Spider Man è l’happening sperimentale di Donato Piccolo, svoltosi al Macro di Roma, martedì 10 giugno a chiusura del ciclo primaverile 2014 dei Martedì Critici, un format talk ormai consolidato che da 4 anni ogni martedì approfondisce un personaggio del mondo dell’arte: artista, critico e gallerista.
Questo Spider Man è la metafora di un volo esplosivo, il folle volo di omerica memoria. Il volo di sei piccoli elicotteri azionati nella hall di via Nizza con un minerale altamente reattivo ad aria ed acqua, il potassio, fino alla loro autodistruzione in una piscina. Un rumore fortissimo, che ha raggiunto le frequenze dell’assoluto, e grandi nuvole di fumo. Sculture d’aria che hanno assunto la forma di pochi istanti. Tempo condensato e spazio occupato. A dimostrare che il tempo è forma in una rappresentazione a priori dello spazio.
Uno spettacolo esplosivo, drammatico e persino potenzialmente pericoloso, come il binario fra vita e morte, a cui Piccolo vuole alludere. Il Mystery Circle Explosion di Cai Guo-Qiang realizzato a Museum of Contemporary Art (MOCA) di Los Angeles nel 2012 continua a tornarmi in mente. Diversa la natura dell’esplosione, simili l’effetto, il fascino e la riflessione che ingenerano.
In comune c’è l’interesse per le forze nascoste dell’universo fisico e metafisico e un eco ai fenomeni naturali e supernaturali. Tutto lo spazio e il tempo sono compresi in un’opera che fa combaciare splendore e imprevedibilità, inizio e fine. Caos.
Caos come causa ed effetto.
Caos come rischio, come vita.
Non c’è spazio per un vivere opaco, non c’è più spazio per una stanchezza culturale.
Fatta al Macro di Roma nel 2014 questa performance acquista il significato che deve acquistare. L’importanza che è insieme urgenza di un rilascio di tensione ed energia che tutti «i lavoratori dell’arte» stanno chiedendo da tempo alle istituzioni della città – forse sbagliando, perché la richiesta anche nella virtù pone sempre tu che chiedi in una posizione di inferiorità e lui che riceve in una condizione di potere e quindi di non ascolto.
Due giorni fa è risbucato dalla mia libreria Pirandello col suo Il fu Mattia Pascal. Vivere da morto, in segreto, non era che un’illusione di libertà, e alla fine, il fu Mattia Pascal (che nel frattempo ha cambiato nome in Adriano Meis) sceglie di riacquisire l’identità anagrafica originaria, azzardando il rifiuto della famiglia, le difficoltà familiari, un’economia personale sull’orlo del dirupo, la legge. Mette a rischio la vita stessa, pur di non essere più un’ombra d’uomo. «I morti non debbono più morire e io si: io sono ancora vivo per la morte e morto per la vita. Che vita infatti può essere la mia?» Immergersi nel caos e generare qualcosa che scompigli il normale ordine delle cose. «Tra chi si rassegna a far la parte dello schiavo e chi si assume, sia pure con prepotenza quella del padrone, la mia simpatia è per quest’ultimo», dice ancora Mattia Pascal.
E’ la rappresentazione dell’essere umano che si spinge oltre i limiti del possibile, che osa traiettorie eccezionali e non governabili. E’ la volontà di costruire una macchina iperbolica, col rischio di un fallimento. Spider Man ci riconduce al binomio fra materia-realtà: un’operazione così evidente per l’effetto visivo e sonoro in sé, eppure così astratta per le cause che l’hanno innescata. Intanto, nel nostro caos, teniamo vivo il senso di teatralità che una tale dinamica ha attivato.
Immagini (tutte)
Donato Piccolo, Spider Man, performance realizzata in occasione della chiusura del ciclo di incontri dei «Martedi critici», curato da Alberto Dambruoso e Guglielmo Gigliotti, Museo MACRO, Roma, giugno 2014, photos by Sebastiano Luciano