Scrivere non è descrivere è una mostra presentata negli spazi della Galleria Tiziana di Caro a Napoli, personale di Tomaso Binga (aka Bianca Pucciarelli Menna, Salerno, 1931) che stringe il campo su di un suo significativo gruppo di opere della prima metà degli anni Settanta: la serie di Scrittura vivente, di Dattilocodice e l’intera serie di dattiloscritti, parte della performance Ti scrivo solo di domenica. Questi lavori introducono ad una ricerca ardita che, dopo questo periodo, ha trovato il suo proseguimento nell’attraversamento di pittura, digitale, fotografia, performance, tutto improntato sulla centralità del linguaggio, sulle sue nuove valenze iconiche, sulla sua sonorità, sul suo prendere corpo in quello dell’artista. Lettere, parole (comprese quelle delle sue poesie) sono elette a vita propria, raggiungono lo spazio attraversando il corpo dell’artista che a questo le consegna in un gesto performativo
Da diverso tempo ho tra le mani un piccolo libro che mi ha conquistato e che aspettavo di recensire da tempo. Si tratta di Tomaso Binga. Scritture viventi, curato da Antonello Tolve e Stefania Zuliani per la casa editrice Plectica.
Ora, con la mostra alla Galleria Tiziana di Caro, si è presentata l’occasione non tanto per recensirlo quanto per coinvolgerlo indirettamente con le sue numerose voci di critici e professionisti che il lavoro di Tomaso Binga lo hanno seguito nel tempo e vissuto da vicino. Loro mi accompagneranno per dar voce alle opere storiche in mostra e introducendo, allo stesso tempo, questo racconto corale su di una artista che «ha fatto della trasformazione del canone il movente della sua indisciplinata ricerca, inquieta eppure sempre riconoscibile nel suo essere schierata, nel suo impegno a costruire il nuovo, nella convinzione che la sperimentazione non è una possibilità ma la natura stessa del gesto artistico»[1].
Il volume, oltre a saggi inediti, raccoglie infatti una ricca antologia critica con testi che hanno accompagnato alcune delle più importanti mostre dagli anni Settanta ad oggi[2]. Passo il microfono a loro in un’operazione di regia che comporta una scelta e che nel mio caso non si basa sull’ordine sequenziale dei testi. Può essere infatti ricomposta ogni volta diversamente da chi attraverserà la mostra portando con sé o in mente il piccolo volume.
La parola a Tomaso Binga che con il testo della sua nota autobiografica letta in occasione della Laurea Honoris Causa conferitagli dall’Accademia di Belle Arti di Macerata nel 2013, apre il libro e lo colora subito della sua ironia e musicalità:
«IO: Tomaso Binga, sono nata a Salerno nel secolo scorso, ma vivo e lavoro a Roma.
Attratta fin da bambina dalla letteratura (le mie poesie risalgono all’età di dieci anni), ho iniziato a lavorare nel campo artistico fin dai primi anni sessanta, ma sono uscita allo scoperto solo nel ’71, nel pieno del fervore femminista, assumendo in arte, ironicamente e provocatoriamente, un nome maschile. Da allora la mia ricerca si è sviluppata, sempre con grande coerenza, nell’ambito della Scrittura Verbo Visiva e della Poesia sonoro-performativa».
«Tomaso Binga lavora tra poesia e pittura, ai confini della parola e ai bordi della pittura – scriveva Trimarco sulle pagine del Mattino nel 1992 – bordi e confini che interroga e forza per ridefinire il campo di questi esercizi antichi, pratiche che si inseguono e si intrecciano per, poi, tornare a separarsi[3]. ‘il mio estremo esperimento/è sparare sul commento/rovesciare le convenzioni, azzardare le utopie/pedinare suoni e azioni/intrecciare anomalie»’. Sono questi i versi che Stefania Zuliani sceglie tra le sue poesie per «musicare» questa sua esistenza nel limite delle cose e della vita, «nella certezza che è nella mescolanza e nell’ibrido, nell’impuro che si dà ogni autentica possibilità di arte e di vita[4]»
Ma avviciniamoci di più alle opere in mostra.
La sua serie «Scrittura vivente», in cui le sagome del suo corpo nudo mimano le lettere dell’alfabeto (1976) definiscono il suo esercizio di scrittura che «(…) trasgredisce l’orizzontalità del foglio per prendere corpo, per farsi corpo[5]»
Antonello Tolve apre il suo testo ricordando gli Abbecedari di cent’anni fa di Walter Benjamin (1928), del suo modo di intendere le lettere come una porta che si apre nel mondo dell’infanzia, una dimensione leggiadra così vicina a Binga. «La scrittura – prosegue Tolve nella sua lettura dei lavori – è per Tomaso Binga una struttura utile a produrre nuove significazioni, azioni in cui testo – textum appunto – è un tessuto, una trama fitta che ordina il discorso per arricchirsi di spazio di tempo, di materia, per generare una poesia sonora e visiva che sente l’urgenza di farsi performance lirica, canto carnale[6]».
