Pasquale Polidori prosegue la sua attenta visita a Documenta 14, ora in corso a Kassel, guidandoci oggi nella mostra ospitata nello Stadtmuseum, una delle sedi di una manifestazione sempre più espansa nel territorio urbano.
…Osservare i visitatori nella piazza e godersi una tranquilla passeggiata non è un modo per sottrarsi al lavoro culturale. È che non abbiamo alcuna fretta; siamo già stati qui altre volte, non è la prima visita. Il primo giorno anche noi eravamo confusi e ansiosi, quando molti tentativi di comprensione fallivano e noi non avevamo nessuna intelligenza del percorso. Eravamo, allora, come api impazzite che non ritrovano la via dell’alveare. Ora è diverso. Abbiamo il passo di chi non deve più catturare il segreto; dopo tre settimane, abbiamo maturato una certa confidenza con il senso. Perciò siamo felici anche di annoiarci e di vagare; felici di non dovere nulla a questo teatro e di poterlo percorrere senza imbarazzi e né vergogna. Per dire, quel residuo di ottusità che in noi resiste alle spiegazioni totali del Coro e del Team curatoriale, ci fa quasi piacere, ce ne facciamo un punto d’orgoglio: non vogliamo capire ogni minima cosa.
Siamo diretti all’ultima sede non visitata, lo Stadtmuseum. Il museo comunale ospita sei lavori di documenta14; un piccolo nucleo che, data la sede, sviluppa l’argomento della cittadinanza e della convivenza urbana.
Fortuna vuole che il primo lavoro che incontriamo è quello di Anna Daucikova, Thirty-three Situations (2015), un video di 108 minuti. Entriamo nella saletta, ci sono poche sedie, due altri visitatori per un po’ ci fanno compagnia, poi vanno via; noi rimaniamo soli a concentrarci sulla lenta e ipnotica messa a fuoco di una successione di volti, fotografie, oggetti domestici, e fogli dattiloscritti appiccicati a una finestra di casa, da cui emergono, brevi e schematiche, le storie di persone osservate per strada, alla dogana, in aereo, nei luoghi di lavoro, in situazioni di vita quotidiana, in Russia. Daucikova, slovacca, vi abitò negli anni ’80, vivendo segretamente la relazione omosessuale che l’aveva portata a scegliere il paese, frequentando artisti e dissidenti, e coltivando uno sguardo sensibile alla sorveglianza e ai dettagli dei comportamenti umani. La delicata sinteticità della scrittura fa pensare a un Raymond Carver fatto a pezzi e rinvenuto, fuor di letteratura, in un rapporto poliziesco, attento a documentare le dinamiche sociali che coinvolgono la sessualità, soprattutto l’omosessualità femminile. Restiamo una mezz’ora, poi ne usciamo con l’idea di tornarci nei giorni successivi.
Un altro video (Hiwa K, View from Above, 2017) ci cattura, dove una voce racconta le vicende di un rifugiato politico iracheno, mentre le immagini sono quelle, ravvicinate e ambigue, del plastico di Kassel dopo i bombardamenti del ’43, conservato nella sala a fianco. Non prestiamo la dovuta attenzione all’interessante lavoro di Peter Friedl, Report (2016), un video in cui si documentano le prove di enunciazione, svolte da diversi attori, di Una relazione per un’Accademia di Kafka. E un sano istinto a proteggere l’intimo e lucido senso di malinconia, trasmesso da Daucikova al nostro sguardo, ci spinge a evitare sia l’aggressiva analisi della speculazione edilizia ateniese svolta da Andreas Angelidakis, e sia l’insopportabile feticismo per le armi di Regina Jose Galindo. Ma non evitiamo la sala di Hans Eijkelboom, i sorprendenti reportage sulle variazioni e le costanti, in migliaia di ‘tipi umani’ fotografati per le strade cittadine. È ora di andare. Ci aspetta un’esperienza che si rivelerà straordinaria, ossia la performance di Phia Menard all’Henschel-Hallen, un’ex fabbrica metallurgica alla periferia di Kassel.
All’indirizzo che abbiamo corrisponde una porta chiusa e improbabile. Ci mettiamo così alla ricerca del luogo-vero, insieme ad altri disorientati con i quali scambiamo battute sulla dolente (e poco democratica) vaghezza di indicazioni che sembra affliggere questa documenta. Dopo un giro dell’immenso isolato, troviamo finalmente l’ingresso: una strada che ci apre la vista dell’affascinante edificio abbandonato, il rudere industriale circondato da ferri vecchi ed erbacce altissime e rigogliose…
… to be continued…
Pasquale Polidori è artista e filosofo multimediale e multidisciplinare, sperimentatore di ogni mezzo (tecnologico e non) che possa estendere la sua pratica estetica che ragiona con particolare forza attorno al linguaggio. Pasquale Polidori intraprende la narrazione di un viaggio che dalla visita della manifestazione prosegue in una sfera più intimistica, dove ragionare su tematiche universali che ruotano attorno all’arte tutta, al suo modo di occupare gli spazi, di raggiungere il pubblico attraverso il canale istituzionale (o di o di esserne tenuta a distanza).
Post precedenti:
L’unità di luogo è (ormai) impossibile
Documenta 14. Luogo e Topos. Pt.I
Documenta 14. Luogo e Topos Pt. II
Siamo tutti servi (ma il padrone non esiste).
Teoria e opere
Documenta 14. Al lavoro, voi che parlate! (Un pomeriggio perfetto) Pt 1
Documenta 14, a cura di Adam Szymczyk con un team di circa 18 curatori
10.06-1709.2017, Kassel, Germania (e Atene, fino al 16 luglio)
immagini: (cover 1) Photo Notes 1992–2017 (2017), 270 inkjet prints, 50 × 60 cm each (2) Thirty-three Situations (2015), Digital video, color, sound, f108:56 min. (3) Hiwa K, Pre-Image (Blind as the Mother Tongue), 2017, digital video, installation view, Athens Conservatoire (Odeion), documenta 14,. Photograph: Mathias Völzke