Si sta per concludere al MAXXI la programmazione di Doppio Schermo, la rassegna a cura di Bruno Di Marino che, dallo scorso 9 settembre, ha messo in scena film e video d’artista italiani dagli anni Sessanta ai nostri giorni. La sua complessità in termini di varietà nonché di quantità del materiale mostrato (circa cento opere realizzate nell’arco di quasi sessant’anni) impone una serie di riflessioni che scaturiscono prima di tutto dal dichiarato obiettivo didattico: pur essendo necessariamente una selezione non completa, la rassegna ha inteso tracciare le linee evolutive del cinema e del video d’artista nostrani dalla loro nascita a oggi. Storicizzare, ma anche fare il punto sulla produzione attuale, insomma, come del resto appare necessario in un museo dedicato alle arti del XXI secolo. Doppio Schermo non è che il terzo appuntamento di un progetto avviato lo scorso maggio dal MAXXI, Artapes, a cura di Giulia Ferracci, che omaggia col suo nome una delle realtà produttive più all’avanguardia nell’Italia degli anni Settanta, Art/Tapes/22. Con questo progetto, il museo ha inaugurato la nuovissima Video Gallery, realizzata grazie alla collaborazione della casa di produzione «In Between Art Film» e pensata come spazio interamente dedicato alle proiezioni video. Adottando la formula allestitiva della black box, questa “galleria” si rifà al modello cinematografico per donare allo spettatore la possibilità di sostare e guardare, senza alcuna interferenza visiva e sonora, le immagini in movimento.
Un isolamento fisico, che offre condizioni di osservazione ottimali, ma anche concettuale: il video è sottratto al percorso espositivo lungo le sale del museo e inserito in un percorso di tipo diverso, che tiene conto della specificità di questo medium. Ovviamente sono escluse da queste considerazioni le videoinstallazioni che, pur con le eventuali difficoltà tecnologiche, non generano dubbi circa il loro allestimento spaziale. Il video monocanale invece, soprattutto nell’era della sua pervasività in internet, assume le sfumature più disparate e genera interrogativi circa la sua giusta collocazione nelle sale museali.
Nella rassegna di Bruno Di Marino, lo schermo per la proiezione domina la sala e viene assunto quale paradigma di visione dotato di un’intrinseca dualità. Esso è «superficie di proiezione ma anche filtro»[1]: oltre a rivelare l’immagine, può velarla, schermarla appunto, ossia diventare dispositivo di mediazione. Ma il titolo Doppio Schermo allude anche alle ibridazioni, agli scambi reciproci e ai confini sfumati tra le varie tipologie di immagine e, più precisamente, tra il cinema e il video.
Le due diverse tecnologie, l’una di origine fotografica, l’altra di natura elettronica, hanno a lungo diviso la produzione delle immagini in movimento in due sentieri diversi, per poi ricongiungersi grazie all’avvento del digitale che ha spazzato via tanto la pellicola quanto il nastro magnetico. Questa e altre microstorie potrebbero essere disegnate nella fitta trama intessuta da questa rassegna che, con i suoi quattro programmi di quattro ore ciascuno, ha progressivamente aggiunto un tassello a una storia troppo complessa per essere narrata in modo lineare. Si è cominciato con il cinema sperimentale degli anni Sessanta (tra gli altri, Gianfranco Baruchello, Alberto Grifi, Mario Schifano, Luca Patella), per poi passare, col decennio successivo, a un confronto tra le pellicole di Franco Vaccari e Ugo Nespolo e i primi videotape di Michele Sambin, Vincenzo Agnetti e Giuseppe Chiari.
Il terzo programma ha messo insieme gli anni Ottanta e Novanta, evidenziando la varietà dei linguaggi, dalle sperimentazioni su pellicola di Paolo Gioli, all’uso del computer per le animazioni e la creazione di immagini di sintesi. L’ultimo capitolo, dedicato al nuovo millennio, non poteva che mostrare, al di là dell’uso consapevole della pellicola da parte di alcuni artisti quali Rosa Barba e Leonardo Carrano, il dilagare del digitale e dell’alta definizione che riporta l’immagine elettronica a sconfinare nuovamente nel cinema, soprattutto se il video ha un taglio narrativo. Le consuete programmazioni sono state poi affiancate da proiezioni extra delle opere di durata maggiore e dal ciclo di lezioni Le storie del cinema d’artista.
All’apparente linearità, che ha visto succedersi l’uno dopo l’altro i decenni di questa storia, si è contrapposto il voluto contrasto – nelle singole programmazioni – tra temi, estetiche e tecnologie, che ha lasciato parlare la successione ininterrotta di video. Proprio questi confronti, tra i disegni animati secondo la tecnica cinematografica e le elaborazioni computerizzate, tra l’ostentazione della pellicola mostrata nella sua fisica materialità e la trasparenza dell’alta definizione, tra un’estetica glitch e la sofisticazione delle opere più recenti, suggeriscono gli spunti di riflessione più interessanti.
Come in un libro che fa incontrare e scontrare i frammenti di una storia, il grande schermo è stato assunto quale dispositivo privilegiato di lettura di quasi sessant’anni di storia del film e del video d’artista. Nel doppio schermo del MAXXI sono condensati in realtà gli schermi di piccole e grandi dimensioni che nel corso di questi decenni hanno visualizzato immagini in movimento così diverse tra loro. E’ noto, ad esempio, che prima dell’avvento dell’alta definizione il video sia stato relegato al “piccolo schermo”, quello della televisione, per il quale del resto alcune delle opere viste in questa rassega, come sigle e pubblicità, sono state in origine pensate. Al contrario, l’ultimo capitolo di questa storia, che va dal 2000 a oggi, ci mostra come il digitale decreti la definitiva instabilità di immagini che, nella totale immaterialità della loro sostanza, possono essere visualizzate tanto nei pochi centimetri di uno smartphone, quanto nelle grandi dimensioni di una proiezione.
Dedicare uno spazio simil-cinematografico all’interno di un museo per una rassegna che attraversa tutta la storia del video e del film d’artista italiani invita a interrogarsi sull’attuale pervasività del video e su quali siano le soluzioni espositive migliori, ben consapevoli che una risposta definitiva a queste domande non può essere data.
[1] Bruno di Marino (a cura di), DOPPIO SCHERMO. Film e video d’artista in Italia dagli anni ’60 a oggi, Manfredi Edizioni, Roma 2017, p. 21
Doppio Schermo, rassegna video a cura di Bruno di Marino, Museo MAXXI, fino al 9 novembre.
Nell’ambito del ciclo Le storie del cinema, realizzato nell’ambito della rassegna, il 14 dicembre si terrà l’ultima lezione con Sandra Lischi, Tecniche Miste. Tra Film e Video, Museo MAXXI, ore 18.00
immagini: (cover 1) Franco Angeli, Souvenir, 1984 (2) Luca Patella, Terra animata, 1967 (3) Gruppo 70, Volerà nel 70, 1965 (4) Luca Patella, Grammatica dissolvente – Gazzùff! Avventure & cultura, 1974-1975 (5) Michele Sambin, Blud’acqua, 1972 (6) Donatella Landi, Je t’aime je t’aime, 1999 (7) Mario Sasso, La ruota di Duchamp Novecento, 2003-2004 (8) Ra di Martino, The Show MAS Go On, 2014