Pubblicato nel luglio 2022, il catalogo “Enrico Pulsoni 1975-2021” intreccia la trama della produzione artistica dell’artista, ordinandone le numerosissime esperienze e svelandone il fil rouge del suo «discorso poetico». Un discorso che colpisce per essere chiaro eppure inafferrabile, come tutti i veri discorsi sono.
Difficile, quasi impossibile, condensare in un libro, anche se da centinaia di pagine, la vita di una persona, artista o meno che sia. E se parliamo di un artista, anche solo condensare la sua arte in un dedalo di fogli ordinati, eppure caotici, appare operazione ardua e inconcludente; le immagini delle opere, i testi critici, le fotografie d’archivio, possono solo accennare ad un mondo che tra passato e presente ricuce il pensiero, le scelte e le azioni di chi di quell’arte ne è il creatore. Accrescendo ancora la difficoltà, possiamo pensare a questo libro, possiamo pensare, cioè, all’intera produzione di un artista come Enrico Pulsoni, così eclettico e sperimentatore di media differenti, sempre in contatto con il passato eppure mai antiquato, da porsi in un difficile collocamento nel pensiero di chi questo volume lo sta sfogliando. Un’operazione che nella sua massima espressione è utopica, ma importantissima per «ordinare» (immanentemente) e «accarezzare» (trascendentemente) pensieri e azioni di quasi mezzo secolo di vita, tra quadri, libri d’artista, terracotte, metalli e papier maché, ma anche tanto teatro, che a differenza della propensione intima e saturnina della pittura e della scultura, è fatto di spazio comune, di relazioni e di reazioni.
Questi due mondi in Pulsoni collidono costantemente in quella che può sembrare una contraddizione in termini, ma che in realtà è la scintilla vitale della sua produzione artista. La propensione contemplativa della sua produzione pittorica fa da contraltare alla natura dell’artista di essere un «catalizzatore» di eventi, di situazioni, di produzioni artistiche collettive e preziose come le linee di libri d’artista cinquantunosettanta e Duale.
Questo essere contemporaneamente in sé e nel proprio tempo è caratteristica tipica di un certo fare artistico degli anni Settanta italiani: proprio il periodo a cui risalgono i suo primi lavori su carta, tra geometria, collage e concettualismo. Agli albori degli anni Ottanta, poi, in quell’onda che dimostrerà l’immortalità della pittura, tra le opere di Pulsoni iniziano a comparire tele dipinte in un neo-espressionismo, che opera dopo opera, pagina dopo pagina del catalogo, deriva in una personalissima poetica profonda e ironica, tra segno e immagine, a tratti più cupa, a tratti più giocosa, sempre con caratteristiche metafisiche, in bilico tra figurazione ed astrazione, primordiale ma per nulla loquace, un’enciclopedia sensoriale inconsistente e profonda, basata sulla vista, che trova una delle sue più interessanti punte con la serie VoltiTraVolti, ma che con le opere scultoree accoglieranno anche gli altri sensi, in una sinestesia fortemente in linea con ciò che queste opere bidimensionali già accennano, malgrado il loro essere dominate, per loro stessa natura, dall’occhio.
Ed ecco che, dopo l’introduzione all’artista scritta da Antonello Tolve e la lunga sequela pittorica di cui abbiamo accennato, proseguendo nel catalogo, troviamo i libri d’artista, spesso in unica copia, e non di rado «sculture» a tutti gli effetti, con una loro proprietà spaziale che si relaziona al contenuto senza soffocarlo nella forma, in assoluto equilibrio, e successivamente le terracotte, prodotte dagli anni Ottanta in poi, e i metalli, prodotti dal decennio successivo.
In queste opere scultoree appare chiaro da una parte il proseguimento della poetica pittorica dell’artista nella terza dimensione, e dall’altra, l’importanza campale del segno (grafico o iconico) che trasforma l’opera in un rebus, o meglio ancora, dato che di metafisica abbiamo parlato, in un enigma, che pone il cervello in relazione con l’occhio (questo anche nei libri e in parte della produzione pittorica), ma nelle opere tridimensionali, entrambi si relazionano anche con il tatto (da intendersi anche banalmente come impulso nervoso sinestetico o come presa in considerazione dello «spettatore» o’dohertyano).
Proseguendo ancora, troviamo un piccolo numero di pagine che si riferiscono alle cartapeste, e qui c’è qualcosa di ancora nuovo, o meglio, delle sfumature nuove di una poetica sempre fedele eppure mai simile, mai caduta nella trappola di finire epigona di se stessa. Queste sculture, che accolgono l’informe, in questo materiale «teatrale» così relativo, fragile e leggero eppure compatto e resistente, nelle diverse serie (Dagenerati, Sogni di spettri, Mementi molli) ma anche nell’opera ambientale Tragedia degli esclusi, sono un’ottima trasposizione della pittura dell’artista: sensazioni pittoriche che pur restando «sensazioni», scavalcano lo Spazio per diventare materia (in)consistente della vita dello spettatore che si trova davanti ad esse. Essenza teatrale senza teatro, recitazione pura di oggetti informi meta-umani che diventano attori dell’essenza – quando non sono effettivamente parte fondamentale di uno spettacolo teatrale, come nel caso di Sogni di spettri.
E quante altre cose si potrebbero ancora dire, magari prendendo spunto e lasciandoci aiutare dalla bravura poetica e critica delle numerose personalità nell’ampia antologia critica curata da Giulia Perugini nel finale del catalogo, come ad esempio Enrico Cocuccioni che definisce il lavoro dell’artista, in un articolo del 1984 su leArti news, mosso «da un’attenzione tattile per la materia della pittura. Da un sereno e leggero automatismo che lascia proliferare gesti fugaci, segni allusivi, forse ad una segreta biologia dell’immagine»; o, per restare ancora nella pittura, Paolo Balmas, che scrive in Flash Art, nel 1983:
La pittura di Enrico Pulsoni con i suoi toni acerbi e raffinatissimi, con l’evidenza della sua vocazione strutturale e l’ampiezza sorprendente dei suggerimenti e delle suggestioni è una bella, sicura e vibrante prova della vitalità […] propria di quello splendido moto dell’intelligenza, di quella irreversibile conquista del pensiero e dei sensi cui è stato dato il nome di astrattismo.
O ancora, servendosi dell’autobiografia in terza persona dell’artista: pagine ricche di eventi e curiosità, che tra dati anagrafici, mostre a cui l’artista ha preso parte, frammenti di testi critici e riflessioni personali, danno contemporaneamente un senso oggettivo e soggettivo al racconto di una «vita artistica». Essa termina con una frase che racchiude tanto del modo di lavorare di Pulsoni, fondato sul disegno, elemento nei libri d’artista approfondito, e nei quadri o nelle sculture sempre presente sotto-traccia, e fondamenta e motivazione di un’arte magmatica che trova senso nella pulsione del suo farsi: «Ma», come dice l’artista, «il disegno è base e filo conduttore e, a volte, vira verso un geometrismo che lo dirige verso il riduzionismo scultoreo; viceversa se la deriva che prende figuratività, allora la deriva lo porta alla fragilità delle creazioni con tutti gli spettri, più o meno loquaci, insite in essa».
Enrico Pulsoni 1975 | 2021, a cura di Antonello Tolve (antologia critica a cura di Giulia Perugini), Vanilla Edizioni 2022