Christiane Paul racconta della relazione tra arte e internet, in particolare ai tempi della pandemia, di NFT e bolla finanziaria ma anche di contro-cultura nella blockchain, tutto attraverso la sua ricca e sfaccettata esperienza di teorica, curatrice e Professore di Media Art.
Christiane Paul è Professore alla New School e curatore di arte digitale al Whitney Museum of American Art a New York. Paul scritto e tenuto conferenze in tutto il mondo su temi inerenti la new media art. E’ autrice di “Digital Art”, una antologia sull’arte digitale che va dagli anni ’80 ai tempi attuali. Nel 2016 ha ricevuto il Thoma Foundation’s 2016 Arts Writing Award in Digital Art.
Elena Giulia Rossi: Dal 2001 curi il portale artport per il Whitney Museum of American Art con la commissione di lavori online. Dall’inizio della pandemia, il mondo intero gravita attorno al web. Le gallerie hanno raddoppiato lo spazio online dedicato ad esposizione e vendita di opere fisiche, mentre i musei hanno riempito i propri calendari di eventi virtuali di ogni tipo. Con questa svolta, è cambiato qualcosa nel tuo modo di vedere artport? In che modo ha influenzato la scelta delle tue ultime commissioni (ammesso che lo abbia fatto)?
Christiane Paul: Uno dei lati positivi della pandemia è stato quello di aver posto l’accento sull’arte basata sul web. La net art è stata l’unica forma d’arte accessibile durante i lockdown, poiché utilizza il web come mezzo piuttosto che come piattaforma per le visite virtuali e la presentazione di opere che esistono fisicamente nelle gallerie. artport ha ricevuto sicuramente più attenzione del solito, ed è stato presentato in programmi radiofonici o selezionato come scelta della critica di Artforum. Alcuni progetti si sono allineati in modo naturale agli eventi attuali, come New York Apartment di Tega Brain e Sam Lavigne che, in un periodo in cui le persone erano chiuse in casa, hanno trasformato New York in un enorme appartamento interconnesso, o Looted di American Artist, che ha scelto di ‘transennare’ il sito web del Whitney mentre i musei mettevano in salvo le vetrine durante le proteste contro il razzismo. Tuttavia, la missione o gli obiettivi curatoriali di artport restano gli stessi, non c’era alcuna ragione impellente per apportare un cambiamento concettuale. Il sito ha sempre cercato di introdurre i visitatori alla net art all’interno di un contesto museale, e di raccontare come il mezzo si sia sviluppato nel tempo, riflettendo sulle nuove tecnologie o i temi emergenti con urgenza culturale.
Il programma di commissioni online di artport comprende la serie Sunrise/Sunset. Credo che questa serie sia un modo molto interessante per come interagisce con il sito principale del museo, ma anche per come si relaziona con il tempo, considerato che, per vedere le opere, dobbiamo sincronizzarci con l’alba e il tramonto a New York…
La serie Sunrise/Sunset è uno dei miei esperimenti preferiti di net art, perché è al contempo effimera e basata sulla performance. In quanto serie di piccoli progetti performativi che si svolgono ogni mattina e ogni sera a New York, all’alba e al tramonto, è specifica dal punto di vista temporale e non può essere visualizzata in qualsiasi momento, diversamente dalla consueta net art. Il limite temporale potrebbe sembrare uno svantaggio, che però si accompagna all’ampliamento dell’area virtuale dedicata alle opere d’arte, che occupano l’intero sito web del Whitney Museum per trenta secondi, senza preavviso, un intervento piuttosto radicale. Chiunque visiti il sito in quel momento, magari per saperne di più sulle mostre o sulla programmazione, sarà interrotto da uno scorcio o da una panoramica dei progetti Sunrise/Sunset. Ogni singolo progetto dura in genere pochi mesi, dopodiché le opere sono accessibili online solo cercandole. La serie racchiude la temporalità effimera della performance in un evento quotidiano sincronizzato con i cicli naturali della luce.
L’identificazione dell’arte digitale con le transazioni economiche, un aspetto recentemente emerso con l’hype degli NFT, è solo un esempio dell’uso (improprio) di termini come arte digitale e net art. Come sempre, esiste una contro-cultura che risponde criticamente al sistema, nello stesso modo in cui la net art aveva fatto all’inizio degli anni ’90. Quali sono le voci creative che, secondo te, hanno attualmente preso una posizione critica verso il sistema che ritieni interessanti da seguire?
