Surfing with Satoshi. Art Blockchain e NFTs è il libro di Domenico Quaranta che ha catturato nel loro nascere le dinamiche dell’hype tecnologico legato alle certificazioni uniche NFT, inquadrandole in una prospettiva storica; ne ha approfondito il progresso delle tecnologie sulle quali è basata e il ruolo di certificati e contratti nell’arte contemporanea. Il libro, pubblicato per la prima volta da Postmedia Books (MIlano) nel 2021, è ora disponibile in inglese, operazione congiunta tra Postmedia Books (Milano) e Aksioma (Ljubljana); la nuova versione comprende un capitolo introduttivo che aggiorna il tema alla luce di quanto accaduto nell’ultimo anno. Surfing with Satoshi ha fermato tracce importanti di alcuni fatti e riflessioni critiche su un fenomeno che ha preso forma da tecnologie in via di sviluppo da più di un decennio e che sono entrate ora in una fase di hype e di speculazione. Se la bolla esploderà, è possibile che la tecnologia rimarrà parte delle nostre vite, proprio come è accaduto con internet dalla bolla informatica ad oggi. Ne parliamo con l’autore.
Elena Giulia Rossi: La net art ha trovato la sua dimensione nell’utopia del potenziale democratico della rete come spazio di libera condivisione e accesso. Soprattutto, si è mossa come contro-cultura rispetto al sistema dell’arte. Oggi termini come net art e arte digitale sono erroneamente associati alle operazioni finanziare legate alla blockchain e al nuovo sistema di certificazione blockchain NFT. Cosa pensi di questa associazione?
Domenico Quaranta: Condivido l’uso dell’avverbio «erroneamente» nella tua domanda, ma con una precisazione. L’errore, come spesso succede, sta soprattutto nel generalizzare, a vari livelli. Blockchain, reti distribuite, criptovalute e Non-Fungible Token (NFT) sono, da qualche anno, una parte significativa dell’infrastruttura della rete internet, così come crypto-investitori, crypto-entusiasti e miner sono una parte significativa della sua infrastruttura sociale: è naturale che diventino materiale di lavoro per l’arte, e lo sono diventati sin dalla nascita del Bitcoin nel 2008 – 2009. Come racconto in Surfing con Satoshi, sono numerosi gli artisti che nel corso degli ultimi quindici anni hanno investigato – spesso in maniera critica – la blockchain, le criptovalute e le ideologie che le nutrono con linguaggi, approcci e progettualità differenti: dai lavori on-chain di Rhea Myers alle installazioni di Simon Denny, dalle valute d’artista di Sara Meyohas, Jonas Lund e Carlo Zanni ai progetti di Kevin Abosch e Primavera De Filippi. Lo stesso titolo del libro è prestato da un turbofilm del 2013 del collettivo italiano Alterazioni Video, che esplorava ed espandeva il mito di Satoshi, l’inventore del Bitcoin, e faceva surf sul primo boom delle criptovalute; e del resto è proprio in ambito artistico che vengono fatti i primi esperimenti di costruzione artificiale della scarsità digitale attraverso l’ancoraggio di un’opera d’arte a un token crittografico, aprendo la strada al boom degli NFT.
Insomma: è assolutamente legittimo pensare che si possa fare arte digitale, net art o semplicemente arte con la e sulla blockchain. Il problema degli hype, tuttavia, è che hanno la capacità di risignificare e banalizzare termini con una lunga storia fuori dalla cultura mainstream: così, un anno di tam-tam e di notizie roboanti è stato sufficiente a cancellare, nell’immaginario condiviso, decenni di tradizione, e a ridurre la complessità linguistica e culturale della cosiddetta «arte digitale» a una serie di immaginette, spesso animate e tendenzialmente brutte, sull’interfaccia deprimente di un marketplace NFT. È a questo tipo di generalizzazioni che deve rispondere, in prima battuta, chi ha avuto la fortuna e il piacere di occuparsi di arte e media digitali per più di cinque minuti.
A parte questo, va anche sottolineato che, al netto delle divergenze di opinione su cosa sia arte e cosa non lo sia, molti progetti NFT non sono arte semplicemente perché l’arte è, sin dall’origine dei Non-Fungible Token, solo uno dei tanti «asset digitali» che possono beneficiare di una certificazione che ne sancisca unicità e proprietà: il fatto che opere d’arte convivano, nelle piattaforme generaliste come OpenSea, con porzioni di «virtual estate», skin per avatar e altri oggetti e gadget videoludici, set di immagini di profilo, memorabilia sportivi ecc. non fa di queste ultime cose arte, così come il fatto di essere battuti all’asta da Christie’s non rende necessariamente arte la maglia indossata da Maradona, gli oggetti di lusso o le cianfrusaglie collezionate da qualche pop star.
Quali sono, a tuo avviso, gli snodi di contro-cultura più attivi e interessanti in questo momento rispetto a questa «crypto bolla»?
Questa è una domanda molto interessante. Per rispondervi in maniera appropriata, non dobbiamo dimenticare che questa «crypto bolla» è emersa su una base culturale che pretende, a ragione o a torto, di essere una controcultura, in cui si fondono istanze conservatrici e progressiste, legge del più forte e difesa di diritti civili come la privacy e la proprietà dei dati, anarco-capitalismo all’ennesima potenza e rifiuto di qualsiasi istituzione centralizzata, dallo stato alle banche alle big tech. Alcune figure importanti dell’attivismo hacker sono state attratte e hanno contribuito in maniera significativa allo sviluppo del mondo crypto; altre lo aborrono, sostenendo che qualsiasi contributo, anche critico, a questo spazio è un modo per contribuire all’economia dei crypto investitori. È un argomento molto divisivo che a volte pone agli antipodi persone e artisti molto vicini tra loro, che per anni hanno fatto parte della stessa scena.
Personalmente, mi ritrovo pienamente nella posizione dell’economista greco Yanis Varoufakis. In una bella intervista rilasciata a Evgeny Morozov, Varoufakis sostiene che l’effettivo potenziale rivoluzionario di criptovalute e blockchain si può esplicitare solo in una situazione sociopolitica radicalmente trasformata e «emancipata»; nella fase attuale del capitalismo, queste tecnologie non possono che accentuare le dinamiche in atto e le disuguaglianze dello status quo. Potrebbe sembrare una posizione nichilista, se paragonata alle facili promesse dei crypto-entusiasti, ma non lo è: ci insegna che dobbiamo lavorare a mantenere questo potenziale radicale e immaginativo, mentre cerchiamo di cambiare il mondo con altri strumenti. È qui che vedo un potenziale per l’arte, che tende per sua natura a esplorare immaginari e a costruire sistemi di senso. Per questo sono attratto da quei progetti blockchain-based che non si limitano a usare questa tecnologia per vendere jpg a una nuova generazione di collezionisti-investitori, ma ne investigano potenzialità e limiti, ne portano alla luce e demistificano i bias nascosti, ne mantengono in vita le istanze più radicali. Sto raccogliendo alcuni di questi lavori in una mostra online, che ho intitolato The Byzantine Generals Problem: un riferimento al problema della teoria dei giochi che illustra la difficoltà di raggiungere il consenso in un sistema decentralizzato. Anche la nostra società sta vivendo, oggi, un problema di consenso riguardo alla blockchain: ed è importante che sia così, perché più vivaci sono le critiche, più lontano è il consenso, più è possibile che verrà raggiunto quando la tecnologia sarà veramente in grado di esplicitare il suo potenziale trasformativo.
Il tuo libro offre molta chiarezza sul legame (e non legame) tra NFT e la storia dell’arte digitale. Per quanto questi argomenti necessitino di continuo aggiornamento, hai posto delle basi che saranno sempre valide per ricostruire la storia dall’inizio e in continuità con il passato. Quali altre fonti possono rivelarsi importanti per chi voglia costruire una visione critica su questo capitolo di storia, e con l’occasione, informarsi su net art e new media art?
