Il mondo, multilingue da sempre, esiste proprio in nome del suo multilinguismo, terreno di conflitti semiotici, di tensioni tra il particolare e ciò che è comune a tutti, tra i linguaggio familiare e quello del mercato, tra lingue del potere e lingue minoritarie. Questa tensione è una delle forze portanti della storia, le lingue cambiano con il cambiare del mondo, e l’instaurarsi di relazioni tra loro è sintomo dello sviluppo della società (Louis – Jean Calvet, Language Wars and Linguistic politics, Oxford University 1998)
Le operazioni culturali ad ampio raggio di Antoni Muntadas hanno declinato un interesse tutto rivolto verso il linguaggio, nel suo generarsi nelle dinamiche sociali, nel trasformarsi con queste, nel prender forma in segni convenzionali «altri» da quelli scritti o parlati come soldi, mappe, colori, icone informatiche, tutto ciò che è generato – in termini di codici linguistici – nella dimensione mediatica che abitiamo.
Il grande progetto Entre/Between, fino ad oggi alla Vancouver Art Gallery, ricostruisce in formula viva e attuale, e attraverso opere chiave, l’intera ricerca dell’artista spagnolo per diventare ulteriore dispositivo linguistico, macro-processo di decodificazione semantica. Le sue opere sono costruzioni di metodologie di cui video, performance, fotografie, installazioni multimediali, net art, progetti editoriali e quant’altro, sono «apparizioni possibili», tracce di un processo e stimolo per chi guarda, distolto dall’assuefazione mediatica e coinvolto nella decodificazione linguistica in un ruolo, quello dello spettatore, fondamentale perché il lavoro acquisisca di senso.
Entre/Between, ospitato prima al Museo Reina Sofia di Madrid, poi alla Jeu de Paume Foundation a Parigi, ora, alla Vancouver Art Gallery, chiude il suo terzo momento di questo ciclo vitale. Qui la curatrice dell’intero progetto, Daina Augaitis, ha incontrato per la prima volta il lavoro di Muntadas negli anni ’70 e ne ha seguito le sue evoluzioni nel tempo. Quarant’anni di ricerca artistica, di esperienze di vita, di collaborazioni con professionisti di formazione diversa, sono orchestrati in una lettura installativa che si presenta, nel suo insieme, come «opera aperta» (Eco), tanto quanto lo è ogni singola produzione di Muntadas.
Entre/Between diventa, quindi, ulteriore esternazione della metodologia dell’artista e prende forma in un meta-progetto. Il leit motiv dettato dal titolo, entre/between è la macro-struttura tematica attorno a cui ruotano e interagiscono le varie variabili e costanti della sua ricerca, che – differentemente combinate, offrono letture sempre diverse, sempre nuove. Diventa così visibile – o meglio intuibile – ciò che si interpone tra cose, tra pubblico e privato, tra opera e audience, tra curatore e artista, tra opera e museo, ciò che fa emergere quel «campo possibile», quello spazio in between generato dalla sovrapposizione di società, arte e comunicazione.
Per Entre/Between i progetti sono organizzati in «costellazioni», territori che prendono forma da configurazioni tematiche, sciolti in una narrativa ipertestuale non-lineare che in ogni suo raggruppamento prevede l’accostamento di lavori pionieristici con opere più attuali. «Le Costellazioni – sostiene la curatrice nel testo in catalogo – sono uno strumento per navigare i lavori di una carriera prolifica in modo non lineare». Lo spazio pubblico/privato scandisce il tema della costellazione «Microscapes», che dalla serie di Subsensory Experiences: actions and activities (1971-73), parte da una decodificazione sensoriale dei segni attraverso il corpo, per arrivare al Mirar Ver Percebir (2009), dove lampade puntate su parole legate alla percezione ne mettono in discussione il loro significato con un’associazione visiva, nella tipologia di lampada e nel suo posizionamento, che evoca – per associazioni per i più acquisite dal linguaggio cinematografico – gli interrogatori di polizia. E’ in questa costellazione che artista e curatore hanno deciso di posizionare Arte –Vida (1974), manifesto di un’attitudine generata dalla convinzione dell’interscambiabilità di «arte» e «vita» che guida tutto il suo lavoro.
I mediascapes, definizione da lui coniata negli anni ’70 per descrivere paesaggi mediatici abitano l’omonima costellazione, e sono «ritratti» attraverso la decostruzione delle sue icone linguistiche, come per esempio quelle che governano le news e le pubblicità. I segni convenzionali del potere –oggetti mediatici, architetture archetipe e gestualità delle mani – definiscono «Sphere of Power», mentre le opere di «Communal Spaces» portano in primo piano la natura dello spazio pubblico nel contesto urbano. «Places of Spectacle» prende in considerazione opere che partono dalle strutture destinate agli spettacoli pubblici, per contestualizzare i codici rituali, antichi e moderni. I lavori chiave della sua prolifica serie di On Translation, che va avanti dal 1994, sono all’interno di «Field of Translation» che comprende On Translation: The Internet Project (1997), un progetto sul net dove una frase tradotta in 23 lingue diverse, distorce inevitabilmente il senso di quella originale. La vita in zone di confine dove più evidenti sono le disuguaglianze economiche tra un paese e il suo vicino è ciò che accomuna le opere di «Domain of Fear». «The Archive» analizza le dinamiche architettoniche e linguistiche dell’archivio, come nel suo File Room: Archive of Censorship (1994-), archivio aperto e accessibile di casi di censura, e opera che individua le potenzialità spaziali e collaborative di Internet proprio nello stesso anno in cui questo si avvia a diventare strumento accessibile. «System of Art» raccoglie opere che, senza timore, mettono in discussione le gerarchie dell’arte e la politicizzazione dei musei e del mercato, mentre «Exposiciòn/Exhibition» ne analizza «linguisticamente» i suoi dispositivi installativi.