Gli artisti sono stati coinvolti nello sviluppo concettuale degli NFT fin dall’inizio, e stiamo assistendo a un numero crescente di progetti che non si limitano ad inserire file jpeg nella blockchain, ma la utilizzano come mezzo. Nel maggio 2014, ho partecipato all’evento annuale 7×7 di Rhizome, al New Museum, in cui Kevin McCoy e Anil Dash hanno presentato il loro concept commerciale di «monegraph», abbreviazione per: monetized graphic. I monegraph erano gli antenati degli NFT, pensati per supportare artisti e creativi e basati su smart contract che includevano royalty e permessi per la condivisione e la fusione delle opere. Nei monegraph ho visto un enorme potenziale. La tecnologia non era ancora pronta e le start-up che hanno tentato di utilizzare contratti di vendita tokenizzati e certificati di autenticità sono fallite. In quel periodo ha preso piede anche l’esplorazione artistica della blockchain. L’organizzazione artistica britannica Furtherfield, gestita da Ruth Catlow e Marc Garrett, già nel 2017 ha pubblicato un libro intitolato Artists Re:thinking the Blockchain, evidenziando le opere d’arte che hanno sviscerato concettualmente il potenziale di organizzazione dei sistemi naturali e sociali attraverso la blockchain.
Il recente boom degli NFT, in gran parte voluto dagli imprenditori nel ramo delle criptovalute, utilizza queste entità soprattutto come meccanismo di vendita, anziché come mezzo. Inoltre ha ridimensionato l’immagine pubblica dell’arte digitale, che comprende un ampio ventaglio di espressioni creative, riducendola a singole immagini virtuali riproducibili, gif animate o videoclip, ovvero le forme standard del collezionismo digitale e della cultura dei meme.
Allo stesso tempo, ci sono artisti e piattaforme che esplorano il potenziale generativo della blockchain e discutono di come gli NFT abbiano mercificato lo stesso meccanismo di vendita. L’NFT partecipativo dell’artista Jonas Lund MVP (Most Valuable Painting), del 2022, comprende 512 immagini digitali e, quando una di esse viene coniata e venduta, le sue proprietà determinano l’evoluzione delle rimanenti attraverso la disposizione e altri algoritmi. La versione NFT di John F. Simon Jr. di Every Icon (2021) ha messo in moto un processo generativo in cui il codice è memorizzato nella blockchain. Piattaforme come Feral File, dell’artista Casey Reas, che riunisce artisti e curatori per stabilire protocolli trasparenti di esposizione e collezione dell’arte basata su file, i blocchi d’arte, con contenuti generativi programmabili on-demand memorizzati sulla blockchain, oppure le opere e∙a∙t∙}, che sulla base della storia dell’arte e della tecnologia sperimentano nuove forme di coinvolgimento nel panorama degli NFT, propongono tutti modelli validi per controbilanciare i mercati puramente orientati al profitto.
Quali altri cambiamenti prevedi nella struttura del sistema dell’arte a seguire questa «cripto-bolla» economica, se così possiamo chiamarla?
La corsa all’oro degli NFT è legata agli investimenti: è stato il mondo dell’arte a seguire l’economia, non il contrario. Il sistema artistico deve riconoscere la ricca storia dell’arte digitale e il suo potenziale di esplorazione creativa del criptospazio e della distribuzione decentralizzata. La blockchain ha anche implicazioni più ampie per il web, le sue community e le sue infrastrutture. Le DAO (Decentralized Autonomous Organization), community possedute e controllate dai membri in base a regole trasparenti e a registri delle transazioni mantenuti sulla blockchain, di recente hanno guadagnato più spazio nel settore culturale. Le DAO hanno il potenziale di organizzare i creatori di contenuti culturali, con l’obiettivo di promuoverne le attività di agenzia in uno spazio di proprietà collettiva e tokenizzare, archiviare e raccogliere la loro produzione creativa. Resta da vedere se prenderà piede il Web3 come nuova iterazione del World Wide Web basata sulla tecnologia blockchain, uno spazio decentralizzato la cui economia è basata sui token, ma la bolla delle criptovalute ha sicuramente portato il mondo dell’arte a ripensare ed esplorare nuovi modelli di vendita (che si tratti di opere d’arte o di biglietti), di collezionismo, di raccolta fondi e di affiliazione. La mia speranza è che questa bolla si riduca abbastanza da dare al mondo dell’arte lo spazio per concentrarsi su modelli più vantaggiosi, concettuali ed ecologicamente sostenibili per la produzione e l’esperienza artistica, nonché per la costruzione di una comunità.
