A guardar bene – o forse dovremmo dire vivere bene – la mostra Il video rende felici. Videoarte in Italia, curata da Valentina Valentini, contemporaneamente negli spazi del Palazzo delle Esposizioni e della Galleria d’Arte Moderna di Roma, visitabile fino al 4 settembre 2022, si nota subito la carica innovativa nell’ambito multimediale che sotto la pelle impolverata e senza tempo dell’Antica Roma e del Rinascimento, risiedeva e tuttora risiede nel Bel Paese.
Gli ultimi decenni del XX secolo hanno visto un espansione del concetto di medium incredibile e fino a qualche tempo prima imprevedibile. Dalla messa in mostra dei primi environment a quella degli spazi multimediali interattivi non è passato neppure il tempo che è servito a Michelangelo per terminare la Cappella Sistina. Tutto si muoveva iper-velocemente e le innovazioni di videoarte, di computer art e successivamente di net art sono rimaste un faro di speranza per chi quel modo nuovo di percepire, di capire e di sentire il mondo, così affine allo spirito del tempo in cui viveva, lo bramava, e non si lasciava anestetizzare dai tentativi conservatori di ristabilire un rassicurante ordine borghese attraverso quel ritorno alla pittura che tutti conosciamo.
In questa doppia mostra ogni periodo storico ha un entusiasmo peculiare eppure rapportato a ciò che è stato prima e ciò che sarà, per fare solo qualche esempio: quello delle sperimentazioni video-televisive degli anni ’70 (Il televisore che piange, Fabio Mauri) quello dei primi ambienti video (Film Ambiente, Marinella Pirelli), quello delle fanzine che si mescolano alla computer art in un tripudio underground (Computer Comics, Giovanotti Mondani Meccanici), quello degli innovativi, affascinanti ambienti sensibili (Coro, Studio Azzurro), quello che ricerca una connessione tra senso e concetto, nel vecchio (Il vapore, Bill Viola) e nel nuovo millennio (Fatica n.26, Daniele Puppi), e così via.
Ma dove sta volgendo la videoarte oggi? Dove sta guardando questa pratica dirompente che ha ormai festeggiato il mezzo secolo di vita e che ha visto cambiare molto, quasi tutto, intorno a sé? L’esposizione di Valentini non manca di tener conto di questa questione, fornendo ben più di un’univoca risposta, e non poteva che essere così in una realtà estremamente frammentata come la nostra. Tra queste risposte, due opere di due diversi artisti incredibilmente talentuosi, entrambi di origini romane, portano a riflettere su questioni specifiche alle nuove tecnologie nell’arte e al loro rapporto con la realtà fluida in cui sono immerse: Video Machine Mobile (2022) di Donato Piccolo e Transient #E_001-04_4ch (2020) di Quayola.
La videoscultura di Piccolo è un monitor di circa 27 pollici sostenuto da zampe robotiche alimentate da un software di intelligenza artificiale che permette alla struttura di muoversi e monitorare gli spazi circostanti. Essa grazie a diversi sensori ad ultrasuoni crea piccole interazioni con l’ambiente ed è alimentata da un cavo collegato al monitor che funge metaforicamente da “guinzaglio”, che trattiene l’opera nello spazio deputato.
Il polittico di Quayola composto da 4 schermi da 55 pollici, invece, è una variante installativa della performance Transient (una performance con musicisti, pianoforti robotizzati e proiezioni) che riflette sulle tecniche artistiche tradizionali estendendo la propria sperimentazione sino al suono attraverso sistemi generativi non convenzionali, tramite un software che permette di interconnettere immagini e suoni.
Due opere molto diverse eppure così affini, che oltre a rappresentare gli sviluppi tecnologici, rispettivamente, della tradizionalissima arte scultorea e pittorica, ibridandole nella videoarte e non solo, pur mantenendone l’ontologia originaria, riportano ad oggi una questione non banale che ha interessato tutto il secondo ‘900 e che Brian O’Doherty nel suo celebre saggio sul white cube ha analizzato attraverso la figura retorica di una tensione tra Occhio e Spettatore. L’Occhio analizza e interpreta, si adatta alla contemplazione e mantiene una distanza che si predispone particolarmente bene alla pittura classica. Lo Spettatore possiamo intenderlo come il suo corpo, che percepisce attraverso tutti i suoi sensi tranne la vista, ed esperisce soprattutto le qualità tattili dell’ambiente, tramite le sensazioni scaturite dalle sue esperienze: si confà particolarmente bene agli environment e alle performance, ma anche alla scultura per le sue qualità tridimensionali che necessitano di girarci intorno per contemplarla.
