Il Museo CIAC di Genazzano, ospitato nelle bellissime sale del Castello di Colonna, presenta una doppia personale che vede a confronto le opere di Antonio Trimani e dell’artista coreano T-Han. La mostra, a cura di Claudio Libero Pisano, che per anni ha curato la programmazione di questo spazio con grande attenzione al panorama contemporaneo, mette a confronto due diversi modi di ritrarre il paesaggio attraverso il video. Soprattutto, due diversi modi di ‘trattare’ e interpretare il tempo. Antonio Trimani ci racconta della sua storia nel mondo della video arte, del suo rapporto con la tecnologia, e di questa sua esperienza al CIAC in un confronto tra Oriente e Occidente.
Elena Giulia Rossi: Ci puoi parlare della tua formazione e delle tue fonti di ispirazione?
Antonio Trimani: Il mio contatto con la video arte è iniziato prestissimo negli Anni ’90. Ero studente di Valentina Valentini per il corso di Drammaturgia, corso di laura in Lettere Moderne all’Università degli Studi della Calabria». Negli Anni 90, precisamente nel 1991, fui invitato a lavorare alla rassegna del Video d’Auotore di Taormina Arte. In quel periodo solo Taormina e Locarno, erano luoghi priviligiati per la video arte. Nel ruolo di assitente tecnico, ho avuto la possibilità di lavorare con tanti artisiti internazionali. Nel 1991 venne Vito Acconci, nel 1993 Bill Viola. Furono tantissimi gli artisti con cui ho avuto la possibilità di lavorare e realizzare le loro installazioni. Tra gli altri, ricordo Mario Camerani, Studio Azzurro, Paul Garren, Nam June Paik. Durante le diverse edizioni mi sono alimentato di video, che venivano proiettati nella sala cinema del Palazzo delle Esposizioni, oltre agli artisti citati ricordo opere di Jean Luc Godard, Peter Callas, Alexander Kluge, Yoko Ono, Antoni Muntadas, Derek Jarman, General Idea, Bruce Nauman, Gary Hill, Jem Cohen e tanti altri.
In quegli anni facevo sperimentazione con un gruppo di Musica da camera di Cosenza, il Microcosmos, (Giorgio Reda e Ivano Morrone), che spesso realizzava eventi con interventi di video e proiezioni. Realizzai un lavoro Mercure, pose video con César Meneghetti, video artista con il quale ho un grande dialogo. Con lui ho realizzato diverse mostre, e abbiamo tanti progetti comuni per il futuro. Frequentavo assiduamente artisti, poeti, filosofi cosentini con in quali continuo da avere un confronto profiquo: Massimo Celani, Francesco Garritano e Achille Greco.
Dal 1995, dopo aver conseguito la laurea in Semiologia dello Spettacolo, con Maurizio Grande, un docente grande, di nome e di fatto (purtroppo scomparso prematuramente) ho deciso di continuare a speciliazzarmi in video arte e sono andato a Londra per un Master in Arte del Video presso Middlesex University. Intanto continuavo a collaborare con Taormina Video d’Autore, come inviato a Londra. In quegli anni mi occupavo di selezionare e contattare artisti inglesi. Ricordo di aver contribuito con la realizzazione di interviste, e la presentazione dei lavori di John Maybury, DV8 Phisical Theatre, Monica Pellizari, Michel Mazier, che in quel periodo era direttore del Lux Center, lugo provilegiato della video arte londinese che frequentavo assiduamente.
