White Polka Dot è il progetto site-specific realizzato dall’artista coreana Jaye Rhee per il banner di Arshake in cui estendere la sua curiosità e ricerca sul rapporto tra realtà e finzione, sull’utilizzo concettuale dei materiali, dello spazio, del corpo, per la costruzione di «falsi reali», fino ad oggi esternati in video-installazioni, performance, fotografie e libri d’artista.
Polka Dot è il nome di un tessuto, particolarmente diffuso in Inghilterra alla fine del XIX secolo, che si riconosce nel pattern formato da una serie di cerchi ripetuti ad intervalli regolari, generalmente calcolati in relazione al loro diametro. Jaye Rhee lo ricostruisce in dimensioni ambientali e in un formato spaziale tridimensionale predisponendo una parete intera con dei fori realizzati ad intervalli regolari e poi coperti con dei palloncini gonfiati da altrettanti perfomers, operativi sul retro della parete. Filmato dall’artista, il pattern spaziale prosegue oltre lo schermo per ri-appiattirsi nella bi-dimensione del video, e diluirsi sul banner nella frammentazione temporale che l’editing video distribuisce in quattro tempi.
Jaye Rhee estende così la sua ricerca nel mondo liquido, lo adatta allo spazio, lo definisce e lo rende complice, proprio come in tutti i suoi precedenti lavori. In una ricerca dove lo slittamento degli oggetti è centrale per la formulazione di un nuovo linguaggio visivo che stuzzica le capacità percettive e cognitive, «nella complessa negoziazione» – come puntualizza Carol Becker ad apertura di un suo saggio introduttivo – «tra significante significato, tra il senso e l’artificio.» (C. Becker, Jaye Rhee. Imageless, Specter Press, 2010)
Nel lavoro di Jaye Rhee il corpo è sempre centrale. Nel suo Notes (2007) e il suo successivo The Flesh and The Book dove i performer erano diventati note che operavano su di un pentagramma fatto di elastici tesi nello spazio, questa centralità era chiara ed esplicita; in altri casi rimane visibile attraverso le tracce lasciate dagli oggetti messi in gioco, ma è altrettanto centrale.
In Cherry Blossoms, per esempio, il corpo e la sua fisicità erano tutti contenuti nelle gomme masticate e sputate dall’alto, e- dopo attenta manipolazione digitale – trasformate in una pioggia di petali rosa di fiori cari alla tradizione Orientale come simbolo di pace e di serenità. Nel suo libro d’artista che simula una scatola di zuccherini per contenere un libro fotografico dove gli zuccherini sono riprodotti in immagini che li riprendono predisposti per formare parole e frasi, l’intervento [fisico] dell’artista che ne organizza la scenografia è fondamentale.
In Polka Pot, i perfomers che gonfiano i palloncini sul retro della parete sono il respiro generativo che materializza il pattern nello spazio, prima che questo venga traslato nella dimensione liquida. Popolare per i vestiti di bambini, per i costumi da bagno, per la lingerie, o – più raramente – per vestiti formali, il Polka dot è, inoltre, un tessuto legato alla danza e spesso usato come costume per il ballo del Flamenco. Ecco che il corpo torna ancora, questa volta nel gioco linguistico (visivo-verbale) che lega il titolo al lavoro rafforzandone l’illusione percettiva e allargando il campo di relazioni tra significanti e significati, tutte da decifrare o da lasciar sonnecchiare nel backstage che apre il sipario sulla scena seduttrice di un «falso reale».
Jaye Rhee produce un lavoro che si pone tra ironia e pathos incorporando – simultaneamente – video, fotografia e performance. Nata a Seoul, in Sud Corea, Rhee si è trasferita negli Stati Uniti dove si è diplomata presso The the School of the Art Institute of Chicago (BFA, MFA). Da quel momento, i suoi progetti sono stati presentati in gallerie e istituzioni di tutto il mondo. Tra questi: Albright-Knox Art Gallery, Norton Museum of Art, Queens Museum, The Bronx Museum of the Arts, Mori Art Museum (Tokyo), Kobe Biennale 2007, The Seoul Museum of Modern Art, DOOSAN Art Center (Seoul), Gyeonggi Museum of Art (South Korea), e il Centro para os Assuntos da Arte e Arquitectura (Portogallo). Rhee ha anche partecipato alla residenza d’artista Skowhegan School of Painting and Sculpture nel Main (2009), al programma di workshop del Palais de Tokyo a Parigi (2009), Changdong, all’International Studio Program a Seoul (2008), all’Aljira Emerge Program presso Aljira Center for Contemporary Art, New Jersey (2008), all’Artist in Market Place Program presso il Bronx Museum (2005) e il Lower Manhattan Cultural Council’s Swing Space Program (2012). Tra i suoi riconoscimenti ricordiamo: The Yonkang (DOOSAN) Art Award 2011, Franklin Furnace Fund 2010, SeMA Young Artist Grant from Seoul Museum of Art 2010, Arts Council Korea Grant for Cultural Exchange (2010 e 2009), e Korea-America Foundation for the Arts Award 2008. Nel 2010 la Spector Press ha lanciato la monografia Imageless in occasione di una sua retrospettiva che ha tracciato l’evoluzione del suo lavoro nell’arco di un decennio, correlata di testi di critici di spicco quali: Carol Becker, Raul Zamudio, Sara Reisman e Edwin Ramoran. Precedentemente, il suo lavoro era stato menzionato da Carol Becker nel suo saggio: Intimate, Immediate, Spontaneous, Obvious: Educating the Unknowing Mind in «Buddha Mind in Contemporary Art», (University of California Press). Il suo lavoro è stato inoltre recensito da numerose riviste d’arte internazionali, quali: ARTnews, The New York Times, Palm Beach daily, Artslant, Artlyst, Art in Culture and Art Asia Pacific Magazine. Vive e lavora a New York.
immagini (cover 1 – 5) Jaye Rhee – White Polka Dot, special project Arshake’s Banner, 2015 (2) Jaye Rhee, The Flesh and the Book (3) Jaye Rhee, The Flesh and the Book, Still (4) Jaye Rhee, Cherry Blossoms, 2003, multi-channel video installation with sound, variable dimensions, courtesy the Artist.