesse e zone disabitate di Napoli sono il «terzo paesaggio» di Marchese, il tema del ciclo fotografico New Yort, un viaggio onirico in zone in cui convivono naturale e artificiale, passato e presente. Tali scenari si concretizzano nell’installazione site specific che occupa una grande sala affrescata, un non-luogo, uno spazio indefinito che ricorda un cantiere, «aree in attesa di sviluppo». Il lavoro, composto da legno e lamiera, è una costruzione che disturba la prospettiva del visitatore e lo costringe a cercare un percorso alternativo, una deviazione fisica e mentale attivata dalla de-contestualizzazione dell’oggetto urbano.
Altrettanto straniante è, infine, l’ installazione ambientale in cui Marchese disloca uno dei suoi luoghi ambigui in una grossa scatola da imballaggi con tanto di avvertenza sulla fragilità del suo contenuto. E’ uno spazio «abitabile» in cui un video in stop motion presenta la persistenza ma anche il predominio della natura in un luogo segnato dall’uomo di cui si percepisce solo una presenza evanescente.
Marisa Albanese e Roberto Marchese. Combinato Disposto», a cura di Michela Casavola, Torre di Guevara, Ischia, 12.07-21.09.2014
immagini (cover) Marisa Albanese, COSA FERMA LE ALTALENE , 2011, particolare. photo by Francesca Rao (1) Marisa Albanese e Roberto Marchese, photoby Francesca Rao (2) Marisa Albanese, COSA FERMA LE ALTALENE, 2011, photo by Amedeo Benestante (3) Marisa Albanese, MARE CHIUSO, 2014, particolare, photo by Francesco Rao (4) Roberto Marchese, DROSS#5, 2014, photo by Amedeo Benestante.
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