Dopo la lunga parentesi londinese, circa cinque anni, nel 2000 sono tornato a Roma e ho iniziato a collaborare con RAM – Radioartemobile (Mario Pieroni e Dora Stiefelmeier), all’epoca appena fondata. Ho continuato a lavorare con Valentina Valentini come direttore tecnico per tante mostre dedicate alle arti elettroniche. Nel 2003 ho realizzato una mostra, per me inportantissima, al Castello Colonna di Genazzano (a quei tempi non si chiamava CIAC) dal titolo «Visibilità Zero», sempre a cura di Valentina Valentini. Quella mostra per me ha rappresentato la possibilità di esprimere e mettere a frutto tutte le conoscenze tecniche e teoriche acquisite in tutti gli anni precedenti. Ho avuto modo di relazionarmi direttamente con gli studi degli artisti in mostra, da quello di Bill Viola, a Gary Hill, Bruce Nauman, Ruiz de Infante e Studio Azzurro, in particolare con Paolo Rosa di cui ero diventato amico. In quella straordinaria mostra l’unico artista presente fu Peter Campus, che rimase molto colpito dalla realizzazione tecnica e mi chiese di diventare il suo assitente. Da allora, sono passati circa 15 anni e ancora lavoro con lui alle sue mostre internazionali. Considero senza dubbio Peter il mio Maestro. Grazie a lui, credo di aver trovato il mio modo molto personale di esprimermi attraverso il mezzo elettronico.
Per quanto riguarda il sonoro, devo sicuramente aggiungere che, il dialogo instaurato con Alvin Curran, per il quale ho lavorato come assistente per diversi anni, mi dato le basi per realizzare quelli che io chiamo ‘paesaggi sonori’, legati alle mie immagini. In questi anni ho condiviso il percorso artistico con alcuni cari amici ed artisti. Tra loro, mi sembra importante menzionare: Matteo Montani, Federico Fusi, Gianni Lillo e Giulio Lacchini.
Che rapporto hai con la pittura?
Ho sempre provato grande interesse e ispirazione dalla natura: paesaggi naturali, artificiali, o ambienti urbanizzati.
E’ indubbio che ho un legame molto stretto con la pittura, molto più che con il cinema e con il cinema sperimentale. Realizzo video che in certo senso sono, se mi concedi il termine, dipinti in forma di immagini in movimento che trovano una più profonda espressione nelle installazioni dei monitor a parete, hanno una presenza tridimensionale e vogliono relazionarsi con lo spazio circostante, ‘agito’ dallo spettatore.
Sento molto vicini gli artisti paesaggisti del passato, da Caravaggio a Hopper, passando per Jan Van Eyck, Jacob van Ruisdael, Giorgione, ma anche astratti contemplativi come Rotcho o surrealisti da Piranesi a Magritte.
I miei paesaggi in realtà, sono mentali. Li costruisco grazie a una paziente mediazione tra mezzo elettronico, che registra le immagini reali, e un modo molto personale di modificarle e ibridarle in nuove composizioni.
Come tu stesso hai detto prima, raccontando della tua formazione, hai collaborato con pionieri della video arte, come Peter Campus e Bill Viola, tracciando – parallelamente – il tuo percorso creativo. Recentemente, il tuo lavoro è stato esposto con quello di Peter Campus in un progetto, il De Bello Naturae, iniziato al Museo Civico situato nella storica cornice del castello di Barletta con una mostra a cura di Bruno Di Marino, Daniela Di Niso e Tonio Musci che ha poi viaggiato Seoul, estendendo il confronto con l’invito di un artista Coreano, il fotografo Ito Lim. Ci puoi raccontare del tuo rapporto con loro e del dialogo creativo che si è creato tra voi in tutti questi anni di collaborazione?
Come accennavo prima, la collaborazione con Peter si è stabilita dal lontano 1993. Avendo contatti molto assidui per via del lavoro continuo con la famiglia di Peter, ho conosciuto Kathleen J Graves, la sua compagna. Negli anni si è stabilito un rapporto privilegiato di dialogo e scambio. Il lavoro di Kathleen prende le mosse dal suo amore per la natura e la tecnologia. Ha creato, delle creature artificiali chiamate Nanobots e nuove forme di vita che possono lavorare e vivere in paesaggi all’aperto per aiutare a preservare la natura. Il lavoro fotografico che ha presentato in mostra è chiamato Dark Garden.
