AutoCAD, ArchiCAD o Vectorworks sono solo alcuni dei programmi utilizzati dagli architetti nell’epoca delle «Archistar». L’architettura contemporanea sembra basata più sul concetto di meraviglia che sull’espressione di equilibrio formale e sociale. Il processo informatico che avrebbe dovuto essere solo un supporto alla realizzazione dei progetti architettonici, pare abbia consentito il «dominio del calcolatore». Il digitale, infatti, ci offre la possibilità di pensare e creare luoghi che sfidino persino le leggi della fisica, fantasie architettoniche pronte a stupirci, dove, per alcuni, il binomio arte-architettura sembra trionfare al di là delle dispute che vedono «le due sorelle» in un’eterna competizione. Per altri, si tratta di virtuosismi che perdono di vista le peculiarità di tale binomio e soprattutto della loro reale funzione.
Sebbene negli ultimi tempi si sia sentita in dovere di riflettere su questioni di interesse universale, come la compatibilità ambientale, i riflessi della crisi economica e il ruolo della città, oggi l’architettura appare spesso fortemente autoreferenziale; probabilmente è solo l’espressione di una società individualista, poiché rispecchia la cultura, il patrimonio intellettuale e sensibile contingente, dove, come già osserva Lyotard in un saggio del 1993, «gli oggetti e i contenuti sono diventati indifferenti. L’unica domanda riguarda il loro essere interessanti » o potenzialmente attraenti. Dunque, in un periodo socio-politico così delicato, è necessario riflettere sugli equilibri tra gusto e responsabilità, divenendo indispensabile progettare spazi che abbiano al centro l’uomo come destinatario finale, come fruitore e non come creatore.
Torna, così, quanto mai attuale la teoria dell’Esprit Nouveau del secolo scorso e l’architettura «umanista» di Le Corbusier, nucleo centrale di un brillante progetto artistico firmato da Cristian Chironi.
My house is a Le Corbusier, questo il titolo del progetto, nasce da una riflessione su un fatto realmente accaduto che coinvolge, indirettamente, proprio il celebre architetto francese: Orani, paese in provincia di Nuoro, è il teatro dove si svolge l’azione il cui protagonista è l’artista e scultore Costantino Nivola con cui Chironi condivide le origini. Nella seconda metà degli anni Sessanta, Nivola, ormai stabilito negli Stati Uniti, torna per un breve periodo in Sardegna e, prima della sua partenza, affida alla sua famiglia di esperti muratori, un progetto di Le Corbusier per la costruzione di una nuova casa. Il progetto, troppo avveniristico, non fu compreso e fu letteralmente stravolto: quindi, al suo ritorno, Costantino Nivola non poté fare altro che ritirare il progetto, di cui non si ha più notizia.
Parte da qui un’analisi che si concentra sulle relazioni, sul concetto di comunicazione, lettura e interpretazione, sul rapporto tra Architettura, Arte e territorio, aprendo anche una parentesi su questioni politico-sociali particolarmente delicate, come l’ormai remota possibilità di possedere una casa. La cronaca, infatti, racconta di emarginazione e di indigenza, di abusi e di rivendicazioni dei beni primari anche nei così detti Paesi civilizzati, l’arte decide così di mettere a fuoco tali problematiche, in contrasto e a dispetto dell’illusione generale di un benessere diffuso.
Dunque Cristian Chironi decide di realizzare una performance itinerante, circa 30 residenze distribuite in 12 nazioni, che, grazie all’appoggio della Fondazione Le Corbusier di Parigi, gli permetterà di abitare molti degli edifici progettati dal famoso architetto ed avere una visione privilegiata del mondo. Le opere abitabili sono osservatori straordinari da cui potrà rendersi conto delle condizioni in cui versa «la casa dell’uomo», di quanto ci si è allontanati dall’ «ordine naturale» delle cose, concetto centrale nella teoria dell’architetto francese che considerava il rapporto uomo-natura l’unica chiave di lettura per un equilibrio universale.
My house is a Le Corbusier è partito da Bologna (dal 7 al 25 gennaio 2015), dall’ edificio dell’ Esprit Nouveau, una ricostruzione storica del padiglione dell’Esposizione parigina del 1926, realizzata nel 1977 grazie agli architetti Giuliano Gresleri e Josè Oubrerie, dove Chironi ha vissuto per un mese. L’artista ha indagato il territorio ed intervistato gli eredi della storia ispiratrice del progetto che oggi giustificano l’incomprensione asserendo che quella casa, per l’epoca, era davvero insolita, « non aveva né porte né finestre e assomigliava più ad un tugurio», come si ascolta in uno dei video presenti all’interno dell’opera abitabile bolognese.
Per il primo periodo l’artista ha provato lo spazio in solitudine, per avere modo di comprendere più a fondo le riflessioni e le dinamiche dell’architettura di Le Corbusier, per farle proprie e dare vita ad alcuni lavori: disegni e installazioni, di cui alcune ispirate al Modulor, non senza una sottile vena ironica che contraddistingue l’approccio aperto e leggero che Chironi ha deciso di adottare per un tema così complesso. Tra le opere esposte erano visibili anche dei lavori straordinariamente delicati, tanto da sembrare composti da sabbia, che sono in realtà dei piccoli blocchi di cemento segnati dalle geometrie dei centrini ricamati a mano: sono l’ espressione della profonda e radicata esperienza edile della zona di Orani, realizzati dallo zio dell’artista che è parte di quella viva ed intensa tradizione. I lavori rinviano ai sand-casting di Costantino Nivola che vedeva nei muratori oranesi del periodo della ricostruzione post bellica la forza e la determinazione degli antichi guerrieri nuragici, gli antenati dei costruttori da cui egli stesso discendeva. Dopo le prime due settimane di residenza l’edificio dell’ Esprit Nouveau è stato luogo di confronto, di eventi, di studio e di relazioni, che, soprattutto durante il periodo di Arte Fiera, ha accolto addetti ai lavori, studenti e curiosi.
La seconda tappa del lungo percorso sarà a Parigi, all’interno dell’appartemento-atelier di Le Corbusier, all’ultimo piano dell’Immeuble Molitor. L’abitazione è stata progettata dall’architetto all’apice della sua carriera: per essa pensò nuove ed ardite soluzioni, come, ad esempio, il letto molto alto che gli permetteva di osservare il Bois de Boulogne e l’orizzonte parigino, e dove trascorse gli ultimi anni della sua vita. L’artista, dunque, da metà aprile a metà maggio, avrà modo di immergersi nelle geometrie che compongono le ultime riflessioni del grande architetto, di studiare i contrasti formali e culturali della metropoli, guardare al passato con la giusta distanza e condividere l’esperienza con chi vorrà seguire il progetto e con chi passerà a trovarlo anche solo per una tazza di caffè.
Christian Chironi, My House is Le Corbusier, ongoing performance, aprile- maggio, atelier di Le Corbusier, Immeuble Molitor, Parigi.
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immagini (all) Cristian Chironi, My house is a Le Corbusier (Esprit Nouveau Pavilion), 2015, veduta della mostra, photo M. Monti, © C. Chironi and FLC, courtesy MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna.