Da diverso tempo, Federica di Carlo e la sua creatività si posizionano tra terra e cosmo e lo fanno attraverso un viaggio partito da indagini e riflessioni sulla percezione dell’uomo, sulla luce, quella che costruisce immagini nello sguardo, che genera arcobaleni e tanto altro. Da qualche tempo il suo sguardo si rivolge al cosmo, al sole, alle stelle, fino a come tutto questo è restituito dalla nostra percezione attraverso luce e ascolto. Scienziati di tutto il mondo hanno aperto i laboratori più inaccessibili perché gli esperimenti rivolti ad indagare la materia cosmica possano essere colti dallo sguardo e dalla sensibilità di questa artista, un pò scienziata un pò sognatrice. I mondi che si aprono di fronte alla conoscenza e alla sensibilità di Federica di Carlo si concretizzano in installazioni, fotografie, oggetti, collocati in sottili zone di confine e nella forza, nella fragilità e nell’equilibrio che abitano e che sorregge ogni cosa.
Volevo il Sole, bozza in gesso di una mano che cattura un sole e una fotografia che ritrae il dettaglio della statua di Urania, dea dell’Astronomia (conservata all’interno dei Musei Vaticani) materializzano un frammento di questo mondo cosmico nello spazio dedicato ai gessi della Galleria Nazionale d’arte a Roma, dove sarà visibile fino al 14 ottobre.
La mano in gesso compie un gesto impensabile, afferra il sole, lo porta sulla terra con la stessa convinzione con cui si cerca di afferrare qualcosa in un sogno lucido e di portarlo con sé. La mano in gesso sporge in bilico dal grande tavolo dedicato ai gessi dove si nasconde tra gli altri lavori.
Se ad un primo sguardo erano passati quasi inosservati, quando incrociano il nostro raggio visivo, in quel momento, la scultura, la mano, il gesto, la sua posizione, iniziano ad occupare un posto centrale. Mettiamo a fuoco, rallentiamo, osserviamo. Il gesso inizia a distinguersi come un intruso, bianco, fresco di un tempo di lavorazione recente. Il suo equilibrio precario diventa enorme. Scopriamo che in realtà il sole non è quello che la mano contiene. Piuttosto, è sul ciglio che divide il possibile dall’ impossibile, esiste e corre sulla linea dell’equilibrio, in questo caso restituito anche in termini installativi.
La mano sporge dal tavolo e la palla che afferra, proprio lei, sembra pesare verso il basso, attimo e brivido che si prolunga, un susseguirsi di momenti; ciascuno sembra quello destinato alla caduta, alla frantumazione del sogno.
La voglia di prenderla al volo, di salvarla dalla caduta è istintiva. Lo slancio libera anche il visitatore più attento dalla griglia di regole della fruizione museale: «si guarda ma non si tocca». Ma qui qualcosa è in pericolo e l’installazione stessa si trova fuori dalla consuetudine installativa, occupa uno spazio inaspettato, sporge dal tavolo, dalla bacheca, dall’aura che lo separa da ciò che si può pensare come afferrabile. Ma tutto è in questo momento, sospeso, qui è dove e quando dobbiamo cercare il sole. La mano che lo afferra è un’illusione, una rappresentazione di questo momento. Se tolto da quella posizione il sole smette di esistere. Il suo tentativo di salvataggio può rivelarsi letale.
L’impossibilità del suo posizionamento rimbalza in quella del magenta, colore inesistente per lo spettro visibile, che filtra il dettaglio ritratto della mano di Urania colta nel gesto di sostenere il sole in una posizione di equilibrio. Grazia, misura e fragilità del gesto sono proporzionali alla sua forza. Sono questi a staccarsi dal sogno del mito e a materializzarsi nella mano in gesso che cerca di afferrarlo riposizionando sole e mano nell’equilibrio ancora più precario che li tiene ‘in pugno’.
Federica di Carlo, Volevo il Sole, Galleria Nazionale d’arte moderna e contemporanea, Roma, 08.10 – 14.10.2022
immagini (tutte): Federica di Carlo, «Volevo il Sole», Galleria Nazionale d’arte Moderna e Contemporanea, Roma, exhibition view, ph: Giuliano Del Gatto