Valentina Tanni, storica dell’arte e curatrice da sempre interessata al rapporto tra arte e nuove tecnologie, facendo particolare attenzione alla web culture, confeziona un libro strampalato e illuminante su diverse dinamiche del web che se da una parte allargano enormemente il concetto di “arte” dall’altro ne demoliscono le fondamenta nel celebre grado zero, spesso sfiorato durante tutto il XX secolo, alcune volte raggiunto in termini, oggi mai così vicino.
Nella quarta di copertina di questa seconda edizione del libro (che aggiunge anche qualche piccola riflessione in più rispetto alla prima edizione pubblicata nel 2020) nei diversi commenti che usualmente troviamo sui libri di Not (Nero Edizioni), sempre tra critica intellettuale e commento pop, troviamo una certa “Cima” che sulla piattaforma Goodreads commenta: “Miglior libro per segnarsi cose che poi non andrai mai a riguardare”. Nulla di più falso, nulla di più superficiale. Le dinamiche che Tanni analizza hanno una portata culturale enorme, ci mostrano e dimostrano come il potere diffusivo dell’arte, sempre parziale, sperimentato da tantissimi artisti, da quelli avanguardisti a quelli che si sono occupati – e si occupano – di arte relazionale e web art, abbia trovato la sua totalità nelle dinamiche sociali del web, con la scomparsa della figura dell’artista così come del senso dell’arte come pratica alta ed intellettuale.
Tra le pieghe di un libro estremamente pop e divertente, Tanni ci mostra quanto possa essere weird l’arte contemporanea, svelando estetiche estremamente coerenti con la storia dell’arte di troll, youtuber e instagrammer quasi mai coscienti della loro “produzione artistica”. Questa è la causa del più importante e coraggioso senso che il libro acquista, per chi vorrà vederlo: la scomparsa del velo di Maya, la presa di coscienza di come il sistema dell’arte, come una bestia impaurita in un bosco in fiamme, cerca di salvarsi con tutte le sue forze dall’obsolescenza, cerca di trattenere un potere inconsistente e sfasato continuando a pontificare su cosa sia o non sia arte, e in questo enorme flusso contemporaneo di artisti, pratiche ed opere, ne vengono scelte una manciata, con nulla di più e nulla di meno di tante altre, scelte di profitto e per conoscenza, strategie per perpetuare un potere traballante, basato su presunte qualità del dispositivo che a volte equivalgono esattamente a quelle di un meme o di una pratica social autogestita. Viene alla mente la teoria istituzionale dell’arte di George Dickie, constatazione deprimente di come l’arte non sia niente di più di ciò che ci viene presentato come tale.
Ma tutto questo nel libro non c’è. Ciò che colpisce, in esso, è invece un certo ottimismo di fondo, un’allegria inaspettata, il libro termina dicendo: “Non possiamo continuare a navigare sulla superficie e rigettare tutto il resto, perché il settembre eterno è la nostra nuova realtà”. Qualcosa mi dice, invece, che continueremo a considerare gli NFT più “artistici” dei meme sui social (anche quando gli NFT in questione sono esattamente dei meme), e quando vorranno farci percepire questi meme come artistici spesso sarà proprio per rafforzare ed allontanare la debole arte vera dalla dirompente arte falsa del nostro presente.
Valentina Tanni, Memestetica. Il settembre eterno dell’arte, Nero Edizioni, 2023 (prima pubblicazione: Memestetica. Il settembre eterno dell’arte, Nero Edizioni, 2020)