Anche quest’anno, nell’ambito del più ampio Romaeuropa Festival, gli spazi del MACRO del quartiere Testaccio di Roma, ospitano «Digital Life», mostra e piattaforma di sperimentazione dove l’arte contemporanea incontra la tecnologia.
Lo spirito della vita digitale per l’edizione 2014, identificato col titolo Play, è incentrato su due elementi: la musica e l’interazione. Nei grandi ambienti della Pelanda si snoda un percorso di opere che fondono senza sforzo apparente la contemplazione e l’azione, l’armonia e lo stridore, la lirica del pensiero e il caos della sperimentazione.
Scomporre, ricomporre, armonizzare un racconto: è la «poesia della variazione» (1), la consonanza di diversi linguaggi, ad ispirare Babel V: Dream Man, di Douglas Henderson. Sogno l’uomo, la poesia di Russell Edson, è riprodotta, pezzo per pezzo, da speaker disposti in posizione elicoidale.
La vita quotidiana è gremita di sonorità che restano pressoché inascoltate da noi stessi che, inconsapevolmente, le creiamo. A ricordarcelo è Donato Piccolo, con la sua Orchestra Stocastica [Butterfly effect 2]. Qui elementi meccanici, che riproducono gesti e oggetti di comune utilizzo, sono legati tra loro per formare un originale ensemble: è il nostro stesso movimento nello spazio a generarne il rumore.
Pietro Pirelli, invece, con l’aiuto di Gianpietro Grossi, estende la sua installazione multisensoriale allo spazio architettonico. Un’Arpa di Luce interattiva, composta da corde laser, fa risuonare il grande ambiente come fosse una cassa acustica: il pubblico può azionarla, nell’esperienza unica del ‘vedere la musica’.
Musica e cinetica sono nuovamente interconnesse nell’istallazione di Zahra Poonawala, nella quale un muro di speaker riproduce musica da camera, mentre dei diffusori mobili ‘solisti’, seguendo il movimento del visitatore, interferiscono con il paesaggio sonoro.
Se la presenza del fruitore è causa di interferenza, con l’opera di Alexandre Burton si fa puro scontro. La sua IMPACTS si compone di bobine di Tesla sospese, che lanciano lampi elettromagnetici pericolosi e affascinanti, riempiendo l’ambiente di suoni che si fanno più acidi e stridenti con l’avvicinarsi del visitatore. Assediati da questa acustica esasperante, giungiamo davanti a Cycloid-e pronti ad apprezzarne al meglio il contrasto. Il pendolo ideato da Andrè e Michel Decosterd (COD.ACT), infatti, si compone di tubi metallici dotati di speaker, che oscillano nello spazio riempiendolo di sonorità metalliche riverberate. Armonico e casuale nel suo roteare, col suo rifulgente metallo e il richiamo all’immaginario fantascientifico è l’esperienza estetico-cinetica fra le più magnetiche in mostra.
Non solo il futuro per «Digital Life», ma anche la tradizione fornisce spunti per la sperimentazione. Telaio e campane tibetane sono elementi dall’alto valore antropologico-culturale. La loro implicazione nelle istallazioni di, rispettivamente, Léonore Marcier con La Damassana e Kingspley NG con Métier a tisser musical, produce una trama di luci e suoni di grandissima suggestione e il necessario coinvolgimento del pubblico.
L’invito alla gestualità, la partecipazione emotiva di corpo e mente sono alla base dell’opera sonora di Veaceslav Druta, Balançoire. Poetico, giocoso, infantile il suo invito a far suonare delle corde di chitarra dondolandoci su un’altalena, proiettandoci direttamente nella dimensione del ricordo, producendo così l’evocativo sottofondo dell’età perduta.
Evocare, nello specifico sensibilizzando su un tema sociale, è anche il proposito di Heewon Lee, con 108. L’immagine proiettata all’interno di un vano buio è un «film unicamente tipografico» (1), il drammatico romanzo composto dalle testimonianze di bambini orfani e abbandonati, i cui caratteri provengono dal suono di 108 carillon.
La fine del percorso espositivo di Play diventa inevitabilmente la fine di un viaggio del pensiero. Si riduce più drasticamente la distanza tra osservato e osservatore, non più insita al processo di musealizzazione. Sembra avverarsi il miracolo di fondere il calcolo all’emozione, quasi rispondendo ad un’ancestrale spinta alla consolazione poetica, mentre ci incamminiamo a grandi passi verso il futuro. Se è vero che la musica si configura atavicamente come l’arte capace di agire al livello inconscio più profondo, l’esperienza di Digital Life 2014 non può che essere totalmente lirica, inebriante, commovente: l’asettico medium dischiude il potenziale di una più umanizzata tecnologia emotiva.
(1) Digital Life 2014 >> Play, catalogo di mostra, Arti Grafiche Agostini, 2014.
immagini
(cover- 1), Pietro Pirelli, Arpa di Luce Cinisello (2) Alexander Burton, Artificiel (3) Donato Piccolo, The movement of a single electron (4) Zahra Poonawala, Tutti (5) Leonore Mercier – Damassama (6) Kingsley_NG – Metier à tisser musical (7) HEE Won lee, Le nom de l’artiste et Le Fresnoy, Studio national des arts contemporains.