Sculture sonore, strutture praticabili che invitano il pubblico a sospendere la realtà per entrare in ambienti magici, progetti e programmi che convertono il tempo virtuale dell’arte in «tempo reale del pubblico»[1]. Coinvolgente, immersivo e plurisensoriale, il lavoro di Cildo Meireles (Rio de Janeiro, 1948) trasforma lo spettatore in attore, in parte integrante dell’opera, in figura centrale d’un racconto che mira a ristrutturare lo statuto dell’arte, a trasformarla in edificio etico ed estetico, in strumento riflessivo, in azione di lirica denuncia. «All’inizio, negli Anni Settanta, nei miei lavori il potere era sempre legato a una rappresentazione iconica dei suoi simboli: politici, militari, capitalistici, istituzionali, di mercato e via discorrendo. Ma con il passare degli anni la mia ricerca si è spostata sempre più verso un’idea di potenza del pubblico, della sua modalità di trasformarsi modificando l’opera», suggerisce l’artista in un’intervista rilasciata a Ginevra Bria[2].
Spinto dal desiderio di rigenerare il ruolo sociale dell’artista Meireles mira a costruire atmosfere fisiche e metaforiche che convertono l’ordinario in straordinario, in formula estraniante che riconsidera il mondo della vita da un’altezza nuova, da una piattaforma immaginifica che bypassa il luogo comune per orchestrare un territorio totale teso ad adottare come materiale privilegiato gli stati d’animo umani.
Considerato un pioniere del concettuale latinoamericano e conosciuto sin dal periodo del movimento Tropicália per le sue tattiche incentrate contro la repressione politico-militare in Brasile, Meireles è figura dell’arte che evita le etichette per mostrare un cortocircuito costruttivo, un programma che massaggia mediante apparati plastici in cui la poesia dell’arte è sempre smascherata dalla prosa della vita (Bonito Oliva).
«Ricordo quando nel 1970, con la mostra Information al Moma, è cominciata la popolarità dell’arte concettuale. Per me era terribilmente noiosa. Dovevi leggere, leggere, leggere… E i testi degli artisti sono, nel 95% dei casi, abominevoli. Mi sembrava che il concettuale avesse abbandonato la possibilità della seduzione. Io invece credo che i lavori debbano rapire: anche per una frazione di secondo, devono portarti via da questo luogo e da questo tempo. L’arte concettuale abdicava a questo, e io le sono stato avverso a lungo. Poi una decina di anni fa parlavo con un amico, il padrino di mio figlio, che negli Settanta era stato imprigionato dalla dittatura, e mi ha raccontato che quando era chiuso nella sua cella bastava che il vento facesse entrare un oggetto, un pezzo di niente, la fascetta rossa di un pacchetto di sigarette, perché lui cominciasse a sognare. Mi sono commosso, e ho pensato allora che il concettuale è forse il più democratico di tutti i movimenti. Non ha bisogno di niente, crea una libertà autoriale totale, è l’arte più impegnata con la libertà. Mi ci sono riconciliato, oggi perdono anche i brutti testi degli artisti»[3].
Per la sua prima grande retrospettiva in Italia Maireles propone ora, al Pirelli Hangar Bicocca, 12 lavori significativi, 12 tappe di un un timbro stilistico che ripensa gli spazi dell’Hangar con una verve unica e preziosa, 12 importanti punti cardinali che, se da una parte mostrano il pensiero dell’artista dal 1970 ad oggi, dall’altra mettono in luce l’esigenza di creare totem, momenti spazializzati, riflessioni sul presente e sulla storia.
Ad aprire il percorso, Cruzeiro do Sul (1969-1970) – un microscopico dado in legno di pino e di quercia – collocato nella Piazza dell’Hangar, mostra una ricerca che Meireles ha definito essere humiliminimalism: legata cioè all’umiltà minimale della scultura e ad unità minime di senso idealmente legate agli indiani Tupi «la cui leggenda narra come, attraverso lo sfregamento» di due «legni ritenuti sacri, la divinità del tuono manifesti la sua presenza»[4]. A far da contro-altare al microcosmo di Cruzeiro do Sul e ad aprire le danze spaziali del Corpo Alto, l’installazione Atravérso (1983-2014) spinge lo spettatore a camminare su un suolo di vetri, a percorrere una eterotopia spigolosa e pericolosa, ad appropriarsi dei materiali della realtà alla ricerca di nuove, inaspettate sensazioni.
Seguono, sempre nel Corpo Alto, altri progetti luminosi – Babel (2001), Eureka/Blindhotland (1970-2014), Olvido (1987-1989), Amerikkka (1991-2013) che richiama alla memoria il razzismo del Ku Klux Klan, Entrevendo (1970-1994), il formidabile Abajur (1997-2010) al cui incanto iniziale consegue l’uso spietato del capitale umano e Para Pedro (1984-1993) – che «rivelano pienamente il loro senso solo nel momento in cui vengono attraversate e vissute, chiamando in gioco oltre alla vista alche l’udito, il tatto e l’olfatto e sfidando chi guarda a ridefinire le proprie sensazioni, idee e informazioni […]»[5].
Il percorso si conclude – dolce è il finale! – nello spazio del Cubo con Marulho (1991-1997), un ambiente speciale che invita a lasciare definitivamente la realtà per entrare in un mondo incantato dove un coinvolgente mare di carta (fatto di 17mila in-folio) presenta tutto quello che possiamo dire quando alle parole togliamo la voce. Si tratta, infatti, di un’elegia visiva attraverso la quale Meireles propone un piccolo (intimo) molo, un porticciolo senza barche e senza orpelli, un locus che si fa logos, tempo imperfetto di scoperta e di transito necessario a scoprire e vivere, seppur momentaneamente, (con) l’opera.
Cildo Meireles – Installations, a cura di Vicente Todolí, HANGARBICOCCA, Milano
[1] A. Bonito Oliva, Previsioni del tempo – rubrica televisiva «Fuori Quadro» del 04/05/2014, in «fuoriquadro.rai.it», linkato il 16 giugno 2014, ore 19:36.
[2] G. Bria, A colloquio con Cildo Meireles. E con le sue reminiscenze, in «okarte.it», linkato il 17 giugno 2014, ore 08:41.
[3] «Installations» in totale libertà. A colloquio con l’artista brasiliano Cildo Meireles, non firmato, in «ilsole24ore.com», 23/03/2014, linkato il 17 giugno 2014, ore 10.05.
[4] V. Ali, testi di, in Cildo Meirelles. Installations, spillato della mostra (27 marzo – 20 luglio 2014) a cura di V. Todolí, Pirelli Hangar Bicocca, Milano 2014, p. 23.
[5] V. Ali, testi di, in Cildo Meirelles. Installations, cit., p. 5.
immagini (1 cover) Marulho, 1991/1997, Cildo Meireles. Installation view at Fondazione HangarBicocca, 2014, photo by Agostino Osio, courtesy Fondazione HangarBicocca, Milano. (2) Entrevendo, Cildo Meireles – 1970/1994. Installation view, Fondazione HangarBicocca, 2014, photo by Agostino Osio, courtesy Fondazione HangarBicocca, Milano. (3) Amerikkka, Cildo Meireles – 1991/2013. Installation view at Fondazione HangarBicocca, 2014, photo by Agostino Osio, courtesy Fondazione HangarBicocca, Milano.
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