Ti ringrazio per la tua analisi. Rileggendo il libro a distanza di un anno, ai fini della traduzione inglese, mi sono stupito anch’io della sua capacità di durata, nonostante gli eventi anche eclatanti che si sono succeduti dalla sua prima pubblicazione. Credo che dipenda dalla sua volontà di capire, e far capire, le radici del fenomeno, e dal suo concentrarsi non tanto sulle notizie, quanto sulle questioni. Questa volontà di offrire un’introduzione accessibile al rapporto arte e blockchain si riflette anche nella bibliografia, che offre una prima risposta alla tua domanda. Fra le risorse disponibili vorrei menzionare qui l’imprescindibile Artists Re:Thinking the Blockchain, curato nel 2017 da Furtherfield; le pubblicazioni e le registrazioni delle conferenze del Moneylab, avviato dall’Institute of Network Cultures; e i saggi precoci del critico e teorico Martin Zeilinger, che ho letto dopo aver scritto Surfing con Satoshi ma anticipa molte delle sue questioni. Per chi preferisce i video essay, una spassosissima, lucida introduzione al fenomeno degli NFT è stata offerta anche dall’artista americano Brad Troemel in forma di video lecture, con il suo The NFT Report.
Ti sei occupato molto anche di conservazione dell’arte multimediale. Tornando agli NFT, quali altri aspetti, se ce ne saranno, dovranno essere presi in considerazione rispetto alla conservazione?
La domanda sulla conservazione ci permette di entrare più nello specifico della riflessione fatta più sopra sul divario promesse / realtà. Il tema della durata torna costantemente nel discorso celebrativo sugli NFT, assieme alle questioni correlate dell’accesso e della decentralizzazione. Un NFT viene spesso descritto come un gettone crittografico registrato «in maniera permanente» su una blockchain, inviolabile per la combinazione di crittografia e decentralizzazione che garantisce anche la sicurezza delle criptovalute. Questa presunta «eternità» è vera in teoria, ma è pura retorica quando si parla di una tecnologia che non ha nemmeno raggiunto la maggiore età. Diversi progetti blockchain sono già morti, trascinando i propri NFT con sé, o costringendoli a difficili operazioni di migrazione. Bitcoin ed Ethereum sembrano solide, ma se si parla di eternità preferisco scommettere sulle piramidi di Giza che sulla doppia piramide di Ethereum. Inoltre, questo discorso sulla durata riguarda solo e unicamente ciò che risiede su blockchain, ossia l’NFT e lo smart contract che ne regola il comportamento. Nella maggior parte dei casi, quello che chiamiamo impropriamente «NFT» è un media (un’immagine, una clip video, un suono, un testo, un modello 3D) caricato attraverso una piattaforma o marketplace. Le più vecchie di queste piattaforme hanno sette anni di vita, e la loro sopravvivenza dipende dalla sostenibilità economica della start-up che le ha lanciate. Caricato il file sulla piattaforma posso fare il «minting» dell’NFT, un codice registrato su blockchain che contiene un hash (una stringa esadecimale unica) che identifica un file di metadati che a sua volta contiene l’hash del nostro artefatto. La piattaforma può caricare file dei metadati e opera su una rete distribuita come IPFS, su un server centralizzato o su un sistema a Cloud. Se la durata di questi ultimi è legata ancora a quella dell’azienda che li mantiene, quella di IPFS (InterPlanetary File System, che si fonda sulla tecnologia peer-to-peer) dipende dagli sforzi volontaristici dei nodi della rete. Sono solo pochi elementi, ma fanno capire quanto fragile sia la presunta eternità degli NFT. Il cosiddetto Web3 è un’architettura affascinante e complessa, ma tenuta in piedi da innumerevoli grucce, e ancorata al tanto bistrattato Web 2.0 più di quanto sia disposta ad ammettere. Più valore immettiamo nella blockchain, più dobbiamo prepararci ad affrontare innumerevoli problemi di conservazione, che potrebbero dipendere anche da problemi molto semplici, come la perdita delle chiavi di accesso al proprio wallet.