In un’intervista rilasciata a Ben Fino-Radin per il podcast Art and Obsolescence (30 novembre 2021), lei ha affermato che i collezionisti seri non sono interessati agli NFT perché possono acquistare una grande installazione allo stesso prezzo. È cambiato qualcosa da allora?
Non intendevo suggerire che gli artisti non stessero facendo un lavoro serio nel panorama degli NFT. Come accennato in precedenza, negli ultimi dieci anni gli artisti hanno realizzato progetti molto validi sulla blockchain, sicuramente interessanti per i collezionisti. La mia affermazione si riferiva alla pratica comune di creare spin-off in versione NFT da opere esistenti. Gli artisti e i galleristi che oggi si affacciano sul panorama degli NFT spesso li coniano per ottenere fotogrammi o brevi clip di opere d’arte digitali complesse e interattive, così da adattarle ai vincoli del mercato. Poiché il settore degli NFT è in grande ascesa, capita a volte che le opere originali costino meno delle versioni estratte e vendute come NFT. Per i collezionisti devoti, che seguono e acquistano arte digitale da decenni, gli NFT sono quindi molto meno interessanti delle opere da cui derivano. I musei e i collezionisti tradizionali non puntano a fare soldi in fretta, ma cercano prodotti creativi che utilizzino le tecnologie digitali come mezzo. Per queste persone, collezionare file jpeg non ha in sé una grossa attrattiva.
In un’intervista con Maria Efimova (Art, agosto 2021) lei parla dell’importanza degli archivi. Quali altre fonti e forze creative riesce a immaginare, oltre agli archivi (penso, per esempio, ad Artbase e Net Art Anthology di Rhizome o Archive of Digital Art), in grado di far luce sulla natura e sulla storia dell’arte digitale per un pubblico più ampio?
L’archiviazione e la documentazione sono parti importanti della costruzione della storia e della conservazione dell’arte, e la rendono più comprensibile al pubblico. Altri fattori cruciali per rendere l’arte digitale più accessibile al grande pubblico sono la presentazione e la collezione. Nel mondo non vengono ancora allestite abbastanza mostre di arte digitale, in particolare mostre dal taglio più storico, in grado di creare collegamenti con altre forme d’arte. L’arte digitale rimane un po’ un’eccezione nei musei, nelle gallerie e nelle fiere, e troppo spesso viene presentata come una novità modaiola. La sua accessibilità a un pubblico più ampio dipende anche dall’impegno delle istituzioni nel collezionare e preservare questa forma d’arte, e nel garantire che il pubblico possa sperimentarla nella sua forma originale piuttosto che come un documento d’archivio.
Che impatto ha l’insegnamento sul suo lavoro e sulla sua ricerca? Quali sono i principali cambiamenti che ha individuato nelle giovani generazioni di artisti e studenti negli ultimi cinque anni? Cos’ha imparato da loro?
Le mie posizioni in quanto curatrice e professoressa si influenzano costantemente e vicendevolmente. La mia pratica curatoriale plasma il modo in cui insegno, permettendomi di attingere alla mia esperienza nella realizzazione di mostre e di fornire una panoramica delle strutture istituzionali. L’insegnamento e lo studio accademico mi permettono di approfondire il mio pensiero sui mezzi e di mettere in discussione la mia ricerca curatoriale. Ho sempre imparato molto dai miei studenti, che sono una risorsa inestimabile per avere una prospettiva sul mondo e sulla posizione dell’arte, perché hanno un quadro concettuale diverso. Ovviamente tendono a essere molto interessati alle tendenze tecnologiche più recenti, che si tratti della passione riscoperta per la realtà virtuale, dell’arte basata sull’IA o della realtà aumentata, ma ho notato anche cambiamenti più concettuali. I confini tra fisico e virtuale, o tra originale e copia, sembrano essere diventati sempre più labili per loro, e questo influenza anche il modo in cui percepiscono il valore. Per loro l’esperienza appare più importante dell’unicità.
immagini: (cover 1) Jonas Lund, «MVP (Most Valuable Painting)», 2022, commissioned by Aorist, screenshot (2) Christiane Paul, portrait, ph: Lacombe (3) American Artist, «Looted», 2022, screen shot, Courtesy the Whitney Museum of American Art