«La verità è che non possiamo non vivere il nostro tempo. Ma questo non può significare rinuncia a un progetto critico; al contrario, vuol dire prendere posizione dalla parte di chi oggi lavora nella direzione di un approfondimento e di un rinnovamento, di un uso nuovo delle nozioni, appunto, di progetto e di razionalità»[1], con queste parole Filiberto Menna conclude la prefazione della seconda edizione di Profezia di una società estetica (1983). Il volume, edito per la prima volta nel 1968, propone una riflessione fondamentale intorno al rapporto tra arte e società: attraverso un’analisi della società dal Settecento all’epoca contemporanea, Menna afferma la necessità per l’arte di entrare nella realtà quotidiana, di essere dunque uno strumento in grado di «agire dentro (e sulla realtà) e non più come un contemplare un oggetto che sta fuori di noi»[2]. È con queste premesse che l’autore auspica la nascita – «l’immaginazione utopica»[3] – di una “nuova società estetica” contemporanea, capace, attraverso il lavoro dell’artista, di attuare quell’integrazione tra arte e vita che non si è potuta verificare nelle epoche passate. Per Menna un ulteriore motivo di riflessione sul rapporto tra l’artista e la città moderna è dato da Baudelaire e dai suoi Petits poèmes en prose – Le spleen de Paris, cui dedica un intero capitolo del libro: «vivere nel presente significava per Baudelaire […] entrar dentro la nuova realtà, prendere atto di una situazione profondamente mutata in cui l’orizzonte dell’esistenza quotidiana non è più dato dalla natura ma dalla città. E allora, se si vive nella città, in mezzo alla folla, non è più possibile conservare un atteggiamento di distacco contemplativo, prendersi una distanza privilegiata nei confronti dell’oggetto della rappresentazione, metterlo in posa, girargli intorno per restituirlo a tutto tondo»[4]. Quello che l’autore francese aveva compreso era appunto la necessità per l’artista moderno di vivere la realtà all’interno di essa, rappresentandone il presente con tutte le sue contraddizioni, in un gioco combinatorio che lo colloca tra l’esperienza della folla e una struttura urbana programmata.
È a partire da questa necessità che si inserisce il progetto Spleen. Tre opere per la Fondazione Filiberto e Bianca Menna, presentato il 4 maggio negli spazi dell’Ex Casa del Combattente di Salerno, sede della Fondazione. Partendo dalla volontà di riflettere sul ruolo che un’istituzione storica dell’arte contemporanea ha all’interno della città di Salerno[5], i due curatori, Gianpaolo Cacciottolo e Massimo Maiorino, affidano agli artisti invitati il compito di attuare quel rapporto arte-vita auspicato da Menna. Nella volontà di inserire silenziosamente l’opera d’arte nella “struttura programmata” della città, puntando nuovamente l’attenzione su un luogo, la Fondazione Filiberto e Bianca Menna, troppo spesso trascurato, il progetto si articola in tre installazioni site specific pensate o adattate per gli spazi della Fondazione. La prima, inaugurata il 4 maggio, è di Davide Sgambaro, artista padovano di base a Torino, dal titolo Hey there you, looking for a brighter season (W). Ripensata per lo spazio della torretta della Fondazione, si tratta di un’installazione ambientale luminosa, la seconda della serie, creata per dialogare con l’osservatore attraverso l’immaginario di appartenenza della luce strobo; queste ultime, allacciate a un recorder dmx, sono proiettate a intermittenza e riproducono in loop una traccia luminosa basata sul sistema binario del codice morse. Dedicata alla città di Salerno, simbolo come altre città del Sud Italia dell’inizio della liberazione dal Nazi-Fascismo, il messaggio proiettato recita V V V V (…- / …- / …- / …-), codice utilizzato da Radio Londra per trasmettere messaggi alla resistenza italiana, mentre la successione delle quattro V segue la metrica delle prime due battute della Sinfonia n. 5 di Beethoven; in seguito all’utilizzo del codice da parte della resistenza, il simbolo W fu utilizzato come simbolo della vittoria. Attraverso quest’intervento, visibile la sera, l’opera entra all’interno della piazza e della città, al cospetto dei passanti che inevitabilmente ne diventano parte integrante, diventando al tempo stesso un faro la cui luce, rivolta verso il mare, rappresenta simbolicamente un punto di riferimento a cui aggrapparsi in un momento storico contrassegnato da grandi derive. La stessa necessità per l’artista, e l’arte, di vivere nel presente e di raccontare la realtà quotidiana, ripensando al tempo stesso il ruolo della Fondazione Menna, è data dagli altri due progetti, Qui mi sento a casa di Marco Strappato e Hikikomori del collettivo damp, che si inaugureranno rispettivamente il 24 maggio e il 14 giugno.
Note
[1] F. Menna, Profezia di una società estetica, Officina Edizioni, Roma 1983, p. 27.
[2] Ibidem, p. 33.
[3] Ibidem, p. 132.
[4] Ibidem, p. 65.
[5] La Fondazione Filiberto e Bianca Menna nasce nel 1989 per volontà della famiglia Menna e dal 1994 è ospitata negli spazi attuali dell’Ex Casa del Combattente.
Spleen. Tre opere per la Fondazione Filiberto e Bianca Menna, a cura di Gianpaolo Cacciottolo e Massimo Maiorino
Fondazione Filiberto e Bianca Menna, Salerno, 04.05-30.06.2024
04.05: Inaugurazione Hey there you, looking for a brighter season (W) di Davide Sgambaro
24.05: Inaugurazione Here I Feel at Home di Marco Strappato
14.06: Inaugurazione Hikikomori del collettivo damp