L’impatto ambientale della blockchain è ormai dibattuto da diversi anni. Per quanto esistano ormai una serie di blockchain green, credi che la questione legata all’impatto climatico possa essere risolta? Quali artisti ritieni stiano lavorando al meglio in questa direzione?
L’impatto ambientale delle blockchain, e di internet in generale, è un iperoggetto molto facile da menzionare, ma molto difficile da capire per quello che è. Per farlo, cerchiamo spesso di usare paragoni o metafore comprensibili, per esempio dicendo che Bitcoin ed Ethereum insieme consumano più terawattora all’anno dell’Italia, o che una singola transazione Ethereum – come il minting di un NFT – ha la stessa impronta di carbonio di 200.000 transazioni Visa. Secondo un progetto dell’artista americano Kyle McDonald, Ethereum da solo emette 21.000 tonnellate di Co2 al giorno e consuma 26.4 terawattora all’anno. Secondo le stime della Ethereum Foundation, il passaggio a un sistema Proof-of-Stake, più sostenibile dell’attuale Proof-of-Work, ridurrà il consumo energetico di Ethereum del 99,95 %. L’artista spagnola Joana Moll, che da sempre si interessa all’impatto ambientale di internet, ha di recente lanciato un progetto, Carbolitics, che stima la quantità di carbonio generata dalle principali compagnie di internet attraverso i loro cookies, strumento fondamentale nell’economia del Web 2.0. Secondo le sue stime, i cookies di Google sono responsabili di 1.600 tonnellate di Co2 al mese. La dismisura è abissale, ma cosa significa se proviamo ad interpretarla? Stiamo forse dicendo Google è una compagnia «green»? Se e quando Ethereum completerà la promessa transizione al Proof-of-Stake, passeremo dalla scala dell’impensabile a quella del concepibile, ma non avremo certo risolto il problema dell’impatto ambientale dell’economia digitale. Ciò che resterà nella scala dell’inconcepibile è l’ipocrisia di chi, avendo accumulato e continuando ad accumulare ricchezze con i suoi investimenti in Ethereum e Bitcoin, le riversa in qualche presunto progetto ecosostenibile. Sano vecchio greenwashing.
La bolla dell’economia informatica è esplosa ormai da tempo. Internet è rimasto compagno delle nostre vite contaminandole sotto ogni aspetto. Se e quando questa bolla degli NFT esploderà, che direzione immagini prenderà la blockchain nella nostra vita e nell’arte? Quali prospettive temi e quali auspichi?
La necessità di correggere ed arricchire la versione semplificata e ottimista della storia che ci viene propinata dai crypto-entusiasti non deve farci trascurare ciò che di positivo abbiamo visto accadere negli ultimi mesi o anni. Nè dobbiamo dimenticare che, per quanto scettici possiamo essere riguardo alla versione attuale del Web3 – questa strana combinazione di blockchain, metaverso e reti decentralizzate – l’insoddisfazione e il disagio per ciò che è diventato internet nell’epoca dei social media è un sentimento diffuso, e la scena crypto ha avuto il merito di provare a proporre e a costruire un’alternativa: non male, in una situazione in cui il panopticon contemporaneo delle big tech era diventato qualcosa di simile al capitalismo di Mark Fisher – qualcosa a cui non esiste alternativa, e che occupa l’intero orizzonte del pensabile.
