Arshake ha il piacere di proporvi l’intervista della curatrice e studiosa Eva Kekou a Roy Ascott, artista e teorico, oggi presidente del Planetary Collegium, e DeTao Master of Arts Technoetic a Pechino. Roy Ascott è stato il primo ad applicare la cibernetica all’arte e a fondare, poi, il termine di telematic art per descrivere una delle possibilità di applicazione dei computer networks in ambito creativo. L’intervista di Eva Kekou è originariamente apparsa sul sito di 4 Humanities International nell’ottobre del 2013.
Eva Kekou: In tutte le biografie e gli articoli che ho letto su di lei, è stato definito come colui che «ha messo in collegamento la scienza cibernetica con elementi di Dada, Surrealismo, Fluxus e Pop Art.» Mi piacerebbe chiederle di commentare questa affermazione – io stessa ho trovato il suo lavoro e contributo troppo vasti per essere definiti con categorie.
Roy Ascott: Questa mi sembra una rivendicazione piuttosto stravagante! Certamente sia il costruttivismo, che la sfida lanciata da Duchamp, sono stati importanti per me. Ma lo stesso dicasi per questioni legate alla coscienza e alla natura della mente. Fin dall’inizio ho visto sistemi interattivi significativi, tanto socialmente quanto esteticamente.
EK: Lei è stato un artista e teorico che ha seguito da vicino i cambiamenti dei media da analogici a digitali. Questo la rende in grado di mappare l’impatto che la storia e il progresso della tecnologia hanno avuto sull’arte. Come percepisce l’evolversi dell’arte nel suo intrecciarsi con il progresso della tecnologia e della comunicazione?
RA: La risposta a questa domanda è contenuta in Behaviourist Art and the Cybernetic Vision, un mio testo pubblicato in due parti in Cybernetica, nel lontano 1964. Quando si considera l’arte nel suo aspetto comportamentale, e il processo precede il progetto, è inevitabile che in questo percorso la tecnologia abbia una sua collocazione. Non è stato difficile per me prevedere l’impatto della comunicazione informatica su ogni aspetto della nostra vita, e l’importanza centrale che la cibernetica ha avuto, tanto nell’evoluzione spirituale quanto in quella sociale. Tuttavia, la tecnologia si serve di metodologie sia tradizionali che moderne. In termini di coscienza (e questo è per noi l’ aspetto di primaria importanza), pratiche tradizionali psicoattive dovrebbero essere riesaminate fianco a fianco con le ricerche più avanzate della chimica della mente. Il futuro dell’arte risiederà in un contesto farmacologico.
EK: L’ «Arte telematica» riconosce importanza a chi partecipa e aiuta ad essere più coinvolti. Questo è anche, a mio avviso, il significato della media art: l’arte si concentra sul rapporto tra opera e spettatore. In che modo lei crede che il pubblico viva l’esperienza dell’arte telematica?
RA: Ci stiamo muovendo al di là dell’arte in molti modi, ma l’arte telematica è stata il precursore dell’attuale fascino per social media, giochi online, e world-building.
EK: Lei ha esposto i suoi lavori e tenuto conferenze in tutto il mondo. Credo che sia fantastico che ora trasmetta tutta questa sua conoscenza ed esperienza attraverso il Planetary Collegium , dando così un contributo alla ricerca da punti nodali dislocati nel mondo.
RA: Sì, questo è molto gratificante. Il Collegium permette ai propri candidati di ricercare e di teorizzare il proprio lavoro in un ambiente dialogico creativo. La mia nuova nomina a Maestro DeTao di Technoetic Art presso l’Accademia DeTao Masters di Shanghai mi dà ora l’opportunità di trattare arte, tecnologia e ricerca della coscienza in Cina.
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EK: Quali sono gli obiettivi del Planetary Collegium, in generale, e di I-Node in particolare? Si relaziona spesso con la comunità locale? Quanto è importante per la sua ricerca la cultura di ciascun paese?
RA: Il Collegium mira a produrre nuova conoscenza nel contesto delle arti, attraverso un’ indagine interdisciplinare e un discorso critico, con particolare riferimento alla ricerca technoetica e ai progressi della scienza e della tecnologia. Mira a riflettere le aspirazioni sociali, tecnologiche e spirituali di una società planetaria emergente, sostenendo al tempo stesso una consapevolezza critica delle forze retrograde e dei campi che inibiscono lo sviluppo sociale e culturale. Favorisce la combinazione dell’incontro individuale faccia a faccia con l’unità trans-culturale delle comunità telematiche, sviluppando così una rete di nodi di ricerca localizzati in punti strategici del pianeta, ognuno contraddistinto dal proprio ethos culturale. Il Collegium cerca risultati che implichino un nuovo linguaggio, sistemi, strutture e comportamenti, e intuizioni sulla natura della mente, la materia e l’identità umana.
EK: Quali sono stati i criteri sulla base dei quali ha scelto di creare un nuovo nodo nel sud-est Europa (I-Node)?
RA: innanzitutto, l’entusiasmo e l’energia intellettuale di Katerina Karoussos che ha favorito l’avvio del percorso artistico in questa direzione, così come il supporto del direttore dell’ICAC a Cefalonia. L’unità geografica e le specificità culturali della regione forniscono una ricca combinazione di visione e tradizione. La creazione di I-Node ha aperto le porte ad una grandiosa crescita regionale e alla cooperazione internazionale.
L’intervista con Roy Ascott di Eva Kekou è originariamente apparsa su sito di «4Humanities» il 19 ottobre 2013 ed è stata qui ripubblicata per gentile concessione del suo autore.
Immagini
(1 cover) Roy Ascott at he President’s Office Desk at Ontario College of Art! 1971, courtesy of the Estate of Roy Ascott. (2) Roy Ascott, from the series of the «Analogues», from the exhibition «Roy Ascott. The Analogues», ICA, London, photo courtesy Bill Eakin. (3) Roy Ascott, LPD3 – La Plissure du Texte 2/3, Selavy and Max have brought Roy Ascott’s ‘plastic transactions’ into the metaverse! photo via