Magia, illusione e scienza nella storia dell’immagine in movimento si ritrovano assieme. Esemplari di macchinari, documenti, filmati in bianco e nero appartenenti all’era pre-cinematica sono in mostra alla Whitechapel di Londra per un viaggio a ritroso nel tempo, addentro all’«archeologia del cinema»[1].
L’avvento dell’immagine in movimento si riconosce nei precedenti sviluppi della fotografia e, secoli addietro, delle lanterne magiche, nel Seicento entrati in uso come «occhi che illuminano l’invisibile» (Brunetta). «Nel riporre l’attenzione a questo momento di transizione – racconta la curatrice della mostra Gaia Tadone nel saggio in catalogo – sia in termini storici che in termini tecnici, la mostra tenta di articolare una traiettoria parallela che considera l’utilizzo della duplicazione come veicolo suggestivo per segnalare l’apparizione di un altro mondo, un mondo regolato dalle leggi dell’immaginazione, dell’illusione dei fenomeni paranormali»[2].
La storia di questo passaggio si sovrappone, poi, a quella del collezionismo che con questa mostra chiude un ciclo dedicato ai nuovi approcci al collezionismo in Inghilterra. Numerosi sono i materiali provenienti dalla collezione dei fratelli Barnes che dall’età di tredici anni hanno raccolto e conservato gli ephemera più vari, tutto ciò che ha ruotato attorno alle tecnologie dell’immagine in movimento e ai prodotti della sua diffusione. Quelli presentati in mostra sono conservati presso l’Hove Museum. Da questa collezione e dal Museo Nazionale del Cinema di Torino provengono anche le prime macchine da ripresa cinematografica dei primi del Novecento così come esemplari di lanterne magiche dell’’Ottocento utilizzate per le prime animazioni e presentate in occasione del progetto.
Twixt Two Worlds, titolo della mostra, si riferisce al libro omonimo con cui John S. Farmer raccontava la vita e il lavoro dell’illusionista inglese William Eglinton. Di lui sono esposti alcuni lavori che illustrano gli effetti della doppia esposizione e della sovrapposizione in fotografia, premessa fondamentale per i successivi esperienti filmici del pioniere George Albert Smith (1964-1959). Illusionistiche erano anche le prime lanterne magiche, stimolo dell’immaginazione, applicazione magica della logica del microscopio e del recente telescopio.
Nel Settecento, sotto il forte influsso del pensiero illuminista e superata la prima fase di fascinazione per l’ignoto, le lanterne magiche sono passate a strumento di divulgazione scientifica, prima di entrare nell’obsolescenza a cui saranno destinate tutte le tecnologie future una volta sostituite dal progresso del tempo.
Fissare un momento con un’esposizione più lunga era quanto avrebbe portato agli esperimenti fotografici di Muybridge per studiare il movimento nel tempo in sequenze che negli sviluppi successivi sarebbero approdati alle prime sequenze cinematografiche. «Il cinématographe – ci spiega anche Brunetta in un saggio che ripercorre la storia dell’immagine e del suo incontro con la luce dalla camera oscura di Leonardo ai fratelli Lumière – si inserisce in una catena ben ordinata di invenzioni visive che si sono succedute con ritmo crescente dalle scoperte di Niepce e Daguerre lungo tutta la seconda metà dell’Ottocento»[3]. Lo dice il fatto stesso che i fratelli Lumière, consapevoli di essere nella fase terminale di un percorso in atto, hanno nominato i loro primi esperimenti come photographies animée indicandoli quindi come valore aggiunto della vera scoperta straordinaria che è stata la fotografia.
Una serie di film pre-cinematici, come quelli del già citato George Albert Smith (1864-1959) e dei pionieri della scuola di Brighton, come James Williamson (1856-1933). Robert W. Paul (1869-1943) e William Friese-Greene (1855-1921) sono visibili attraverso tecnologie moderne. Questioni relative alla conservazione di questi lavori crescono proporzionalmente all’evolversi della tecnologia e dei supporti. Importante quindi è conservare quanta più documentazione possibile e renderla visibile per restituire continuità storica alla contemporaneità riscoprendone le sue radici nel passato quando le tecnologie oggi obsolete erano allora una novità di assoluto progresso. In mostra anche artisti contemporanei, come Douglas Gordon (1966), Saskia Olde Wolbers (1971), Steven Pippin (1960) e Susan Hiller che nei loro lavori hanno inglobato alcuni aspetti dell’archeologica cinematica e considerandone il suo linguaggio iconico.
Twixt Two Worlds, curated by Gaia Tedone, Contemporary Art Society, Whitechapel Gallery , 10.06– 31.08. 2014, touring at : Towner, Eastbourne 11 Oct 2014 – Jan 2015
[1] Laurent Mannoni, The Great Art of Light and Shadow: Archeology of the Cinema, Exeter, University of Exeter Press, England, 2000
[2] Gaia Tadone in The Best is not too Good for You. New Approaches to Public Collections in England, Contemporary Art Society, Whitechapel Gallery, 2014-08-02
[3] Gian Piero Brunetta, Il viaggio dell’icononauta. Dalla camera oscura di Leonardo alla luce dei Lumière, Marsilio Editori, Venezia 1997
immagini
(cover ) Susan Hiller, The Fight, 2007, photo-etching and aquatint on copperplate with Hahnemühle, etching paper, commissioned by Matt’s Gallery for E3 4RR Print Portfolio, image courtesy of the artist and Matt’s Gallery, London (1) Étienne-Jules Marey, Photographic magic lantern slide, 1877-1887, Muybridge Collection, Kingston Museum, London, image courtesy of Kingston Museum and Heritage Service, Royal Borough of Kingston upon Thames (2) James Williamson, The Big Swallow, 1901, Film still. Image courtesy of BFI Stills, press Images 2014 (3) William Friese-Greene, Self-Portrait, c. 1890. Silver gelatin print – © Daily Herald Archive/National Media Museum/Science & Society Picture Library