Nato a Formia e residente a Roma è il titolo della mostra di Iginio de Luca – a cura di Sabrina Vedovotto alla Galleria Gallerati di Roma – da cui si traggono forti propositi biografici. Attraverso la scelta di opere video e immagini fotografiche, le tracce del racconto personale si evidenziano con estrema chiarezza. La disposizione a un rapporto con l’arte che incide a un taglio autobiografico, verso una dimensione intima di ascolto e di ripresa del passato, è determinante per molti lavori di Iginio de Luca.
Il linguaggio video è utilizzato con predominanza per afferrare la realtà, il qui ed ora di eventi passati è trasposto in una nuova dimensione che viene traghettata verso la profondità attuale. Le immagini riunite in queste opere riportano a situazioni passate, mettono in evidenza nel presente parte di una storia trascorsa anni addietro; il bisogno attualizzante è sentito in ogni passaggio.
A cominciare dal video del 2010, da cui prende il titolo la mostra, che introduce un percorso mnemonico circolare. Nella ripresa di due paesaggi che si fronteggiano in dimensione speculare, la visione scorre contemporaneamente nello schermo diviso a metà. Le immagini riprese dall’ospedale di Formia, luogo di nascita dell’artista, e dal suo attuale studio romano, mettono in relazione l’origine e il quotidiano.
La pratica visiva di Iginio si estende e include i mezzi espressivi musicali – essendo lui stesso anche musicista – come nel video Se penso a quel giorno (1974/2011). Il richiamo alla storia personale attraverso le sue azioni canore infantili – registrate dal padre, e dall’artista riattualizzate nell’interpretazione in playback – sono perfettamente sincronizzate e reinterpretate. Lo scollamento tra la sua immagine di uomo adulto e la voce acuta e acerba dell’Iginio bambino, trasferisce un senso nostalgico, trattenuto dalla allegra ironia infantile; spostata nella mimica e nel risultato visivo.
Il dettaglio persuasivo del riconoscersi nei tratti dei genitori e nel ripercorrere gli ambienti da loro vissuti, caratterizza e firma molti aspetti delle opere in mostra. Come richiami interni che si diffondono nel territorio sconfinato della memoria, i luoghi e i volti della storia personale sono le radici che saldano il terreno dei ricordi. Così in Autofocus (2006), un video-autoritratto con la sovrapposizione del volto dell’artista alle immagini alternate in primo piano del padre e della madre, si ridestano le espressioni e le somiglianze fisiognomiche. L’unione dei volti porta a ravvivare il legame indissolubile, nella fusione dei lineamenti.
De Luca stabilisce un rapporto di prossimità con la sua storia anche quando riprende le stanze dell’appartamento dei genitori, lasciate vuote dopo la loro scomparsa.
In Homedoppler (2006) l’artista si aggira nell’oscurità di ambienti chiusi e disabitati, riprendendo, con il sostegno degli infrarossi, gli spazi familiari. Nella ricerca di frammenti e ricordi, con la videocamera si muove fra le stanze come uno strumento endoscopico. A sostenere il legame profondo ed emotivo con questo percorrere gli spazi vuoti è l’incedere del suono amplificato dell’eco-doppler che, nel ritmo cardiaco, scandisce e cadenza la relazione intima con il ricordo e con la parte profonda di sé stesso.
Il testimone poi viene passato al cugino dell’artista che in Oplà siamo arrivati (2014) racconta a viva voce i trascorsi delle famiglie de Luca e Rossetti (cognome della madre). Nel racconto orale registrato in quasi quaranta minuti di ripresa video, gli aneddoti sono detti dalla persona che si rende memoria storica e testimonianza diretta o indiretta, con divertita e semplice partecipazione. Iginio de Luca diventa ascoltatore della sua storia, della sua origine e della trasmissione del ricordo che è vincolo personale e allo stesso tempo condizione comune.