Quale miglior momento, se non l’estate, per recuperare, o per rileggere, un tascabile tanto breve quanto disperato sulla realtà che stiamo abitando?
Mark Fisher, indiscussamente tra i più fini intellettuali inglesi a cavallo del nuovo millennio, confeziona un libro di facilissima lettura sulla confusa realtà contemporanea basata sull’instabilità e sulla monolitica condizione del capitalismo globale, lo fa nel bel mezzo della crisi finanziaria del 2007-2008 e circa dieci anni prima del suo suicidio.
Un po’ come nella psicologia, comprendere il problema, accettarlo, è parte fondamentale della cura, allora accettare le nefandezze capitaliste, comprendere la totale assenza di alternative ed accogliere la nostra condizione esistenziale, che non è causata da noi ma dalle conseguenze sociali e politiche in cui siamo immersi, non può che essere un ottimo punto di partenza per comprendersi e rinascere.
Un ritratto sublime della miseria ideologica del XXI secolo fatto a colpi di pop culture, un manifesto sulla condizione sociale e psicologica di tutti gli abitanti della Terra, ma in particolare dei tanto bistrattati Millennials occidentali, quelli che più di tutti hanno pagato le spese di certe evoluzioni degli anni Ottanta, uno specchio profetico sul reale che abbandona le burlonesche teorie postmoderne, un vortice emotivo che porta al riso amaro.
“È più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo” dice Fischer. Provateci, è indubbiamente così. Con un titolo del primo capitolo così semplice eppure così illuminante, come non vi può venir voglia di farvi trivellare emotivamente da questo saggio all’apparenza così formale e freddo?
Mark Fisher, Realismo Capitalista, Nero edizioni (traduzione Valerio Mattioli), 2018 (tit. orig.
Capitalist Realism. Is There no Alternative?, Zero Books, 2009