Stranamente anche nel video-polittico di Quayola, espressamente dedicato all’impressionismo, l’occhio contempla. Com’è noto la televisione e poi tutte le sue successive trasformazioni postmoderne si basano sullo shock, dunque su qualità tattili che interessano il cervello e non l’occhio. Lo fa anche la videoarte più «tradizionale» con i suoi ambienti scuri, le sue proiezioni e le sue narrazioni non lineari. La contemplazione scompare quasi totalmente dai radar dell’arte per una serie infinita di motivi. Nell’opera di Quayola, però, è presente. Non è esclusiva, grazie alla sua carica contemporanea di dispositivo multi-agente, ma c’è. Non è tanto un ritorno al passato, quanto un passo avanti nella presa di coscienza che infondo quell’aura cultuale che Benjamin dà per scomparsa in qualche modo è tornata nel linguaggio binario. Quell’aura cultuale dedicata agli dei, poi ad uno solo, fino a quando Nietzsche ne decreta la sua morte, lasciando un vuoto che più volte diversi concetti più o meno materialisti hanno cercato di riempire, fallendo, ricompare nuovamente in un mondo ibrido, questa volta analogicodigitale, così come era quello materiale-spirituale pre-ottocentesco. C’è un nuovo dio all’orizzonte, che parla in bit, capace di essere nuovamente contemplato. Leibniz direbbe «la matematica è il linguaggio di Dio».
Passando alla video-scultura di Piccolo, essa non è solo una scultura ma un agente esperito che a sua volta esperisce. Crea una comunicazione, filtrata e rifiltrata più volte, con la realtà, e non solo sensazioni estetiche di stampo romantico. Ci fa vibrare, sussultare, relazionare con l’inanimato che si fa animato, ma non grazie alle sue doti sublimi. L’occhio dello spettatore guarda ed è guardato dalla sua controparte anti-ottica della macchina, il suo corpo non gira semplicemente attorno al tuttotondo, né tantomeno ci passa nel mezzo come in una installazione, lo esperisce dinamicamente in una condizione paritaria all’opera e ogni suo passo è calibrato a seconda di quello della scultura. È una reciproca conoscenza quella sperimentata difronte al monitor, è una relazione perturbante che si fa danza.
In entrambe le opere quello che colpisce è la loro ortodossia nel rimanere in qualche modo scultura e pittura. Sarebbe quasi banale parlare di queste caratteristiche riguardo ad operazioni artistiche contemporanee multimediali e multidimensionali, ambienti che sfidano il concetto di arte, qualunque esso sia. Qui ci troviamo davanti, invece, ad una scultura e ad un polittico di quadri del XXI secolo. Opere che rientrano perfettamente nella tradizione artistica ma anche nel proprio zeitgeist contemporaneo. Arte pura basata sul medium. I 2 software di intelligenza artificiale sono il pennello e lo scalpello delle due opere, ne plasmano senso di esistenza e significato. Sono la contemporaneità della videoarte, che da ottica si è trasformata in tattile, emergendo come nuova nella realtà analogicodigitale.
Il video rende felici, a cura di Valentina Valentini, Palazzo delle Esposizioni e Galleria d’Arte Moderna, Roma, fino al 4 settembre 2022. Visitate qui il sito per il calendario aggiornato delle rassegne e degli eventi collaterali (catalogo a cura di Cosetta Saba e Valentina Valentini, edito da Treccani)
immagini: (cover 1) Il Video rende felici. Video arte in Italia, invitation (2) Donato Piccolo, «Video Machine Mobile», 2022, videoscultura mobile, monitor, scheda elettronica dotata di intelligenza artificiale (Niklas Sallali Engineering), scheda Raspberry, servomotori seriali, sistema elettronico di scansione ambiente, sensori ad ultrasuono, sensori acustici, scheda audio, trasformatore, 70 x 70 x 20 cm, Collezione dell’artista (3) QUAYOLA, «Transient #E_001-04_4ch, dalla serie Transient – Impermanent Paintings», 2020, installazione, video 4K multicanale, colore, sonoro, 13’ 20” loop, 4 monitor 55’’, esemplare unico, Collezione dell’artista