Prosegue il viaggio di Pasquale Polidori a Documenta 14, ora in corso a Kassel, questa settimana con una riflessione sulle politiche curatoriali, in cui includere il ruolo delle guide, mediatori tra opere e visitatori, per questa edizione investiti del ruolo di Coreuti.
…Usciamo dopopranzo. Da casa a Kassel ci sono cinquanta chilometri di boschi, campagna e paesini; la strada è senza traffico, come sempre, e il viaggio offre la rilassante visione delle più ricche variazioni di verde che si possano sperare, in un paesaggio estivo rinfrescato da frequenti piogge e dove la temperatura negli ultimi giorni è scesa fino a 12 gradi. Ma oggi è una bella giornata di sole, un venerdì di luglio, e l’estate è evidente dappertutto: le mucche immobili sui prati; le barche lungo il Weser luccicante; i turisti vestiti leggeri in bicicletta e a piedi; il cielo, al momento pulito, che solo qua e là si attrezza di nuove nubi per la prossima pioggia.
Veniamo fuori da questa cartolina solo all’arrivo in città. Parcheggio comodo in pieno centro, sotto il Teatro Comunale, nessun affanno, qui le automobili sono addomesticate; l’opulenta e industriosa città barocca e poi neoclassica, rasa al suolo nel ’43, fu ricostruita all’insegna della modernità razionale e fordista, negli anni di una graduale e (ancora per molto) traumatizzata ripresa economica, culturale e democratica.
Una intera sezione di documenta14 alla Neue Galerie è dedicata proprio al milieu culturale che portò Kassel a diventare la città di documenta, e quindi a dare vita alla prima forte ridefinizione critica e civile dell’arte in Germania attraverso una proposta espositiva, ponendo così, già nel 1955, una questione che oggi diremmo di politica curatoriale. Arnold Bode, pittore e sindaco della città; Fritz Winter, allievo di Klee, Kandinsky e Albers, fondatore del collettivo Zen49 (Astrattismo, Informale); Lucius Burckardt, professore di sociologia alla facoltà di Architettura di Kassel e studioso del paesaggio; e in una teca un quaderno, fitto di scrittura spedita e senza correzioni (German Diary #2, 1936), ci ricorda che Samuel Beckett era spesso a Kassel, tra gli anni ’20 e ’30, e che qui trovò il suo primo amore in Peggy Sinclair, figlia di un commerciante d’arte irlandese trasferitosi a Kassel per seguire gli artisti dell’avanguardia tedesca; il ritratto di Peggy del 1928 fu eseguito appunto da Karl Leyhausen, stessa generazione di A. Bode e con lui protagonista della Kassel Secession, morto suicida nel ’31, prima della barbarie.
Quando dal parcheggio usciamo su Friedrichsplatz, lo scenario è quello di una vivace umanità intenta al lavoro culturale, nella vacanza del fine settimana: nell’ampio rettangolo della piazza, che sulla carta ha un disegno più definito di quanto non sia percepibile nella realtà, centinaia di persone vanno e vengono tra il Fredericianum e la Documenta Halle; fanno la fila davanti ai Guardaroba, dove in rispetto alle regole di sicurezza tutti devono lasciare borse e zaini; si affollano all’ingresso delle sedi espositive; si scambiano saluti e informazioni ai semafori di Frankfurter Strasse, l’arteria che taglia e scompiglia la forma della piazza; si riposano sui gradini del Partenone dei Libri (Marta Minujin), ancora in costruzione, con gli operai sulle gru che continuano a rivestire di libri la grandiosa armatura in ferro delle colonne; sfogliano i cataloghi e studiano le mappe; si raccolgono in cerchio intorno alle guide… Le visite guidate di documenta14 si chiamano Chorus Walks e fanno parte del programma denominato Aneducation.
Nell’intento ossessivo di ribattezzare e “ri-significare” ogni parte dell’esposizione, anche le guide sono investite di un ruolo nuovo, quello del Coro nella tragedia classica, ossia di fare da intermediari tra il pubblico e gli attori, stimolando le coscienze, accendendo discussioni, interrogando i personaggi (che qui sono le opere esposte) e chiedendo conto del loro agire. Che suggestiva immagine del rapporto tra soggetto guardante, opera d’arte agente e mediatore parlante! Ma il lavoro del coreuta avrà raggiunto il suo scopo solo quando i verbi si saranno scambiati e riscambiati, dunque: soggetto parlante, opera d’arte guardante e mediatore agente; oppure soggetto agente, opera d’arte parlante e mediatore guardante. In questo scambio di sguardi, parole e azioni sta il senso della visita guidata e partecipata dal Coro. E osservarli parlarsi e ascoltarsi per lunghi minuti, in piedi, in cerchi di massimo 15 persone, prima ancora di entrare al museo, trasmette un senso di curiosità (chissà che si dicono…) e di fiducia per le sorti dell’arte e delle strategie espositive…
…to be continued…