Nella società contemporanea ogni confine si dilata fino a dissolversi, il virtuale si fonde con il reale, la memoria è affidata all’etere attraverso un continuo processo di frammentazione e smaterializzazione, le comunità diventano «reti» e i «contatti» sostituiscono le «relazioni». L’Arte, in tutto questo, si sente in dovere di provare e ricostruire un rapporto diretto e tangibile tra la collettività e il territorio, supportando la ricerca di un’identità smarrita. Il compito dell’artista, riappropriatosi della sua funzione pubblica, è quello di innescare un processo critico, porre delle questioni che inducano a riflettere e prendere posizione rispetto a problematiche vicine e concrete.
Ruolo conforme alla ricerca di Gian Maria Tosatti che a Napoli punta a ricucire le maglie di un tessuto spesso lacerato da ostilità e immobilismo, dove dilaga una terribile «amnesia collettiva» che segna inevitabilmente anche lo spazio urbano. L’artista raccoglie un bisogno e avvia una analisi condivisa, che mira a comprendere la complessità della realtà partenopea e a comporre una nuova geografia della memoria, attraverso la riscoperta e la riattivazione di luoghi dimenticati.
Il progetto biennale, Sette Stagioni dello Spirito, a cura di Eugenio Viola, giunge alla seconda tappa e affronta la «stagione» dell’indolenza. 2_Estate è l’opera con cui Tosatti sollecita nuovamente il «corpo sociale» di Napoli riattivando un’ altra illustre vestigia del passato, l’antico palazzo dell’ex Anagrafe Comunale che, sebbene centralissimo e di grande valore storico-artistico, sembra essere diventato invisibile.
Il lavoro dell’artista muove dalla riflessione pasoliniana sulla «trasformazione-involuzione» dell’Italia contemporanea di cui è responsabile quell’Italia Repubblicana manchevole di progettualità e identità, origine dell’ «inerzia politica» secondo cui le autorità «non vogliono governare affrontando le cause ma solo le conseguenze», come ha spiegato di recente il filosofo Giorgio Agamben. E seguendo le teorie di Agamben, sulla scia di quelle foucaultiane, l’artista, «archeologo del presente», ricostituisce l’Anagrafe napoletana, simbolo della pigrizia morale, provando a riportare indietro il tempo, convinto che «per uscire da un impasse è necessario recuperare il filo del discorso nel momento in cui ha cominciato a sfibrarsi».
All’ installazione si accede per una scala monumentale dove i grossi gradini impongono un passo lento e cadenzato, ritmando il tempo dell’attesa, il passaggio ad una dimensione intima e meditativa. Giunti nella prima sala, assaliti da un forte senso di straniamento, si ha l’ impressione di entrare in un comune ufficio pubblico dovei faldoni affastellati sulle scrivanie, le matite appena temperate , i telefoni funzionanti e i bicchieri del caffè, fanno pensare che qualcuno abbia abbandonato improvvisamente il luogo. Attraversando gli uffici si incontrano migliaia di documenti, «corpi di memoria», che raccontano la vita di tanti: origini, malesseri, sogni e speranze, fonti che ricompongono «le storie» di un destino comune.
L’agghiacciante silenzio viene interrotto soltanto dal rumore dei ventilatori in azione che agitano le foglie delle piante, il solo segnale di movimento in un ambiente in cui tutto sembra cristallizzato, dove l’unica forma di vita è quella vegetale che cresce per inerzia e finisce lasciandosi sopraffare dagli eventi, una chiara metafora della condizione di accidia collettiva, di quel male dell’anima che indebolisce e logora.
Nelle stanze adiacenti sono disposti vecchi computer, floppy disc, televisori a tubo catodico, oggetti simbolo di una tecnologia superata che non dialoga con il presente, le cui informazioni, impossibili da decodificare, restano prigioniere degli stessi dispositivi e quindi destinate all’oblio. A questo punto il suono di una voce ci conduce, quasi ipnoticamente, in una stanza dove sono disposti utensili, vettovaglie e una moka pronta per il caffè, il suono è quello di una radio che racconta notizie di cronaca contemporanea, un improvviso balzo nel contingente che accentua la contrazione temporale dell’opera e rinvia all’atemporalità della condizione umana.
Attraversando lo spazio si incontrano brandelli di vecchi giornali, cumuli di detriti, macerie di una storia recente su cui non ci si interroga, accettando passivamente le sue conseguenze. Eppure Tosatti ci ricorda che l’Italia ha radici intellettuali nobili e profonde che abbracciano la «cultura del bello» intesa come espressione più alta dello spirito e colloca nell’ultima sala una grande tela lavorata con la foglia d’oro, un monito alla risveglio etico ed intellettivo.
Ancora una volta l’opera totale di Gian Maria Tosatti si fa punto di contatto tra arte e vita offrendo al pubblico qualcosa in cui riconoscersi, una riflessione profonda sulla natura umana ed una fredda e pungente istantanea dell’attuale condizione politica e sociale, lasciando il segno tangibile di un atto artistico che si innesta nel tessuto cittadino e lo modifica.
Gian Maria Tosatti, 2_Estate, a cura di Eugenio Viola, ex Anagrafe Comunale, Napoli, fino al 5 luglio. Il progetto è stato realizzato sotto il «Matronato» della Fondzione Donnaregina per le arti contemporanee.
Immagini (tutte) Gian Maria Tosatti, 2_Estate, 2014 , Environmental installation, Detail; ritratto di Gian Maria Tosatti, photo by Maddalena Tartaro
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