Daniel Rozin, artista di origini israeliane, vive e lavora a New York occupandosi principalmente di arte interattiva, alla ricerca costante di un rapporto quasi simbiotico tra autore e spettatore (o meglio fruitore), per lo più tramite la serie degli specchi realizzati a partire dalla fine degli anni Novanta. Il primo dei mechanical mirrors è Wooden Mirror (1999), un’installazione in grado di replicare l’immagine di chi vi si pone davanti catturandola tramite una microcamera nascosta, riducendola ad un numero limitato di pixel e riproducendola di fronte all’osservatore tramite tasselli lignei. Questi infatti sono mossi da motori che ne modificano l’angolazione forzandoli a proiettare zone d’ombra più o meno intense e in tal modo far specchiare l’osservatore in tempo reale. Il risultato finale è un ibrido tra installazione, schermo e specchio, un mezzo per esplorare il confine tra analogico e digitale che costringe a mettere in dubbio la definizione stessa dei due termini.
Gli specchi meccanici di Rozin spesso appaiono ad un primo sguardo come opere “innocue”, attirano l’attenzione di chi si trova a passarvi accanto ripetendo una serie di movimenti automatici che creano patterns ricorrenti e giochi geometrici. Le persone, incuriosite, si avvicinano all’opera e ne scoprono il segreto solo quando i movimenti cessano di essere ripetitivi e, dopo un attimo di incertezza, diventa possibile riconoscere se stessi nelle ombre. In questo modo vengono soddisfatti i requisiti principali di un’opera d’arte interattiva ben riuscita: la presenza della sorpresa, dell’imprevisto, di un elemento comico e un irresistibile aspetto ludico che spinge a mettere in atto i gesti più disparati, cercando di testare la velocità di risposta dell’installazione.
Realizzare uno specchio con materiale non riflettente significa privarlo di molte delle caratteristiche attribuite abitualmente a tali oggetti. L’eliminazione della limpida chiarezza del vetro esclude la possibilità di riconoscere la propria apparenza tramite la semplice osservazione e perdersi nella contemplazione della propria immagine. Impone invece la messa in atto di stratagemmi differenti per il riconoscimento di sé: si costringe il fruitore a verificare la natura dell’opera gesticolando.
Conseguenza del cambiamento delle caratteristiche fondanti dello specchio è una libertà inaspettata nel godimento del proprio riflesso causata dall’assenza della possibilità di essere delusi dal confronto con i propri difetti fisici. Quando non ci si preoccupa più di come si appare si abbandona il controllo consapevole della propria apparenza e si lascia spazio ad un approccio più giocoso e spensierato.
Rozin riesce ad emancipare lo specchio dalla simbologia cui è stato legato per secoli: emblema di vanitas e spesso attributo di civetteria. Con le evidenti modifiche apportate all’immagine riflessa tradizionale è possibile far riscoprire il piacere di interagire con il proprio doppio, soprattutto in un’epoca storica segnata dalla moltiplicazione e dalla banalizzazione della propria immagine. Il fruitore si vede restituire la magia di guardarsi per la prima volta.
In un periodo in cui tecnologie estremamente raffinate sono sempre più diffuse e accessibili Rozin decide di evidenziarne i limiti facendoci interagire con un’interfaccia low-fi che ci sottopone a sollecitazioni tattili e sonore (prodotte dal movimento delle parti meccaniche). Un ulteriore modo per sviscerare limiti e possibilità del mondo elettronico è quello di ingigantire gli elementi discreti delle immagini digitali ponendosi come ultima tappa di un percorso a ritroso che dal pixel passa per il puntinismo seuratiano, per le tessere dei mosaici e solo alla fine arriva alla creazione dei tasselli mobili. Nonostante l’apparenza però l’operazione alla base di ogni intervento di Rozin è quella di imprimere al mondo un ordine digitale filtrando i dati caotici della realtà tramite codice binario, rimane quindi profondamente tecnologica.
Nel corso degli anni la produzione dell’artista si differenzia, includendo riflessioni su aspetti diversi della percezione di sé e della realtà. La formula-specchio tuttavia si dimostra flessibile e adatta a veicolare contenuti differenti. Sostituendo ad esempio ai pixel le lancette di plastica, come accade in Angles Mirror , si spingono i limiti di ciò che viene percepito come immagine. In certi casi si aumenta la posta in gioco utilizzando negli specchi meccanici elementi riflettenti (Shiny Balls Mirror, 2003) e si invita così a confrontare l’immagine riflessa tradizionale, seppur distorta, con quella creata dal movimento degli elementi dell’opera.
Lo specchio viene declinato infine anche sotto forma di schermo, nei software mirrors, in cui il riflesso dell’osservatore è costituito da un’immagine reinterpretata da un computer. In questa serie sono particolarmente interessanti le installazioni in cui si gioca con il tempo e lo specchio è luogo dell’interazione tra percezione di sé, durata e movimento. Esempio adatto è Shaking Time, in cui solo le parti dell’immagine in movimento vengono aggiornate e rimangono a colori, mentre tutto ciò che rimane statico ingrigisce inevitabilmente e decade.
Qualunque sia la modalità in cui si presenta, il lavoro di Rozin rimane costantemente focalizzato sulla connessione con le persone e sull’incontro tra mondo fisico e universo computazionale. Il fruitore rimane protagonista e non cessa mai di sentirsi coinvolto e stimolato. In quanto innesco di una produzione di senso infatti si ritrova al centro di un meccanismo che mette in discussione la percezione del mondo, la rappresentazione del reale, i meccanismi tramite cui si riconosce nella società e si relaziona con l’arte o la tecnologia.
immagini(cover) Daniel Rozin, Angles Mirror, 2013. 465 plastic spokes, motors, video camera, control electronics, custom software, microcontroller, steel armature, photo courtesy: Bitforms Gallery, New York (1) Wooden Mirror, 1999830 wood pieces, motors, video camera, circuits, custom software, computer, photo courtesy: Bitforms Gallery, New York (2 – 3) Daniel Rozin – Shiny Balls Mirror, 2003. 921 chrome-plated spheres, motors, video camera, control electronics, custom software, micro controller, photo courtesy: Bitforms Gallery, New York (4) Daniel Rozin – Wooden Mirror, 2014. wood, motors, video camera, custom software, micro controller, photo courtesy: Bitforms Gallery, New York.