(…) Alla fine della conversazione pensai che tra arte e società esiste un’oscillazione paragonabile a quella del volo. Esse sono come due particelle d’aria che si separano nel momento in cui incontrano il profilo dell’ala. Sebbene una particella vada più veloce dell’altra, creando una differenza nella pressione d’aria, le due si uniranno di nuovo all’altro lato dell’ala. La differenza di velocità delle particelle è ciò che rende possibile il volo ed è metaforicamente, l’argomento di questo libro (Cecilia Guida)
Con Spatial Practices Cecilia Guida, giovane critica e curatrice, scrive un libro che cattura l’interesse verso un tema specifico, quello dell’arte pubblica nell’epoca delle reti. La specificità dell’argomento si espande ad un contesto molto ampio, fortemente legato alla società, nel suo esprimersi attraverso lo spazio pubblico e nel corso della storia. Si accendono i riflettori sui processi di ibridazione tra arte, linguaggio e dinamiche sociali, nuove «metamorfosi dello spazio» accelerate dallo sviluppo delle comunicazioni, fin quando internet non ha materializzato nuove tipologie di spazio pubblico e nuove formule di privatizzazione.
Il libro si rivolge così alle Spatial Practices, ovvero «le pratiche non oggettuali ma esperienziali che, a partire dalla comune esigenza avvertita dagli artisti di uscire dai luoghi deputati, occupano gli spazi della vita e della comunicazione contemporanea, per sperimentare modalità estetiche diverse, con la partecipazione attiva di una comunità più vasta e spontanea». In questa tipologia di pratiche artistiche, dove l’inequivocabile legame tra arte e società è ancora più saldo ed esplicito, la tecnologia ha giocato un ruolo di primo piano. Questo è vero tanto nell’arte quanto nello stravolgimento dei parametri tra pubblico e privato, sin da quando la stampa si è sostituita al potere della piazza.
Il termine Spatial Practices accomuna e sostituisce definizioni in uso, quali public art, street art e net art, tutte pratiche, che, ciascuna in una diversa declinazione di partecipazione pubblica, si muovono nella direzione di coordinate «spazio-temporali» e vivono una dimensione sociale. L’accorpamento in un solo termine di generi spesso trattati separatamente l’uno dall’altro, è il primo di una serie di esercizi di apertura mentale che il libro propone, in un viaggio verso la riappropriazione del verso significato di alcune pratiche artistiche di oggi, e della loro giusta collocazione nella storia. Parlare di arte pubblica significa anche parlare della contemporaneità in senso generico e attuale, e in stretta relazione agli aspetti legati alla società, in tutte le sue sfaccettature.Guida ripercorre, con un metodo tanto divulgativo quanto puntualmente scientifico, le motivazioni che hanno materializzato l’arte nella forma di «pratiche sociali». Si risale così indietro nel tempo al dibattito politico protagonista del XVIII secolo intorno alla sfera pubblica nascente, e si trova un punto di riferimento nelle teorie su pubblico e privato che il filosofo tedesco Jürgen Habermas (1929) aveva delineato negli anni ’60, tenendo conto anche del ruolo dei media del momento (stampa e radio). Il suo schema si dimostra essere ancora attuale, se si tiene conto delle nuove variabili e della mutevolezza relazionale con cui queste si ricombinano tra loro. «Oggi – afferma Guida – il confine tra pubblico e privato non è più definito e ancor meno lo è quello tra pubblico e autore; inoltre al posto della sfera pubblica habermasiana esistono una pluralità di spazi di discussione, sia online che off-line, mentre le nozioni otto-novecentesche di individuo e di pubblico sono sostituite da una pluralità di modi di soggettivarsi della città post-moderna e da pubblic-i autori connessi della Rete».
Avere coscienza di cosa sia lo spazio, cosa sia il pubblico e cosa il privato è la premessa (fondamentale) per potersi avventurare nelle pratiche artistiche, risalendo agli antecedenti delle Spatial Practices, quindi alle serata futuriste, ai ready made di Duchamp, agli eventi Fluxus e situazionisti e proseguendo da qui con opere che prendono forma nelle pratiche sociali, particolarmente diffuse in Europa e negli Stati Uniti negli anni Novanta. Un’attenzione particolare è dedicata a Culture in Action, progetto iniziato a Chicago nel 1993 da Mary Jane Jacob, dove l’arte come azione sociale era intesa, essa stessa, come «piazza», piuttosto che come un oggetto scultoreo.
Questa visione aperta dalla funzione dell’opera pubblica come specchio sociale, rimbalza all’analisi delle trasformazioni strutturali della città, con l’avvento di Internet sempre più «frammentata e decentrata», sempre più sottoposta e sovrapposta alle griglie invisibili del network di cui è ormai parte. Tecnologia e media diventano essi stessi ambienti sociali; internet, vero e proprio territorio dove agire e creare, sovrastruttura che mette in collegamento il locale con il globale.
Con la sua ricostruzione storica e socio-politica, Guida disegna la continuità che, parlando di arte pubblica, esiste dalla funzione delle statue nelle piazze a quella sociale dell’arte nell’epoca delle reti, passando per il momento storico in cui la televisione si è sostituita alla funzione politica del monumento. Le interviste a Michelangelo Pistoletto e a Tommaso Tozzi, contenute nel libro, riflettono una scelta ben precisa. L’autrice si rivolge, infatti, all’esperienza di due pionieri di momenti storici diversi e diversamente significativi. Michelangelo Pistoletto porta avanti, dagli anni ’60, una sua visione di arte come strumento di utilità sociale, opera «dinamica» e «multi-autoriale» di cui Cittadellarte, inteso come luogo collettivo i n cui l’arte si fa impegno civile e sociale, ne è la più recente evoluzione. Tommaso Tozzi ha coltivato l’idea dell’arte come opera collettiva sfruttando, sin da tempi non sospetti, le potenzialità di internet. Il suo lavoro, oltre ai molti progetti hacker di cui in Italia è stato un pioniere, è riconosciuto nel suo Wikiartpedia opera-archivio online (oggi EDueda) nata nel 2004 come contenitore di cultura elettronica, ma anche nuova veste di opera collaborativa nata dal trasferimento di risorse tra i membri di una comunità che vive la Rete.
Con questa ricchezza di collegamenti, con questa apertura mentale, Spatial Practices diventa – esso stesso – una pratica artistica, dimostrandosi capace di indurre una «stimolazione di un pensiero critico o di un’azione per il cambiamento», ciò che l’autrice si era augurata a conclusione del suo scritto, come premessa per un nuovo inizio. L’operazione di Spatial Practices si trasforma, anche lei, in spazio, snodo e attualizzazione di relazioni e pratiche mentali «sintonizzato» con il nuovo modello tecnologico, in riferimento non tanto all’oggetto, quanto al modo di fare relazione.
Cecilia Guida, Spatial Practices. Funzione pubblica e politica dell’arte nella società delle reti, Franco Angeli Editore, collana Emoticon, serie diretta da Alberto Abruzzese, 200 pp., Prefazione di Alberto Abruzzese. Con un’intervista a Michelangelo Pistoletto e una a Tommaso Tozzi
immagini (cover e 1) Antoni Muntadas, The File Room, 1994, Chicago Cultural Center, Chicago. United States, ©Muntadas / Randolp Street Gallery (2) Hans Haacke, MoMA-Poll, 1970, © Hans Haacke / VG Bild-Kunst. Courtesy Hans Haacke and Paula Cooper Gallery, New York. (3) Mark Dion, Lagoon, project of Culture in Action by Mary Jane Jacob. (4) Adesivo promozionale dell’Hacker Art con scritta subliminale «Rebel!». Tommaso Tozzi, 1989