Arshake ha il piacere di pubblicare la seconda parte dell’articolo di Alberto Gulminetti sulle nuove modalità di narrazione transmediale, originariamente apparso su Roma Italia Lab, Potete leggere qui la prima parte.
L’errare da un medium all’altro di queste comunità di fan hanno in comune alcuni elementi con il concetto-ideologia di T.A.Z. (zone temporaneamente autonome) descritto da Hakim Bey nel suo testo più famoso. Le T.A.Z. sarebbero delle zone geografiche che escono dalla giurisdizione del controllo delle istituzioni e fanno della temporaneità il loro cardine. Enclavi anarchiche, unica possibilità di fuggire dalla società del controllo.
Le comunità di internauti e fan di film, serie tv e videogiochi fanno proprio questo: errano da un progetto ad un altro accumulando sapere ed esperienza che permette loro di trovare un nuovo e fertile “territorio” in cui montare le tende informatiche, e sfidare i produttori di contenuti mediali, che siano essi cinematografici o televisivi.
Un celebre esempio di Alternate Reality Games – un “gioco” in cui realtà fisica e realtà virtuale si fondono attraverso continui oscillamenti e la nar razione si mischia con la quotidianità permettendo di creare eventi la cui risonanza creano pubblicità attraverso vere e proprie performance dei fan del film – è la campagna creata dalla Warner per pubblicizzare il film Il Cavaliere Oscuro: la base era sul sito Whiysoserious.com. Un giorno verso dicembre 2007 migliaia di persone che erano iscritti alla newsletter ricevettero una mail criptica che li spingeva a seguire degli indizi che portavano a degli indirizzi fisici, e attraverso i forum legati all’uscita del film si capì che gli indirizzi erano tutti di pasticcerie, in cui vi si doveva andare a ritirare una “sorpresa speciale”. Recandosi in una di queste pasticcerie si riceveva una torta al cioccolato su cui c’era scritto “chiamami” e un numero di telefono, quando chiamarono la torta inizio a squillare: all’interno vi trovarono un cellulare con caricabatteria, un biglietto e una carta da gioco recante il jolly: il messaggio era chiaro, da quel momento in poi sarebbero diventati complici nelle rapine alle banche.
Durante il gioco avveniva un détournement della pasticceria (reale) che veniva presa di mira: non era più una semplice attività commerciale, ma si tramutava in una “terra di mezzo” non identificata, un punto d’incontro fra il mondo reale e l’universo di Batman – i giocatori si trovavano a New York o a Gotham City?
Queste comunità di fan sono pervase di nomadismo psichico e fanno leva sul concetto chiave dell’informazione.
Secondo le T.A.Z. un’informazione permette la possibilità di dubitare del sistema ed è per questo che gli enti cercano di censurarla o di influenzarla. Durante il periodo in cui si insinua il dubbio, nasce un nuovo “territorio mentale”. L’idea di TAZ si sviluppa nel soggetto. Successivamente se questo si sviluppa in più soggetti esso può divenire reale (come l’Utopia Pirata) e si viene a creare sul confine di regioni prestabilite dai meccanismi istituzionali. Così nel momento in cui uno spettatore viene a conoscenza di un dettaglio che meglio fa comprendere una puntata di una certa serie tv o programma televisivo, la condivide in favore di un sapere espanso grazie al web, creando problemi all’”istituzione” televisiva
L’errare per gli spazi, urbani e non, è una caratteristica di molti progetti multimediali, ecco che il détournement e la psicogeografia tanto cari ai situazionisti si legano agli ideali anarchici trasformando il transmedia in forma d’arte che può essere corrosiva nel suo modo di ri-visitare e ri-creare la realtà – già, ma quale realtà?
Ricordiamoci che le storie, patrimonio culturale e psicologico di un popolo, rimangono perennemente necessarie anche in piena “modernità liquida” Baumaniana, in cui c’è un continuo oscillare fra estrema libertà ed estrema costrizione.
