Oggi, l’ultima di otto tappe del viaggio di Pasquale Polidori a Documenta 14 con l’emozionante performance Phia Menard e una nota conclusiva sull’esperienza di Kassel, di oggi e di ieri.
…Ci mettiamo in fila insieme ad altre tre o quattrocento persone, pochi da fuori e quasi tutti di Kassel e dintorni. Inizia la performance. In un’ora e mezza di fiato sospeso Phia Menard, da sola, costruisce in palcoscenico una grande casa di cartone, dal disegno regolare e infantile, tra rumori amplificati di nastro adesivo e di ambigui attriti; poi, con una sega elettrica, ne ritaglia le pareti, dando alla casa l’aspetto di un tempio; infine si siede e guarda crollare l’edificio sotto il peso di una pioggia d’acqua fitta e incessante, che per una ventina di minuti allaga il palcoscenico e si confonde tra i fumi e i rumori di una scioccante catastrofe…
L’azione messa in scena da Phia Ménard (Immoral Tales, Part 1, The Mother House, 2017), scarna nell’idea e magnificamente emozionante in ogni singolo gesto, ha asciugato i ragionamenti e commenti sulle cose viste nel pomeriggio, facendoci entrare in un silenzio mentale che ci accompagna nel rientro in campagna, a notte fonda, attraverso l’oscurità dei boschi e dei paesini, grati al caso di averci fatto assistere all’opera di Ménard e convinti che, con un po’ di fortuna ed evitando certe tautologie morali, documenta14 è un’esperienza estetica toccante e coinvolgente.
Nota conclusiva abbreviata.
Si sottovaluta sempre troppo il ruolo che il caso gioca nel giudizio critico di una mostra d’arte di tali dimensioni, ma basterebbe un po’ di ragionevolezza e fiducia nei numeri per capire che, anche per i critici di professione, la formula attualmente disponibile delle biennali e manifestazioni simili non è adatta a giudizi affrettati. E forse curatori di documenta14, con un atto di coraggio in più, avrebbero fatto bene ad abolire il rito dell’inaugurazione; quei due o tre giorni di carosello non consentono alcun incontro con le opere e tutt’al più danno modo di farsi un’idea del discorso che amministra le opere, il che dal punto di vista dell’estetica equivale a un mezzo fallimento.
Quando parliamo di estetica, parliamo della possibilità concreta di intendere e esperire l’opera al di là del suo inserimento strumentale in un ampio contesto argomentativo, e di come si stabilisca una dialettica tra ‘opera’ e ‘teoria della grande mostra’ in modo che l’opera non ne esca diminuita. Infatti, a parte i giudizi critici, che su documenta14 sono generalmente (e, appunto, affrettatamente) negativi, rimane sempre il problema di cosa significhi fare un’esperienza estetica secondo l’impostazione dettata da documenta14.
In coda per entrare all’Henschel-Hallen, una donna di Kassel, che giudicava fredda e disorganizzata l’edizione attuale di documenta, poneva una domanda che sembrerà da ufficio turistico, ma che invece è una delicata questione da aula universitaria, corso di Fenomenologia dell’Arte Contemporanea: un visitatore che venga a documenta14 per un giorno o due, che cosa vedrà e che impressione si farà?
In che modo la variabile del tempo interferisce con l’esperienza e il giudizio su di essa? Come avviene il contatto e la conoscenza dell’opera in un contesto così allargato e complesso, dove la messa a fuoco spesso dipende da fattori fortuiti, quando non dalla fama già consolidata dell’artista? E se l’opera, invece di essere un oggetto esponibile, diventa un ‘materiale’ dalle diverse radici? Una pianta eteromorfa fatta non solo di linguaggio, che va vissuta (non la sola interpretazione) in forme alternative alla pura visione o momentanea partecipazione nel contesto artificiale dell’esposizione? E se pure noi accettiamo che l’esperienza estetica di documenta14 non consista nell’incontro con le opere (quello si farà o non si farà, o magari è rimandato ad altri tempi e modi…), ma invece con la comprensione di una lezione politica e morale che, cominciata assai prima della collocazione dell’opera nello spazio di Kassel, oggi va rincorsa e rintracciata nelle opere esposte, meno che nelle antologie critiche e nei commenti e spiegazioni del Coro, come va compiuta questa comprensione nell’arco di una visita a Kassel?
documenta14 ha il grande merito di sollevare queste domande in modo esplicito e irritante, e qualche volta suo malgrado. Da un lato, si evita il catalogo delle opere perché ci si rende conto che non funzionerebbe con l’impostazione generale e che non è di sole opere che si sta parlando; si accampa la giustificazione di lasciar libero il visitatore di fare esperienza a suo modo, e secondo la sua libera volontà (grazie!), di una mostra dove le informazioni sugli artisti sono sintetiche o rispondenti alla sola argomentazione generale della mostra; infine, però, si chiede al Coro di indirizzare lo sguardo all’oggetto, usando la parola per spiegare ai visitatori la visione del Team curatoriale.
Nel 1955, Arnold Bode presentò l’idea di fare una esposizione d’arte a Kassel sul pretesto di una esposizione floreale che in quegli anni già vi si svolgeva, e che avrebbe rappresentato un facile modello logistico per la prima documenta. Occorre dire, però, che nel frattempo le rose si sono fatte più spinose.
[Questi appunti, che devono molto al confronto con Marco Santarelli con il quale ho condiviso l’esperienza di documenta14, sono dedicati alla memoria di Luigi Billi (1958-2016), in ricordo del primo viaggio a Kassel nel 1997, e della faticosa e vana ricerca di un’opera di Lois Weinberger, che infine ci stava sotto gli occhi (sotto i piedi), perfettamente non vista]
Pasquale Polidori è artista e filosofo multimediale e multidisciplinare, sperimentatore di ogni mezzo (tecnologico e non) che possa estendere la sua pratica estetica che ragiona con particolare forza attorno al linguaggio. Pasquale Polidori intraprende la narrazione di un viaggio che dalla visita della manifestazione prosegue in una sfera più intimistica, dove ragionare su tematiche universali che ruotano attorno all’arte tutta, al suo modo di occupare gli spazi, di raggiungere il pubblico attraverso il canale istituzionale (o di o di esserne tenuta a distanza).
Post precedenti:
L’unità di luogo è (ormai) impossibile
Documenta 14. Luogo e Topos. Pt.I
Documenta 14. Luogo e Topos Pt. II
Siamo tutti servi (ma il padrone non esiste).
Teoria e opere
Documenta 14. Al lavoro, voi che parlate! (Un pomeriggio perfetto) Pt 1
Documenta 14. Al lavoro voi che parlate! Un pomeriggio perfetto Pt.2
Documenta 14, a cura di Adam Szymczyk con un team di circa 18 curatori
10.06-1709.2017, Kassel, Germania (e Atene, fino al 16 luglio)
immagini (cover 2) d14. Henschel-Hallen. © Mathias Voelzke (1) Phia Ménard (Immoral Tales, Part 1, The Mother House, 2017)