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Home News Focus

Daniel Rozin. Riflessioni allo specchio

Caterina Sinigaglia by Caterina Sinigaglia
19/04/2018
in Focus
Daniel Rozin. Riflessioni allo specchio

rozin_wooden_1999-small

Daniel Rozin, artista di origini israeliane, vive e lavora a New York occupandosi principalmente di arte interattiva, alla ricerca costante di un rapporto quasi simbiotico tra autore e spettatore (o meglio fruitore), per lo più tramite la serie degli specchi realizzati a partire dalla fine degli anni Novanta. Il primo dei mechanical mirrors è Wooden Mirror (1999), un’installazione in grado di replicare l’immagine di chi vi si pone davanti catturandola tramite una microcamera nascosta, riducendola ad un numero limitato di pixel  e riproducendola di fronte all’osservatore  tramite tasselli lignei. Questi infatti sono mossi da motori che ne modificano l’angolazione forzandoli a proiettare zone d’ombra più o meno intense e in tal modo far specchiare l’osservatore in tempo reale. Il risultato finale è un ibrido tra installazione, schermo e specchio, un mezzo per esplorare il confine tra analogico e digitale che costringe a mettere in dubbio la definizione stessa dei due termini.

Gli specchi meccanici di Rozin spesso appaiono ad un primo sguardo come opere “innocue”, attirano l’attenzione di chi si trova a passarvi accanto ripetendo una serie di movimenti automatici che creano patterns ricorrenti e giochi geometrici. Le persone, incuriosite, si avvicinano all’opera e ne scoprono il segreto solo quando i movimenti cessano di essere ripetitivi e, dopo un attimo di incertezza, diventa possibile riconoscere se stessi nelle ombre. In questo modo vengono soddisfatti i requisiti principali di un’opera d’arte interattiva ben riuscita: la presenza della sorpresa, dell’imprevisto, di un elemento comico e un irresistibile aspetto ludico che spinge a mettere in atto i gesti più disparati, cercando di testare la velocità di risposta dell’installazione.

rozin_shiny_balls_mirror

Realizzare uno specchio con materiale non riflettente significa privarlo di molte delle caratteristiche attribuite abitualmente a tali oggetti. L’eliminazione della limpida chiarezza del vetro esclude la possibilità di riconoscere la propria apparenza tramite la semplice osservazione e perdersi nella contemplazione della propria immagine. Impone invece la messa in atto di stratagemmi differenti per il riconoscimento di sé: si costringe il fruitore a verificare la natura dell’opera gesticolando.

Conseguenza del cambiamento delle caratteristiche fondanti dello specchio è una libertà inaspettata nel godimento del proprio riflesso causata dall’assenza della possibilità di essere delusi dal confronto con i propri difetti fisici. Quando non ci si preoccupa più di come si appare si abbandona il controllo consapevole della propria apparenza e si lascia spazio ad un approccio più giocoso e spensierato.

Rozin riesce ad emancipare lo specchio dalla simbologia cui è stato legato per secoli: emblema di vanitas e spesso attributo di civetteria. Con le evidenti modifiche apportate all’immagine riflessa tradizionale  è possibile far riscoprire il piacere di interagire con il proprio doppio, soprattutto in un’epoca storica segnata dalla moltiplicazione e dalla banalizzazione della propria immagine. Il fruitore si vede restituire la magia di guardarsi per la prima volta.

rozin_anglesmirror2_e

In un periodo in cui tecnologie estremamente raffinate sono sempre più diffuse e accessibili Rozin decide di evidenziarne i limiti facendoci interagire con un’interfaccia low-fi che ci sottopone a sollecitazioni tattili e sonore (prodotte dal movimento delle parti meccaniche). Un ulteriore modo per sviscerare limiti e possibilità del mondo elettronico è quello di ingigantire gli elementi discreti delle immagini digitali ponendosi come ultima tappa di un percorso a ritroso che dal pixel passa per il puntinismo seuratiano, per le tessere dei mosaici e solo alla fine arriva alla creazione dei tasselli mobili. Nonostante l’apparenza però l’operazione alla base di ogni intervento di Rozin è quella di imprimere al mondo un ordine digitale filtrando i dati caotici della realtà tramite codice binario, rimane quindi profondamente tecnologica.

Nel corso degli anni la produzione dell’artista si differenzia, includendo riflessioni su  aspetti diversi della percezione di sé e della realtà. La formula-specchio tuttavia si dimostra flessibile e adatta a veicolare contenuti differenti. Sostituendo ad esempio ai pixel le lancette di plastica, come accade in Angles Mirror , si spingono i limiti di ciò che viene percepito come immagine. In certi casi si aumenta la posta in gioco utilizzando negli specchi meccanici elementi riflettenti (Shiny Balls Mirror, 2003) e si invita così a confrontare l’immagine riflessa tradizionale, seppur distorta, con quella creata dal movimento degli elementi dell’opera.

rozin_shiny_ detail

Lo specchio viene declinato infine anche sotto forma di schermo, nei software mirrors, in cui il riflesso dell’osservatore è costituito da un’immagine reinterpretata da un computer. In questa serie sono particolarmente interessanti  le installazioni in cui si gioca con il tempo e lo specchio è luogo dell’interazione tra percezione di sé, durata e movimento. Esempio adatto è Shaking Time, in cui solo le parti dell’immagine in movimento vengono aggiornate e rimangono a colori, mentre tutto ciò che rimane statico ingrigisce inevitabilmente e decade.

Qualunque sia la modalità in cui si presenta, il lavoro di Rozin rimane costantemente focalizzato sulla connessione con le persone e sull’incontro tra mondo fisico e universo computazionale. Il fruitore rimane protagonista e non cessa mai di sentirsi coinvolto e stimolato. In quanto innesco di una produzione di senso infatti si ritrova al centro di un meccanismo che mette in discussione la percezione del mondo, la rappresentazione del reale, i meccanismi tramite cui si riconosce nella società e si relaziona con l’arte o la tecnologia.

DR_2014wooden1_e
 
immagini

(cover) Daniel Rozin, Angles Mirror, 2013. 465 plastic spokes, motors, video camera, control electronics, custom software, microcontroller, steel armature, photo courtesy: Bitforms Gallery, New York (1) Wooden Mirror, 1999830 wood pieces, motors, video camera, circuits, custom software, computer, photo courtesy: Bitforms Gallery, New York (2 – 3) Daniel Rozin – Shiny Balls Mirror, 2003. 921 chrome-plated spheres, motors, video camera, control electronics, custom software, micro controller, photo courtesy: Bitforms Gallery, New York (4) Daniel Rozin – Wooden Mirror, 2014. wood, motors, video camera, custom software, micro controller, photo courtesy: Bitforms Gallery, New York.

Tags: arsBiformsDaniel Rozinidentityperceptionreflectionsoftware
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