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Biennale di Venezia 2019. Dentro la casa d’ispezione di Shu Lea Cheang

Viaggio nel Padiglione Taiwan con il lavoro di Shu Lea Cheang a cura del filosofo e scrittore Paul B. Preciado

Chiara Pirozzi by Chiara Pirozzi
27/06/2019
in Focus
Biennale di Venezia 2019. Dentro la casa d’ispezione di Shu Lea Cheang

Il Padiglione Taiwan presenta alla 58. Biennale di Venezia nelle sale di Palazzo delle Prigioni la personale di Shu Lea Cheang (1954) dal titolo 3x3x6 a cura del filosofo e scrittore Paul B. Preciado. L’artista taiwanese, fra le pioniere della Net Art, per questo progetto promosso dal Taipei Fine Arts Museum affronta quello che Bauman definisce il «sesto potere», ovvero la logica del controllo che, nella modernità liquida, è giocata sul paradosso secondo cui sono gli stessi «sorvegliati» a fornire gli strumenti e le chiavi d’accesso ai «sorveglianti», attraverso la condivisione di dati, status, immagini e preferenze.

3x3x6 è un progetto site specific in cui le installazioni multimediali sono calibrate fra il numero delle sale a disposizione e la storia dell’edificio diviene lo spunto teorico dell’intera ricerca artistica. Shu Lea Cheang recupera la vecchia funzione dell’edificio seicentesco e le storie di alcuni personaggi che realmente sono stati qui imprigionati, primo fra tutti Giacomo Casanova, per un totale di dieci vicende passate e recenti, montate fra realtà e fiction, di uomini e donne incarcerati perché considerati non conformi alla società del proprio tempo. L’artista concepisce la sua mostra come un Panopticon, teorizzato nel 1791 dal filosofo e giurista Jeremy Bentham come una casa d’ispezione, un modello architettonico ideale di carcere la cui funzione di rieducazione del carcerato era assicurata dalla consapevolezza di essere costantemente osservati, senza avere la possibilità di conoscere la posizione della guardia carceraria.

Il Panopticon proposto da Shu Lea Cheang è però capovolto perché ad essere controllati sono i visitatori, e non i carcerati, ed è basato sull’intelligenza artificiale, sul riconoscimento facciale, sull’interfaccia e sul post internet. L’artista elabora un’installazione altamente tecnologica, il cui senso partecipato è volutamente sottaciuto allo scopo di enfatizzate il pericolo che si cela dietro l’irreggimentazione del controllo, spesso celato dal potere politico di turno come modello di sicurezza per la collettività.

La ricerca di Shu Lea Cheang va ancora oltre e connette tecnologia, storia e critica verso la perdita del diritto alla privacy con alcuni temi di grande interesse sia per l’artista sia per il curatore come le discriminazioni legate alla razza, al genere e all’orientamento sessuale. L’artista indaga, a partire dalle trame e dalle potenzialità della tecnologia multimediale, la gestione dell’infinito flusso di dati proveniente da internet e il suo utilizzo, in grado di influenzare le nostre scelte, le identità e le preferenze.

Nella mostra 3x3x6 i dieci personaggi sono presentati nella sala centrale del Palazzo delle Prigioni in un’installazione multicanale circolare, ciascuno è interpretato da performer che traslano le storie – come quelle di Casanova, di Foucault e del Marchese De Sade – in personaggi contemporanei appartenenti al mondo queer, cyborg, transgender e gender fluid. Da questa sala, che visivamente si connette alla torre di controllo del Panoptico, si accede alle stanze laterali ciascuna delle quali presenta i video, le testimonianze e le traslitterazioni dei dieci imprigionati.

L’ultima sala è quella dei «bottoni», ispirata alla control room della Playboy Mansion di Hugh Hefner, in cui su di un totem in acciaio e vetro obliquo al pavimento, computer, device, calcolatori e cavi svelano il cervello artificiale che – attraverso l’interpretazione e la fusione di algoritmi e dati – tutto osserva, controlla e gestisce.

Il lavoro di Shu Lea Cheang è il frutto di una ricerca sofisticata che consente una lettura multilivello dei significati; dalle discriminazioni di genere e razza al potere controverso della tecnologia di videosorveglianza, dall’analisi di storie passate connesse a vicende contemporanee fino al desiderio perturbante e sensuale generato dal sapere di essere osservati.

3x3x6 indaga le moderne procedure del controllo che dai metri quadri del modulo-cella (da cui trae origine il titolo del progetto) si trasferiscono alle avanzate tecnologie di gestione dei flussi di dati e la conseguente conformazione entro categorie standard della moltitudine umana.


Shu Lea Cheang. 3x3x6, A cura di Paul B. Preciado, 58. Biennale d’Arte di Venezia
 Padiglione Taiwan,Palazzo delle Prigioni, Castello 4209, Venezia, 09.05 – 24.11.2019

immagini: (cover 1) Shu Lea Cheang, Still from «CASANOVA X», 4K video, 10’ from the film series for the installation «3x3x6» (2) Shu Lea Cheang, «3X3X6», mixed media installation. Courtesy of the Artist and Taiwan in Venice 2019 (3) Shu Lea Cheang, «3X3X6», mixed media installation. Courtesy of the Artist and Taiwan in Venice, 2019 (4) Shu Lea Cheang, still from «SADE X», 4K video 10’, from the film series for the installation «3x3x6» (5) Shu Lea Cheang, Still from «DX 4K», video 10’, from the film series for the installation «3x3x6» (6) Shu Lea Cheang, «3X3X6», mixed media installation. Courtesy of the Artist and Taiwan in Venice 2019 (7)  Portrait of Shu Lea Cheang. Paul B. Preciado ©TFAM

 

Tags: arsarshakeBIennale di VeneziainstallationPaul B. Preciadopost-digitalpost-internetShu Lea CheangsurveillanceTaiwan Pavillion
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