Opere a parete, wall drawings, elementi lineari provenienti da materiali industriali e colorati con precise scelte cromatiche ‘disegnano’ un dialogo architettonico entrando in sintonia con lo spazio di AlbumArte in maniera tanto minimale quanto potente. Le opere, ciascuna parte di un tutto, si ritrovano concretizzate dal mondo interiore di Delphine Valli, tratti visibili di un cosmo, un meta – spazio che, se lo pensiamo materializzato nella sua interezza, potrebbe contenere quello di AlbumArte. Immaginiamo tutti gli elementi che definiscono e ritmano lo spazio come punti di tangenza tra più dimensioni che si rendono visibili nel loro incontrarsi, piccoli squarci aperti in un altrove dove Delphine Valli invita ad entrare per individuare altrettanti punti di tangenza, resi visibili ciascuno con la propria individualità e sensibilità.
La realtà è sotto gli occhi di tutti ma l’opera di Delphine la riscrive. Non ci sono parole migliori di quelle di Claudio Libero Pisano, che ha curato la mostra e che il suo lavoro lo segue da anni, per descrivere il punto di partenza da dove ognuno intraprenderà il proprio percorso. I suoi ambienti sezionati e delimitati da muri – prosegue Libero Pisano – legano e avvicinano, non separano. Le sue opere creano connessioni. Non cambiano lo spazio ma lo ridisegnano formalmente, ponendo allo spettatore una domanda: ti basta ciò che hai sotto gli occhi o puoi aspirare a una diversa interpretazione di quello che vedi?
La volontà di vedere oltre è uno strumento essenziale per affinare la vista, da intendere in senso più ampio, oltre l’organo oculare. Questa volontà è il motore per accedere ad altre dimensioni, oltre l’impossibile, questo il titolo di un testo che appare nella sala principale dove i murales a parete ‘si sono da subito imposti’ come punto di partenza da dove il ‘fraseggio’ architettonico che si modula nei vari ambienti che costituiscono lo spazio. In genere, quando si vuole la luna, la si ottiene, così inizia il testo nella parete che fiancheggia i murales. Di questa tensione verso ciò che si nasconde oltre il visibile, anche l’ironia diventa un segno da seguire.
Il linguaggio entra quindi nel gioco combinatorio tra architetture di spazi, altro punto di tangenza tra più dimensioni, altro proseguimento della personalità di Delphine Valli, di cui la scelta linguistica incredibilmente pesata (e posata) è parte integrante. Di questa sua personalità sono parte anche la semplicità e l’eleganza con cui gli elementi architettonici si posano nello spazio, forti al punto di riuscire a conferire peso al vuoto, di costruire equilibri che spostano il centro dall’ordinario punto di fuga e si inseriscono nelle oscillazioni energetiche dalle dinamiche quantistiche.
Un gioco di forze è quello suggerisce la serie di carte sovrapposte all’interno di una cornice, posizionate in un piccolo spazio di connessione tra le sale principali, nelle intenzioni dell’artista intesa per creare una tensione centripeta in opposizione alla forza centrifuga del resto degli interventi architettonici nello spazio.
Nel tutto anche il titolo, Climax, entra nel gioco tensioni. Nel riferimento etimologico ad un movimento crescente [dal gr. κλῖμαξ f., propr. «scala»], ma anche nel suo utilizzo linguistico in ecologia per indicare uno stadio di assetto nello sviluppo della vegetazione di un dato territorio, Delphine ritrova la giusta tensione di un equilibrio che si sposta anche tra i suoi diversi significati. «L’essenzialità della mostra – racconta a Fabio Macaluso in un’intervista recentemente uscita per il blog de l’Espresso – la reiterazione di un elemento in particolare senza alcuna aggiunta superflua mi parlava di un’intensità che andava crescendo, evocando il raggiungimento di uno stato di assetto. Quest’ultimo lascia presagire il cambiamento, perché ha raggiunto un apice oltre il quale muta necessariamente.»
Lasciamo ora il pubblico visitare la mostra e proseguire ciascuno nella direzione verso cui gli elementi plastici instradano, nella combinazione con la propria interiorità. Perché la geometria ambigua e sghemba delle installazioni di Delphine Valli – così chiude il testo di Claudio Libero Pisano per aprirci al mondo di Delphine Valli, innesca un rapporto inedito con la percezione, dove l’ordinario può divenire straordinario.
Delphine Valli. Climax, a cura di Claudio Libero Pisano, AlbumArte, Roma, 21.05 – 6.06, 2019
immagini: (cover 1) Delphine Valli, «Tensioni in superficie», 2019. Tubolare di ferro dipinto, tempera a parete, misure ambientali. ph. Sebastiano Luciano, courtesy AlbumArte (2) Delphine Valli, «Tensioni in superficie», 2019. Tubolare di ferro dipinto, tempera a parete, misure ambientali. ph. Sebastiano Luciano, courtesy AlbumArte (3) Delphine Valli | Climax; veduta della mostra / exhibition view, AlbumArte, 2019. ph. Sebastiano Luciano, courtesy AlbumArte (4) Delphine Valli, «Tensioni in superficie», 2019. Tubolare di ferro dipinto, tempera a parete, misure ambientali. ph. Sebastiano Luciano, courtesy AlbumArte (5) Delphine Valli, «On being superficial», oilbar e pittura spray su cartoncino, ferro, vetro, cm 150×40, dal 2015, ph. Sebastiano Luciano, courtesy AlbumArte (6) Delphine Valli | Climax; veduta della mostra / exhibition view, AlbumArte, 2019. ph. Sebastiano Luciano, courtesy AlbumArte (7) Delphine Valli, sinistra: «L’imprevedibilità dei sistemi complessi», 2019; oil stick e inchiostro calcografico su cartoncino, dimensioni varie: cm 48×62, cm 63×83, cm 81×111; destra: «Nothingness (il battito d’ali della farfalla)», 2012/2019; oil stick su carta, ferro, vetro, cm 37×52. ph. Sebastiano Luciano, courtesy AlbumArte