Infine, tutto ritorna nel tutto, microcosmo e macro-cosmo trovano anche qui terreno comune nella loro inter-scambiabilità. Così non ci sorprende trovare Ciudad Museo nella costellazione «Communal Spaces» piuttosto che in quella di «Exposiciòn/Exhibition», nonostante il tema dello spazio pubblico si sviluppi parallelamente a quello che commenta lo spazio espositivo del white cube, né About Academia fuori dalla «Sphere of Power», seppure ponga al centro dei suoi interessi la relazione tra produzione di conoscenza, politica e potere economico. Non ci sorprenderà ritrovare la sua serie di On Translation presente, con lavori diversi, pressoché in tutte le costellazioni. E’ l’associazione che scaturisce da un posizionamento dell’opera in una determinata costellazione (anch’essa operazione linguistica), a portare in primo piano un tema piuttosto che un altro rendendo così evidente, una volta risollevato lo sguardo all’insieme, di come tutto si muova nell’intersezione del tutto.
Entre/Between apre ad una «meta-metodologia», decostruita in tematiche principali – per rendere gli argomenti comprensibili, e ricomposta nella diversa associazione e relazione tra loro che lo spazio «in between» rende possibile. Possiamo immaginare Entre/Between come un unico «Mediascape» dove ogni costellazione è legittimata a comparire in primo piano e ad inglobare tutte le altre così come a confluire all’interno di queste. Entre/Between è anche un grande «Archivio», come nelle intenzioni dei suoi progetti specificamente diretti alla questione dell’archivio, vivo e dinamico. Perché non immaginare il tutto come un grande libro? I progetti editoriali, in forma di catalogo che accompagna la mostra o di opera autonoma, sono stati sempre presenti nell’opera di Muntadas come agenti attivi dei processi di decodificazione, a partire proprio dalle esperienze sensoriali, come quelle da cercare nel Poema Táctil (1972), un libro tutto da toccare.
Capiamo che tutto questo è possibile non appena riusciamo ad appropriarci di quegli «strumenti linguistici» che l’artista ci fornisce per togliere la pellicola mediatica e visualizzare lo spazio in between, il «campo possibile». Questo significa anche ri-conquistare quell’«intervallo perduto» su cui Gillo Dorfles, artista, critico e pensatore illuminato, aveva iniziato a riflettere all’inizio degli anni Ottanta del Novecento con il suo omonimo saggio, per indicare lo spazio di riflessione sostituito dal ritmo dettato dall’«ipertrofia segnica» dell’era mediatica. Questa ricca produzione, assieme a quella che verrà, è quindi pronta a vivere future ricombinazioni semantiche, costruzioni e de-codificazioni linguistiche messe in atto dai diversi attori chiamati in gioco, non in ultimo, dall’audience che ne è una parte importante.
Muntadas: Entre/Between è organizzata dal Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía, in collaborazione con Vancouver Art Gallery e curata da Daina Augaitis, Chief Curator/Associate Director della Vancouver Art Gallery. La mostra ha viaggiato al Reina Sofia Museum (Madrid, novembre 2011 -marzo 2012), al Jeu The Paume Foundation (Parigi, gennaio-febbraio, 2014), e oggi conclude il suo terzo momento di questo ciclo vita alla Vancouver Art Gallery, dove il lavoro di Muntadas ha avuto il suo primo riconoscimento pubblico negli anni ’70.
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Immagini
(1cover) Muntadas, The Limousine Project, New York, 1990, photographic documentation of a public intervention © Muntadas/SODRAC (2013); (2) Muntadas, On Translation: Warning, 1999-ongoing, installation at the Vancouver City Centre, Canada Line Station, 2013, vinyl on glass, courtesy of the artist, photo by Rachel Topham, Vancouver Art Gallery, © Muntadas/SODRAC (2013); (3) Muntadas, On Translation: El aplauso, 1999, three-channel video installation, 10 minutes, photo by Joaquín Cortés/Román Lores,Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía, © Muntadas/SODRAC (2013); (4) Muntadas, Project / Proyecto / Project, 2007, 9 digital prints on paper, Courtesy Galeria Joan Prats, photo: Joaquín Cortés/Román Lores, Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía,© Muntadas/SODRAC (2013); (5) Muntadas, Media Eyes, Cambridge, Massachusetts,1981, photographic documentation of a public intervention, © Muntadas/SODRAC (2013); (6) Muntadas, La Siesta/The Nap/Dutje, 1995, video installation, Collection of C.A.C. Ebro Foods, S.A. Museo Patio Herreriano, Valladolid, photo by Joaquín Cortés/Román Lores, Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía © Muntadas/SODRAC (2013).