Dopo tanti anni abbiamo deciso di iniziare un percorso che ci accomunasse. Grazie alla sensibilità di Giusy Caroppo, oltre che di Bruno Daniela e Tonio, che nel 2014 era Assessore alla Cultura, questo progetto è diventato realtà e abbiamo realizzato una mostra De Bello Naturae che non considero soltanto una mostra ma progetto artistico che, nella mostra al Castello di Barletta ha visto la prima tappa del dialogo decennale che si è instaurato tra noi tre artisti. Il progetto ha avuto modo di proseguire in altri luoghi coinvolgendo quindi Ito Lim, un artista coreano che ho conosciuto qualche anno con la sua manager Yujin Lee (Art and Real Movement) grazie a Elisabetta Ficola Colaceci. Anche Ito ovviamente lavora sul paesaggio, realizza foto rigorosamente in bianco e nero.
Yujin che da anni promuove interscambi tra la cultura coerana e quella italiana, è stata la promotrice instancabile dell’avventura in Oriente e ha ha dato la possbilità a noi artisti di proporre il nostro progetto a Seoul, presso la City Hall Gallery, e successivamente presso il Swon Art Center della città di Swon. Da queste mostre sono nate altre occasioni e relazioni, che hanno fatto sì che, da circa 2 anni, i miei lavori vengano esposti in diversi eventi e luoghi su scala internazionale, come allo Street Museum e lo Yesultong Festival. Il Micro Museum, (Museo all’aperto) lungo la strada sono in mostra i nostri lavori in strutture permanenti progettate ad hoc per il video.
Torniamo ai lavori esposti ora in mostra a Genazzano. Quali lavori esponi al CIAC? Possiamo dire che il confronto con T-Han sia anche il confronto tra la cultura Orientale ed Occidentale osservati attraverso la lente del paesaggio e la sua trasposizione temporale con il peculiare utilizzo dell’immagine in movimento? Come si è svolto il dialogo tra voi e con il curatore, Claudio Libero Pisano?
Al CIAC, in occasione della mostra «Tempo del Paesaggio», sono presentati nuovi lavori, Chora (trittico) e 2 nuove versioni di Ferite che in precedenza realizzavo nelle pareti e in questo caso sono state traslate su superfici specchianti.
Si tratta di tagli fatti a mano in uno specchio e nel taglio vengono fuori immagini video fluide con colori cangianti dal rosso sangue al color oro. Chora è un video di fine 2015 presentato per la prima volta nel 2016 a Milano per la mia mostra personale «Risonanze», a cura di Fabrizio Pizzuto, nello spazio temporaneo «Le Stazioni Contemporary Art» di Carlo Cinque che dal 2015 segue il mio lavoro come gallerista e manager. Mi corre l’obbligo di fare una precisazione su «Le Stazioni» che è un progetto itinerante che prevede diverse stazioni espositive. Si tratta di un progetto aperto il cui senso è nel suo svolgimento, non solo nella sua forma: nel coinvolgimento e nella sperimentazione. Gli artisti, provenienti dalla scena del panorama italiano e internazionale, anche quelli di formazione più classica, si confronteranno con la video arte e con le nuove tecnologie in luoghi non definiti, spesso temporanei, quindi non sempre determinati.
Ritornando alla mostra del CIAC, io e Yujin Lee abbiamo proposto a Claudio Libero Pisano di realizzare questa doppia personale. Avevo conosciuto T-ahn l’anno scorso durante la mia permanenza in Corea. Claudio, che non conoscevo bene, dopo aver visto i nostri lavori ha accettato e abbiamo realizzato questo percorso espositivo che intreccia Oriente e Occidente in un percorso inverso, come afferma Claudio Libero: «In entrambi gli artisti il tempo ha un ruolo decisivo; sincopato, costantemente misurato nei video dell’artista Coreano e dilatato e apparentemente bloccato in quelli dell’italiano. Nei paesaggi di T-ahn il video diventa una sorta di tavolozza sulla quale l’artista aggiunge e toglie, sovrappone elementi pittorici o digitali, seguendo il flusso della musica di Admir Shkurtaj. In Trimani i paesaggi vivono un tempo bloccato, lento e senza scosse apparenti ma con un effetto ipnotico dirompente. Le immagini, che siano manipolate o rese nitide e sospese, restituiscono un’idea del tempo e del paesaggio molto singolare; più vicino alla cultura Occidentale appare a volte T-ahn quanto contigui a certe atmosfere orientali sembrano appartenere i video di Trimani». Devo dire che lavorare con Claudio è stato molto stimolante, abbiamo la stessa visione dello spazio, secco senza orpelli, il rispetto delle dimensioni e delle architetture.
