Ogni volta che entro negli spazi del Mattatoio di Roma rimango sospeso e turbato… non solo dal pensiero del massacro perpetrato per anni in quel luogo, ma perché ripenso sempre a un regista che amo profondamente: Fassbinder. Chi meglio di lui ha saputo raccontare le inquietudini e le scelleratezze che si nascondono nel profondo dell’animo umano e che inevitabilmente sono a fondamento della nostra ferocemente individualista società, senza scendere a patti con il pietismo o con una morale ingessata, né tantomeno con lo spirito consolatorio dei tempi?
Ad oggi, penso, nessuno.
Ma oggi, e in particolare in questi giorni, gli spazi del Mattatoio sono tirati a lucido, o meglio sono proprio luccicanti: è in corso digitalive 2019 (seconda edizione del Festival che ha preso l’eredità di ciò che è stato digitalife) e l’arte che si fa tecnologica si mostra nel suo bagliore, a cominciare dall’installazione di Pascale Martine Tayou che mi mette davanti a una verità luminosa: l’ingresso è aperto e sono invitato ad entrare! Ovviamente fatto con una serie di insegne luminose (luccicanti) che l’artista ha raggruppato nel suo girare in tutto il modo.
Il programma degli spettacoli/concerti/eventi è stato curato da Federica Patti, attenta a seguire l’idea che ha segnato questa tre giorni e cioè che «oggi ritroviamo nelle sottoculture digitali abitudini identitarie che sembrano raccogliere l’eredità e continuare spontaneamente il culto e la tradizione, riattualizzando ritualità, folklore e simboli del passato all’interno di una dimensione futuristica ipermediata. Le suggestioni proposte quest’anno da Digitalive impongono allora all’azione scenica e alla fruizione pubblica la ridiscussione radicale dei gesti e delle norme, in termini di creazione, durata, natura, attitudini, generi e linguaggi, spazio, tempo, confini. Dinamiche che sembrano aderire all’esigenza atavica dell’essere umano di riaffermazione identitaria e appartenenza tribale».
E in effetti alcuni gli eventi portano al pubblico a volte una suggestione di tribalità (molto esotica quella degli ZU, che portano in concerto i suoni dell’Amazzonia e le voci degli sciamani, mediati dalla loro indiscutibile capacità di musicisti elettronici; decisamente meno suggestivo ma più curioso il mix di tribù proposte da Spirit X Roma di Mara Oscar Cassiani, dove i gesti delle maschere vernacolari sarde si inseriscono benissimo nei balli di una tribù, appunto, di ragazzini in maniera fluida e non conflittuale con un interessante effetto straniante), altre volte una suggestione di ricerca dell’antica energia (Jaar e Janina si fanno carico di tre ore di performance dove il corpo si muove nello spazio improvvisando sulla musica elettronica fatta anche di rumori e che evocano il contesto del quartiere: il Testaccio fatto di cocci, una sedimentazione di secoli, una danza quasi interminabile che suggestiona davvero lo spettatore e lo porta in un altrove dove spazio e tempo non lo affliggono più; mentre Franz Rosati con rumori stroboscopici e immagini ad alto volume confonde la mente e il corpo e induce a fondersi con il punto zero della materia).
O ancora la suggestione della società ipermediata, della tecnologia che si mostra nella sua bellezza: Umeda e Ultravioletto intrattengono con due differenti danze, la prima spettacolare per la despazializzazione che avviene non per mezzo del corpo ma per delle proiezioni che rendono visibile il concetto di virtuale, un corpo che sinuosamente danza in uno spazio destrutturato da molecole virtuali; la seconda che mostra le potenzialità di cinque bracci meccanici che danzano (benissimo fra l’altro) sulla base di una musica generativa (quella creata sul momento da un algoritmo, credo). Decisamente godibilissime entrambe.
Lontani da ogni tentativo di seduzione, invece, i momenti creati da tre coppie o quasi di artisti: il duo Donnarumma e Pevere, il quasi duo Malatesta e Radigue e il connubio di Beccalli e Gholmieh.
Donnarumma e Pevere creano uno spettacolo perturbante dove si mescola la storia dell’uomo con il futuro post apocalittico, la natura con la tecnologia, la volontà della carne con la necessità matematica degli algoritmi, tutto in una costruzione scenica estremamente stratificata (forse troppo, ma questo e altri piccoli errori dello spettacolo si fanno perdonare perché sono bilanciati da una potenza e da un rigore che riportano l’attenzione sempre al presente in cui si vive).
Anche Malatesta che suona Radigue è perturbante anche se in senso opposto: è intimo, uterino, delicato. Gesti e suoni sono misurati e una calma mi avvolge, mi ritrovo nello spazio del ricordo e della riflessione, non uno spazio sicuro e distraente, ma di introspezione e di concentrazione.
Infine la solidità di una idea e di una posizione davvero critica fa da centro di forza a una performance, anch’essa perturbante, quella di Beccalli e Gholmieh a cura di RE:HUMANISM, dove il corpo è costretto a negare la sua volontà perché viene guidato da un algoritmo che lo inserisce in uno stormo di uccelli virtuali e lo rende uno del mucchio: «Complessità: a human at the mercy of an algorithm» è un’opera rigorosa che mi pone delle domande senza darmi nessun tipo di orpello che mi possa giustificare: vuoi che le tue decisioni siano condizionate dalla tecnologia? La tecnologia che usi è un fine o un mezzo?
Esco dal Mattatoio e mi lascio alle spalle le suggestioni, le luci, i rumori, i suoni, le danze degli eventi. Non riesco però a scrollarmi la sensazione di disagio di questi ultimi tre eventi di cui ho parlato. È un disagio salutare, è un disagio che mi mette di fronte al mondo e alle sue contraddizioni, al mio dover prendere una posizione perché i tempi sono feroci e l’eccesso di individualismo annulla proprio il mio essere individuo che sceglie di fare parte di una comunità. Mi accendo la solita sigaretta e ripenso a Fassbinder e alla sua capacità di perturbare il suo pubblico, senza suggestionarlo.
immagini: (cover 1) Hiroaki Umeda, Median ©s20 (2) Nicolas Jaar e Stephanie Jananina, Miércoles. Alba Ruperez. Mira Festival 2018 (3) ZU – the ship (4) REF19, Digitalive, Mara Oscar Cassiani, Spirit X Roma, photo: Giada Spera (5) REF19 Digitalive, Franz Rosati, Hylectics, photo: Cosimo Trimboli (6) REF19. Digitalive, Marco Donnarumma, Margherita Pevere, Human Methods, photo: Giada Spera (7) Malatesta – OCCAM. Foto di © Charlotte Bohn (8) Ultravioletto – Sonic Arms © Francesco Bruno Viteri