Arriviamo al 1978 quando il Dattilocodice (1978) si propone invece come nuova esperienza di scrittura. La presenta alla Biennale di Venezia, nell’ambito della mostra «Materializzazione del Linguaggio». In questo nuovo tipo di scrittura, una sorta di «sincretismo poetico-concreto» così lo descrive Dorfles nell’81 – , i grafemi della macchina da scrivere sono impressi in sovrapposizione «con un risultato piuttosto grafico che di scrittura» [7]
«Corpo e scrittura coincidono sempre – scrive Moschini nel catalogo di una mostra del 1987 – anche quando sembrano distanti, come per esempio nel dattilocodice, li troviamo congiunti attraverso le parole di una poesia («con un solo dito/batto un tasto/ lo stesso tasto batto/ e ribatto ancora/ fino a nove / immagini nuove…)»[8].
Questa incarnazione della parola in “Ti scrivo solo di domenica”, è affidata alla sonorità dell’artista che le pronuncia. Le parole sono quelle che Binga legge in un atto performativo e che appartengono alle lettere che ogni domenica ha scritto ad una sua amica (suo alter ego) nell’arco di un intero anno.
«Ho rivalutato i valori ritmici e timbrici della parola per dare calore e colore alle armonie del verso dove il significato e il significante s’intrecciano e si alternano in un continuo e controllato gioco di prevaricazioni» (T.Binga). In In mostra, l’intera serie di scritti a macchina.
Ora tre gruppi di lavori, visti assieme e ritmati nello spazio, delineano a tutto tondo il profilo di un’artista poliedrica e lo rendono riconoscibile anche nel suo ruolo di direzione dello storico Lavatoio Contumaciale a Roma, dal 1971 gestito come spazio di incontro interdisciplinare «quasi a coprire, in una sorta di ideale gioco combinatorio, quel territorio di sintesi sperimentale delle arti (… )[9]»
Tomaso Binga, Scrivere non è descrivere, Galleria Tiziana Di Caro, Napoli, 24.09 – 14.11.2015
e
A. Tolve, S. Zuliani (a cura di), Tomaso Binga, Scritture Viventi, Plectica, Salerno 2014
[1] A. Tolve e S. Zuliani (a cura di), Scritture Viventi, Plectica, 2014, (dalla quarta di copertina)
[2] con interventi di Migliorini, Argan, Cortenova, Agnetti, Loda, Mussa, Bentivoglio, Dorfles, Maurizi, Moschini, Balmas, Milanese, Trimarco, Muzzioli).
[3] Trimarco, pubblicato come articolo in «Il Mattino», 18 maggio, 1992, con il titolo Tomaso Binga, in A.Trimarco, Napoli ad arte 1985/2000, Editoriale Modo Milano, ripubblicato in A.Tolve – S Zuliani (a cura di), op. cit., p. 104.
[4] S. Zuliani, «Binga artista totale», op cit, p. 13
[5] S. Zuliani, «Binga artista totale» in op cit, p. 19
[6] A. Tolve, «Nel corpo della parola poetica», in op cit, p.46
[7] Il testo di G. Dorlfes è stato pubblicato come Presentazione nel cat. di mostra Tomaso Binga. Il corpo della Scrittura, Pinacoteca Comunale di Macerata, 1981, in Tolve Zuliani, op.cit, p. 85
[8] Moschini, «Seduzioni della scrittura, tentazioni della pittura», in op cit, p. 95
[9] L. Mango, testo apparso in Lavatoio Contumaciale, I trenta anni del centro, dal 1974 al 2004 (Edizioni il Filo 2004), e in Tolve – Zuliani, op cit, p. 30
immagini (cover 1) Tomaso Binga, «Mater – Litanie Lauretane», 1976 – 2015-10-02 foto collage e inchiostro su carta, 28 elementi cm 35 x 40 ognuno (2)Tomaso Binga, «E di erba, alfabetiere pop», 1977, collage su cartoncino. cm 39,5 x 26,5 (3) Tomaso Binga, «Dattilocodice # 3», 1978, disegno e inchiostro su carta. cm 25 x 27. (4) Tomaso Binga, «Dattilocodice # 5 / Typecode # 5», 1978, inchiostro su carta / ink on paper. cm 50 x 55 (5) Tomaso Binga, «Dattilocodice # 7», 1978. disegno e inchiostro su carta. cm 25 x 27 (6) Tomaso Binga, «Alfabetire pop», veduta dell’installazione (7) Tomaso Binga, «Dattilocodici», veduta della installazione (8) Tomaso Binga, «Io sono lì lì lì, io sono Lilith», 1978, dattilocodice. inchiostro su carta. cm 55,5 x 20,5 (9-10) Tomaso Binga, «Ti scrivo solo di domenica», 1977, 52 lettere scritte a macchina su carta di Amalfi. cm 34,8 x 26,8 ognuna (11) Tomaso Binga, Ti scrivo solo di domenica, veduta della installazione, Galleria Tiziana di Caro, Napoli.