In virtù del nuovo tempo «Presente Continuo», per cui in ogni momento abbiamo la possibilità di sentire infinite persone, di fare infinite cose, in realtà non possiamo fare altro che immobilizzarci, poiché la distanza da ogni cosa è azzerata. Le storie, anzi la Narrazione, deve seguirci nei nostri spostamenti continui mentali e fisici, deve rincorrerci per le strade della nostra esistenza iperconnessa.
Ho preso a prestito il termine «Presente Continuo» dallo scrittore Douglas Rushkoff perché rappresenta ottimamente il grande acquario in cui noi ci troviamo immersi, in cui le distanze dallo spazio e dal tempo finora conosciuto sono nulle: tutto accade qui e ora.
La pratica transmediale prevede il narrare una storia eliminando – o meglio giocando con – il continuum spaziotemporale, scavalcando di fatto la narrativa lineare; è transmedia quindi una storia raccontata su varie piattaforme digitali e vari mezzi di comunicazione. Per storia si intende progetti narrativi, pubblicitari, scientifici, d’arte, con un’apertura che vedrà sempre di più espandersi ad altri tipi di progetti. Lo sviluppo prevede la gestione e l’organizzazione di diversi tipi di azioni, gestirne i tempi di comparsa e presentazione al pubblico, gestirne i movimenti nello spazio, sia esso virtuale o reale.
Il racconto prende svolte impreviste e passa per esempio dall’essere un film cinematografico all’essere un sito web con infiniti rimandi. Quello che dovrebbero fare i transmedia producer e gli artisti è mettere in discussione il concetto che finora conosciamo di transmedia, ovvero un qualcosa di indissolubilmente legato al marketing. Voglio ipotizzare sulle possibilità che esso ha di entrare di diritto nell’ambito artistico e saggiare l’aria di libertà che emana; di fatto il mio è un esercizio letterario, una forzatura retorica. Il testo si presenta come uno spazio aperto, in cui lascio spaziare l’idea di transmedia attraverso una serie di connessioni eterogenee.
Il concetto di storia narrata su più supporti/piattaforme, nella sua accezione più pubblicitaria e di marketing, fa leva sulla “fan culture” in quanto con gli alternate reality games i fan di una data saga o personaggio si mettono in moto per scoprire i preamboli della nuova avventura dei loro eroi.
Andando più a fondo si può affermare che il transmedia si sviluppa su una struttura narrativa e partecipativa di genere giallo/thriller, e viene spesso collegato al cinema e al videogioco come un loro connubio. Tuttavia va rilevato che è difficile, e non è un’equazione facilmente risolvibile, la questione del cinema e del videogioco che si uniscono; entrambi fanno leva su bisogni primari e atavici dell’uomo, ma il primo, il cinema, fa leva sul bisogno dell’uomo di sentirsi raccontare storie in maniera totalmente passiva e unisce il misticismo religioso alla possibilità di tornare bambini, de-responsabilizzati da tutto il peso dell’essere adulto.
Il videogioco invece verte sul bisogno dell’essere umano di vivere vite diverse da quella che faticosamente costruiamo ogni giorno – anche qui il senso di evasione fa da padrone ma al contrario del cinema è totalmente attivo, perché l’essere umano diventa giocatore, imbraccia tastiera, mouse o joystick e crea, o almeno ne ha l’illusione: una anzi mille vite alternative, violente o lussuriose che siano.
La tecnologia delle immagini in movimento registrate e ri-trasmesse sostituisce la figura del sacerdote che narra, anzi insegna, le gesta degli eroi-dèi, affinché noi possiamo vedere direttamente con i nostri occhi l’eroe del momento – invero siamo invasi di eroi ed eroine – guardare direttamente il suo viso, la forza con cui combatte il Male; e con il suo sacrificio narrativo e visuale, possiamo purificarci.
Il parallelismo fra ciò che concerne i meccanismi psicologici e mitici della religione e quelli dell’arte cinematografica non sono una novità, studiosi di mitologia e religione come Campbell e psicanalisti come Jung lo ripetono ogni giorno: la nostra psiche, gli archetipi e la rappresentazione di essi formano una triade molto importante per l’uomo contemporaneo, che probabilmente proprio in virtù della sua consapevolezza raggiunta è pronto a un passo avanti nella sua ricerca del sapere.
Il muoversi dentro e attorno alle storie, o a frammenti di esse, costituisce forse una moderna forma di catarsi.
Lo spettatore pare pronto a portare la sua ricerca della catarsi, attraverso le storie, fuori dal tempio-cinema per riversarsi per le strade, virtuali e reali che siano.
Se lo spettatore tradizionale si sedeva e aiutato dal buio si immedesimava con il protagonista del film, oggi, come in una bambola matrioska, lo spettatore diventa anche giocatore e va a caccia di indizi per scoprire chi è il suo eroe, o chi lo ha ucciso e cosa gli spetta; ma il gioco è così immersivo che egli diventa eroe a sua volta, e si muove per il mondo per scoprire la propria Terra Promessa o per scoprire magari che anche il proprio padre è mascherato di nero e gioca con spade laser…
Le storie transmediali, seguendo la poetica frammentaria dei nostri tempi, attraverso i mezzi tecnologici cercano di riportarci sulla retta via, sempre che essa esista. O forse invece perfino le storie hanno un’anima che si disgrega, e siamo noi a doverne rincorrere i pezzi.
… to be continued…
Transmedia: storie senza fissa dimora di Alberto Gulminetti è stato originariamente pubblicato sulla rivista e piattaforma online Roma Italia Lab
immagini e video: (cover 1) Han Hoogerbrugge,drawing for «FLX», multiplayer racing game for Xbox, a collaboration between Submarine Channel and Stedelijk Museum Amsterdam, drawing (2) «Collapsus. Energy Risk Conspiracy», 2011, interactive documentary, game,produced by Submarine Channel, video trailer, you tube (3) Han Hoogerbrugge in collaboration with game designer Sander van der Vegte, «FLX», multiplayer racing game for Xbox produced by submarine channel (4) «Refugee Republic», 2012, trailer, interactive documentary, produced by Submarine Channel.