Le curatrici e gli artisti di Resurface[1] entrano negli ambienti e si muovono tra le collezioni stratificate di quello che un tempo era il Museo Luigi Pigorini, con l’obiettivo di far emergere il «rimosso» coloniale lì sedimentato, ma più in generale presente e non elaborato nella cultura italiana.
Fra i molti progetti in mostra e fra quelli che verranno presentati direttamente dagli autori nei giorni dell’esposizione[2], mi hanno particolarmente colpito Un’altra storia, l’installazione fotografica di Luca Capuano e Camilla Casadei Maldini; e Ricollezioni, di Leone Contini.
Quest’ultimo – già noto al pubblico romano per la partecipazione all’ultima Quadriennale d’arte, nella sezione curata da Matteo Lucchetti, De Rerum Rurale (2016) – torna ad operare all’interno delle collezioni del Museo coloniale[3] oggi parzialmente ricoverate nei depositi del Museo delle Culture. Contini, antropologo e artista, mette in scena una visita guidata a uno di questi depositi selezionando, visivamente, i materiali da illustrare ai presenti negli ambienti volutamente bui, tramite una torcia elettrica. I reperti spiegati dall’artista come in una visita guidata notturna sono per lo più connessi all’essere vivente: le raccolte coloniali di semi, conservate in ottime condizioni e quindi ancora vitali, sono l’occasione per sottolineare la paradossale assimilazione di alcune di queste specie vegetali nel patrimonio agroalimentare «tipico» di alcune regioni d’Italia. Oppure la pelle di un ghepardo africano, posta accanto a raffinate scarpe da donna ottenute lavorando una materia prima simile; o, ancora, i calchi dei volti delle popolazioni locali raccolti dal tristemente celebre Livio Cipriani, l’antropologo firmatario del manifesto della razza (1938).
Oggi, tali oggetti, difficilmente potrebbero essere esposti nelle sale di un museo o in una mostra temporanea: solo un lungo e complesso lavoro di risignificazione collettiva, infatti, eviterebbe che un atto del genere – la fuoriuscita dai depositi – equivalesse implicitamente alla loro consacrazione culturale dentro l’istituzione museale.
Meno noti al pubblico romano, invece, sono Luca Capuano e Camilla Casadei Maldini. Di formazione architetti e designer, essi riflettono, non a caso, proprio su alcuni raffinati esempi di modernismo stilistico che connotano prodotti ed edifici coloniali. Un’altra storia, infatti, usa prevalentemente il medium fotografico per «inquadrare» dettagli architettonici, raffinate collezioni editoriali, contesti urbani in disuso, e al contempo ne mette in discussione lo statuto semplicemente oggettuale attraverso alcuni accorgimenti visivi. Fotografie esposte dietro a vetri opachi o carte geografiche perfettamente ripiegate, tanto da sembrare intonse, sono quindi una chiara metafora dell’invisibilità e inaccessibilità dell’eredità storica del colonialismo italiano.
La scelta dei soggetti, con poche eccezioni, cade per lo più su prodotti di grande eleganza modernista, collocabili tra Asmara e Addis Abeba, o comunque in stretta relazione con la stagione coloniale che coinvolse, come è noto, anche brillanti paladini della modernità. Si tratta di un dato che riporta all’attenzione della storiografia da un lato il difficult heritage che non può essere semplicemente abbandonato al proprio destino di consunzione, e dall’altro un nuovo impegno civile, da intrecciare a quello scientifico-disciplinare, per cogliere il significato storico di tali manufatti, ben oltre, il loro valore formale.
note
[1] Resurface. Festival di sguardi postcoloniali, Roma 22 novembre-1° dicembre 2019, Museo delle Culture, a cura di Viviana Gravano, Giulia Grechi, Salvo Lombardo.
[2] In mostra anche le opere di Roberta Baldaro, Elena Bellantoni, Giovanni Ferrara, Muna Mussie; per le attività che coinvolgono questi e altri artisti cfr. http://www.contemporaneamenteroma.it/organizers/resurface-festival-di-sguardi-postcoloniali/ (utlimo accesso 23 novembre 2019).
[3] Cfr. L. Contini, The Scattered Colonial Body il diario (2016-17), prodotto per il progetto Traces, in “Roots-Routes”, n. 30, maggio-agosto 2019, dedicato a I non detti del museo, a cura di A.C. Cimoli, M.C. Chiaccheri, https://www.roots-routes.org/leone-contini/ (ultimo accesso 23 novembre 2019).
Resurface. Festival di sguardi post coloniali, a cura di Salvo Lombardo (coreografo della compagnia Chiasma) Viviana Gravano (storica dell’arte) e Giulia Grechi (antropologa visuale), entrambe di Routes Agency_cura of contemporary arts, 22.11 – 1.01.2019
immagini: (cover 1) Resurface. Festival di sguardi post coloniali, invito (2) Leone Contini, «Ricollezioni», al Resurface. Festival di sguardi post coloniali, Museo Pigorini, Roma, 22.11 – 1.12.2019(3) Luca Capuano e Camilla Casadei Maldini, «Un’altra storia», al Resurface. Festival di sguardi post coloniali, Museo Pigorini, Roma, 22.11 – 1.12.2019