Un abitante è colui il quale ha abitudine di un luogo, occupa uno spazio con la propria fisicità, con il proprio essere e la propria esperienza. “Abitare significa lasciare tracce”, scriveva Walter Benjamin, in Parigi Capitale del XIX secolo.
Così, tra l’8 e l’11 novembre, più di 200 ragazzi e bambini, tra i 5 e i 25 anni, degli istituti scolastici di Loreto Aprutino (PE) e Città sant’Angelo (PE), oltre ad un gruppo di studenti del Dipartimento di Architettura di Pescara e i relativi docenti, hanno abitato La Cité des Réfugiés di Yona Friedmann: un rifugio per chiunque ne abbia necessità. Una città che si costituisce di moduli abitativi riconfiguarabili.
E le tracce che i ragazzi hanno deciso di lasciare, sono tracce della loro esperienza abitativa: simulacri d’arredo, immagini di elementi architettonici disegnati in scala reale per attivare gli spazi de La Cité des Réfugiés di Yona Friedman. Un’azione che ha voluto reinterpretare le intenzioni di Friedman, secondo il quale l’architettura si deve fare mobile e adattabile agli usi di chi la vive.
Un’esperienza dalla duplice valenza, non solo estetica, ma anche architettonica: un’esperienza corporea all’interno dello spazio di No Man’s Land, un lavoro sulla misura delle cose risultato di un percorso di consapevolezza dello spazio architettonico, per acquisire prontezza del proprio domicilio negli ambienti di tutti i giorni.
E l’esperienza architettonica è anche un’esperienza sonora: lo spazio produce un suono, le azioni umane producono un suono, “il suono misura lo spazio e ne rende comprensibile l’estensione. È con l’orecchio che lambiamo i confini dello spazio” scrive Juhani Pallasmaa ne Gli occhi della pelle. Ecco perché, oltre alle immagini, i ragazzi sono stati coinvolti in un esercizio di field recording dell’azione abitativa.
E oltre alle immagini e ai suoni, le riflessioni teoriche sull’abitare e sulla città: l’azione degli studenti del Dipartimento di Architettura alla quale i pannelli disegnati dai ragazzi più giovani hanno fatto da quinta scenica.
Nel 2017 così scriveva Yona Friedman a proposito di No Man’s Land: “Questo è quello che cerco di proporre, un’operazione di democratizzazione dell’immaginazione. Penso a No Man’s Land come una terra dell’immaginazione, aperta a tutti”. E no Man’s Land è una terra di tutti capace di catalizzare le energie e l’immaginazione di tantissimi.
immagini: (cover 1-3) Abitare No Man’s Land. Gli studenti del corso di Progettazione Urbanistica_B del prof. A. Clemente insieme al prof. F. Bilò, a M. Pieroni e D. Stiefelmeier leggono passi scelti dagli scritti di letterati, poeti, architetti sulla città, ne La Cité des Réfugiés di Yona Friedmann abitata dai lavori degli studenti più giovani. Foto di Gino Di Paolo (2) Abitare No Man’s Land. I ragazzi progettano e realizzano i pannelli scenici con i quali vivere La Cité des Réfugiés di Yona Friedmann: immagini di oggetti riferibili alla loro esperienza abitativa quotidiana donati a No Man’s Land. Foto di Gino Di Paolo (4) Abitare No Man’s Land. I pannelli scenici installati. Foto di Gino Di Paolo