II transmedia esiste quindi non solo oltre il controllo ma anche oltre la definizione, oltre il fissare lo sguardo sullo schermo e il dare nomi come atto di schiavitù, oltre la comprensione delle case di produzione, oltre l’abilità delle major di vedere e capire.
Il transmedia come parrocchia, subcultura, nuova filosofia in cui l’Eroe campbelliano muore e risorge cyber ogniqualvolta lo spettatore-giocatore-utente lo voglia, e dove e come lo voglia.
Per concludere, un mio piccolo progetto, totalmente astratto, sviluppato su più supporti che fa dell’anti-narrazione transmediale: partendo da una performance pittorica, il lavoro approda alla realtà virtuale tramite un doppio fil rouge riflettendo sui concetti di vuoto e di cecità, indagando sulla quarta dimensione, ovvero il “nuovo” spazio-tempo creato dalla realtà virtuale. L’idea di cecità racchiude una riflessione su come la realtà digitale ci coinvolga a 360° permettendoci, di fatto, di entrare in una dimensione nuova. Ma nello spazio di una mostra o di una performance, una persona che indossi un Oculus Rift piuttosto che un Google Cardboard, si aliena totalmente dallo spazio reale che lo circonda ed ecco che la visione dell’opera diventa, da collettiva che era, privata, intima.
Sintomo della società e del tempo che stiamo attraversando, noi siamo spesso in un territorio ibrido, condividendo più realtà (fisica e/o virtuale) diverse e simili nello stesso tempo. Ma del nostro inconscio: quel luogo in cui ci avventuriamo, per esempio, quando creiamo o quando pratichiamo la meditazione o anche quando preghiamo; che ne è stato?
La visione attraverso un G.C. rende iper-vedenti, perché ci fa accedere a una realtà altra – un altrove digitale con proprie regole, in cui l’essere umano può, per certi versi, superare alcune delle sue limitazioni causate dalla gravità o altre leggi fisiche: per esempio può semplicemente “essere” in un luogo senza pavimento, quindi trasferisce sé stesso in un luogo astratto – o rende invece profondamente ciechi, perché ci aliena dalla realtà fisica che ci circonda e ci infonde la linfa vitale?
Il lavoro parte con una azione – performance in cui eseguo otto blind drawings ispirati ai Blind Time di Robert Morris: con gli occhi bendati dei disegni dipingendo con le mani in un lasso di tempo di 10 minuti a partire da un’istruzione prestabilita. Queste istruzioni constano in azioni più o meno semplici che compio su un foglio bianco con grafite, e servono ad “addomesticare” lo spazio bianco del supporto con disegni astratti, innesco quindi un gioco-rapporto che mi porta a lavorare sul concetto di vuoto/pieno.
Queste azioni vengono riprese dalla telecamera e gli otto singoli video insieme alle relative consegne vanno a comporre una narrazione non lineare su YouTube in cui lo spettatore può, a partire da una consegna, accedere a qualsiasi video in modo che non necessariamente alla istruzione corrisponda il suo disegno.
I disegni sono la mia personale elaborazione, mediata dall’inconscio, di un’istruzione; e sarcasticamente, il fatto che lo spettatore non riesca a ottenere la sequenza giusta di istruzione-disegno, o almeno ci si debba impegnare, lavora sull’eliminazione dell’idea di gerarchia “azione-reazione” che la narrazione lineare dà per scontato.
Questi otto disegni vengono poi scannerizzati e inseriti in un video in realtà virtuale in modo che lo spettatore si ritrovi in un ambiente metafisico circondato dai disegni – o meglio dai segni neri simili a insetti – che sono poi tracce gestuali legati a una condizione.
Alberto Gulminetti
Transmedia: storie senza fissa dimora di Alberto Gulminetti è stato originariamente pubblicato sulla rivista e piattaforma online Roma Italia Lab. Transmedia: storie senza fissa dimora. Pt. I
immagini (tutte) e video: Alberto Gulminetti, «Blind Art», 2017, stills from VR project