Quale è il tuo rapporto con la tecnologia? Quali strumenti ti incuriosirebbe sperimentare per la realizzazione dei tuoi paesaggi?
Anche se uso la tecnologia, devo devo dire uno dei miei fini è umanizzarla, spesso la trasformo e la piego alle mie esigenze espressive. Non mi piace dare la descrizione logica dei miei lavori. Quello che posso dire è che rimango sempre affascinato dalle pietre, da materiali naturali – come il vetro e il legno – quindi da elementi naturali – come l’acqua e gli alberi. Vorrei che i miei lavori invitassero lo spettatore alla contemplazione, a ritrovare/riflettere su se stessi attraverso le immagini e i suoni che propongo. Il mistero: gli uomini sono sempre affascianti dai paesaggi. Il soggetto più fotografato sui social è il paesaggio. La sfida: come realizzare dei paesaggi interessanti, non immagini cliché.
Vorrei che gli spettatori entrassero nello spazio che definisco/creo e cercassero di interferire nello spazio con il loro corpo. Distratti magari vanno in un’altra stanza poi tornano e ri-confrontarsi con il monitor appeso alla parete. Mi interessa coinvolgere in questo gioco chiunque, specialmente persone che non hanno rapporto di frequentazione assidua con gli spazi espositivi di arte contemporanea.
Spesso scrivono dei miei video che sono in slow motion. In realtà non lo sono quasi mai, questo mi fa molto piacere perché evidentemente i mioi lavori raggiungono l’obbiettivo di dare un senso di rallentamento, di cambiamento dello stato di percezione del tempo dello spettatore.
L’impatto che hanno avuto le installazioni video storiche, specialmente quelle relative alla percezione del tempo e dello spazio, è innegabile. Penso ad Anamenesis di Peter Campus o Present Continuous Past di Dan Grahm o Corridors di Gary Hill. Ci sono tantissimi artisti che lavorano con grandi risultati su questi temi. Credo, comunque, che il campo è ancora tutto da espolare. A questo proposito, mi piacerebbe lavorare su dispositivi luminosi e sonori, e su nuove tecnologie in uscita come i video proiettori laser. Di converso, sto lavorando a un nuovo progetto con un mareiale molto antico, il vetro.
Quali saranno i progetti futuri? Ci puoi dare qualche anticipazione?
Il 27 luglio partecipero ad una collettiva a Serre di Rapolano nel nuovo studio dello scultore Emanuele Giannetti a cura di dell’artista originaria della Mongolia Wang Yu, la mostra dal titolo «START – conmoltiplicarsi» è organizzata dall’Associazione Yurta Relazioni Culturali Arte, Cultura e Educazione Tuscany – Beijing. Presenteranno i loro lavori 10 artisti da 4 paesi: Italia, Cina, Belgio, Gran Bretagna.
Antonio Trimani – T AHN. Tempo del paesaggio, a cura di Claudio Libero Pisano
CIAC – Centro Internazionale per l’Arte Contemporanea, Castello Colonna, Genazzano, fino al 16 luglio, 2017.
immagini: (cover 1) Antonio Trimani, «Elegia», 2014, still from video (2) Suwon art center (3) 2 Room 1 & 2 Lg – Foto Barletta De Bello Naturae ph Kathleen J Graves (4) Angoli & Curve #2, 2012 ph Eledian Lorenzon (5) Grass-Roofed hut with Plum Blossom and a bridge Video by tahn (6) Senza Limiti #2 dettaglio (7) Come and go, waiting, korean paper print, b&w, 800 x 500 mm, 2016, by tahn (8) Chora trittico, 2017 ph Paolo Schiavella (9) 1 Room 1 & 3 Lg – Foto Barletta De Bello Naturae ph Kathleen J Graves