Le DAO (Decentralized Autonomous Organizations, smart contract che implementano e regolano il funzionamento di una organizzazione) offrono potenzialità interessanti in termini di governance, e sono state usate per coordinare velocemente e efficacemente azioni di supporto a fondazioni, organizzazioni no profit, donazioni a favore della popolazione ucraina. In ambito artistico, se la retorica del WAGMI («We’re all gonna make it/ Ce la faremo tutti», lascia il tempo che trova tanto quanto le promesse di disintermediazione del mercato dell’arte, è pur vero che gli NFT hanno reso sostenibile e in certi casi florida l’economia di molti che avevano difficoltà a trovare una sostenibilità attraverso il mercato dell’arte tradizionale; alcune piattaforme e alcune soluzioni di vendita che privilegiano ampie edizioni o «multipli unici» a prezzo contenuto hanno favorito l’emergere di un collezionismo nuovo, giovane, appassionato che si sentiva poco attratto dal mondo dell’arte; e se di arte digitale si parla tanto a sproposito, è indiscutibile che si sia conquistata un livello di attenzione che ha pochi precedenti nella sua storia. Quella dell’arte generativa sarà anche una moda alimentata da interessi speculativi, ma sta portando molti a dedicare alla storia e ai pionieri dell’arte computazionale, da Vera Molnar a Casey Reas, un’attenzione e un amore che raramente gli erano stati concessi in precedenza. Alcune di queste cose potrebbero non sopravvivere, nel lungo termine, a una crisi del mercato NFT o a un crollo persistente delle criptovalute. Il dinamismo di questa scena, che porta ad esempio una piattaforma che a ottobre 2021 ancora non esisteva, a comprarsi uno spazio di visibilità davanti all’ingresso dell’Arsenale di Venezia ad aprile 2022, si nutre di speculazione e dei benefici dell’hype, ma se lavora sulla qualità potrebbe essere in grado di costruire stabilità e durata.
Domenico Quaranta, Surfing con Satoshi. Arte, blockchain e NFT, Postmedia Books, Milano 2021
Il libro è presente nell’ambito di Parole, 20 anni di Postmedia Books, a Spazio Maria Calderara, dove Surfing con Satoshi sarà presentato in occasione della conferenza che Domenico Quaranta terrà Venerdi 13 maggio alle 19.00.
La traduzione inglese Surfing with Satoshi. Art, Blockchain and NFTs è ora disponibile in un’edizione limitata di 300 copie (disegnata da Superness, edita e distribuita da Aksioma, Ljubljana), e presto in edizione Postmedia Books, distribuita internazionalmente su Amazon
immagini: (cover 1) Domenico Quaranta, «Surfing with Satoshi. Art, Blockchain and NFTs», Aksioma, Ljubljana 2022. Design by Superness, Courtesy Aksioma (2) Alterazioni Video,immagine dalla storyboard di «Surfing with Satoshi», 2013. Courtesy dell’Artista (3) Rafael Rozendaal, «Observation», 2022. Navy Officer’s Club, Venice Meeting Point. Photo courtesy Domenico Quaranta (4) Beeple, «Everydays: The First 5000 Days», 2021, immagine digitale, 21.069 x 21.069 px (detail) (5) Simon Denny, «Blockchain Risk Board Game Prototype: Crypto/Anarchist Ethereum Edition», 2016. tavola piegata: compensato, tela, foglio; scatola da gioco da tavolo, figure, carte, e dadi: pittura spray su figure 3D, monete, plexiglass, stampa digitale su cartone, regole del gioco: stampa UV su Alu-Dibond, plexiglass. Courtesy dell’Artista e di Petzel Gallery, New York. (6) Kyle McDonald, «Ethereum Emissions: A Bottom-up Estimate», 2021. Website, fermo-immagine, courtesy dell’Artista (7) Joana Moll, «Carbolitics», 2022, veduta panoramica, Aksioma Project Space, 16 febbraio – 11 marzo 2022. foto: Domen Pal / Aksioma (8) Casey Reas, «There’s No Distance 2.1», 2021. Video (colore, silenzioso), 2160 × 2160 pixels, 30fps, 2 min, loop. Ed. 1/1. Courtesy Sotheby’s e l’Artista.