La settima edizione del Moving Bodies Festival Internazionale di Butoh e Live Art, a cura di Produzioni Espace, cambia programma e location a causa del Coronavirus. La performance è una pratica che coinvolge il corpo e il pubblico. Piuttosto che virtualizzare quanto programmato nello spazio, Francesca Arri – da anni impegnata come performer con il corpo, e Ambra Gatto Bergamasco direttrice del Teatro Espace, si rimettono in gioco. Non solo spostano la performance online ma la ripensano con e per le piattaforme alle quali sono destinate in complicità con artisti individuati ad hoc per questa esperienza. Sei giorni di festival per sei artisti da tutto il mondo, dal 4 al 9 maggio, sui canali social di Teatro Espace e Moving Bodies Festival. Ogni giorno dedicato ad un artista diverso, per conoscere la sua pratica e capire assieme come il lavoro si è trasformato, oscillando tra le mura domestiche e la rete. Francesca Arri ci ha raccontato questa esperienza, un vero e proprio esperimento di relazione tra il corpo e il mezzo che ha suscitato non poche sorprese.
E.G. Rossi: sei un’artista che lavora molto con il corpo e con la gente. Come è stato possibile traslare tutto questo nello spazio online?
Francesca Arri: Questa situazione ci ha colti tutti di sorpresa. Il distanziamento sociale e l’isolamento sono ostacoli per tutto quello che è spettacolo dal vivo. La performance è caratterizzata dal rapporto con il pubblico. Le mie, in particolare, dal contatto e dal lavoro di gruppo. Sono opere corali: dopo una crisi iniziale, ho cominciato a capire come “reinventarmi un mestiere” lavorando, attraversando il momento e non contrastandolo. Ho osservato e analizzato cosa succede nel mondo che ci circonda, anche se questo si è ristretto alle nostra mura domestiche e allargato sulla finestra multimediale dei media che diventano il nostro spazio di azione. Non volevo solo creare un contenuto e cacciarlo a forza come post ma lavorare sull’uso del mezzo perché la performance sia tale. Quello che ho fatto con i miei ragazzi su Zoom è un primo esperimento che lavora sul LOADING cioè sull’attesa del caricamento dei dati che è diventata l’attesa dalla liberazione dalle nostre stanze, il tutto tramite un gesto banale, il tamburellare delle dita sul sensore del pc, che descrive impazienza e che diventa mano mano cronico, disturbante, tanto da creare, con i limiti e i ritardi della piattaforma e del collegamento un’ opera sonora con effetti metallici dati dal mezzo usato, un’ orchestra di dita che suonano attraverso la piattaforma social. L’opera viene creata e vive sui social, il pubblico la potrà vedere tramite facebook che è il suo palcoscenico, la condivisione diventa parte stessa del lavoro.
Sei artista, curatrice, lavori in ambito didattico. Quali sono vantaggi e pericoli di questo improvviso spostamento nel cyberspazio?
Io voglio tornare a lavorare dal vivo, come voglio uscire e toccare le persone, per mie problematiche sono completamente chiusa dall’inizio del Lockdown, la spesa la ordino, sto bene ma la chiusura è annichilente. Meno male che esiste il web, ma da finestra che in qualche modo ci da spazio e aria non deve diventare neanche il cappio che ci strozza. Io sto continuando a sviluppare nuove opere su piattaforma, la prossima uscirà a giugno per Archivissima, il festival degli archivi, per loro dovevo fare un grosso progetto dal vivo al Polo del 900 qui a Torino che abbiam rimandato al prossimo anno e per quest’anno abbiam ripensato tutto per la fruizione social, stiamo lavorando ad un gran bell’esperimento web ma io sogno il prossimo anno dal vivo. Invece “Moving Bodies Festival”, che curo con Ambra Gatto Bergamasco, è pensato sul web per non tirarsi in dietro e per pensare a come fare ricerca e lavorare nonostante gli impedimenti, per discutere, cercare soluzioni, porsi domande, in un momento dove è difficile avere certezze ma dove porsi dei dubbi è importante.
Con Ambra stavamo lavorando all’edizione del festival di quest’anno, la settima di un festival nato dall’ esperienza di Ambra a Dublino e poi sviluppato al Teatro Espace a Torino. Siamo uscite dalle mura del teatro per diventare Produzioni Espace e per luglio stavamo programmando un’ operazione itinerante in vari spazi torinesi. Rendendoci conto che questo non sarebbe stato possibile, abbiamo deciso di anticipare e affrontare apertamente le problematiche, i dubbi e le incertezze date dalle restrizioni adesso che le viviamo così forti, perché è importante confrontarsi con gli altri e agire. Credo sia il momento della ricerca e della sperimentazione, magari anche sbagliando. Bisogna provare e cercare un dialogo, per questo nel festival chiediamo ai nostri artisti, oltre che un’ opera, anche una #CARTOLINAdalLOCKDOWN , che racconti la loro esperienza di quarantena nel loro paese. Abbiamo invitato sei artisti internazionali che ci hanno raccontato, senza i filtri e il clamore dei media, cosa succede nel loro paese e a loro stessi, sei testimonianze diverse che innescano un dialogo con il fruitore perché stiamo vivendo la più grande esperienza di convivenza sociale in isolamento, un paradosso che è realtà e che va raccontato.
Questa operazione online è stata ovviamente dettata dalla situazione attuale. Gli artisti sono gli stessi che avevate selezionato per lo spazio fisico o avete fatto una selezione ad hoc?
Io e Ambra Gatto Bergamasco abbiamo scelto artisti appositamente per questo progetto, per le caratteristiche del loro lavoro e delle loro esperienze e per avere delle testimonianze diverse da parte del mondo molto lontane tra loro così da capire alla fine che cosa sta succedendo. Ad esempio Edegar Fernando Starke partecipa da Berlino ma è Brasiliano quindi racconta sia la sua esperienza in Germania che quello che sente dai parenti in Sud America sviluppando la sua arte in solitaria fuori dalla sua compagnia o associazione con cui lavora abitualmente ospitando artisti da tutto il mondo. Sempre da Berlino, Vincenzo Fiore Marrese, italiano ma che vive in Germania, ci racconta di come ha ripensato gli spazi domestici per il suo lavoro e in prospettiva di ospitare in futuro artisti per dar loro la possibilità di lavorare in sicurezza, Yokko, artista giapponese, da New York ci racconta di quanto le sue lezioni online le facciano passare la sua claustrofobia e paura della violenza che in America, per le fake news, si sta perpetrando contro chi, come lei, è orientale; Girolamo Marri da Roma ci racconta le problematiche date dalle notizie che ci invadono in questi giorni e, sia nella cartolina che nella sua opera, ci pone con irriverenza, davanti al problema della mediocrità in un momento dove si urlano eroismi e fantasticherie post apocalittiche; Yumiko Yoshioka da Tokyo, ci racconta che da loro il lockdown non è obbligatorio anche se loro sono molto bravi a autodisciplinarsi, ci racconta di quanto abbia bisogno di tornare a danzare anche per il suo sistema immunitario; mentre io mi sento Renton di Trainspotting, organizzo tutto, spazi, cibo e lavoro, le chiamate degli amici e di mia madre mi danno ossigeno mentre il suono delle sirene delle ambulanze scandisce il tempo. A fine festival, abbiamo deciso di dedicare una giornata in più ad una BONUSTRACK: i lavoratori dello spettacolo, quelli che stando dietro le quinte rendono tutto possibile. Sono una categoria che oggi è in grave difficoltà. Per parlare di questo argomento, abbiamo deciso di raccontare, come abbiamo fatto per gli artisti del festival, il lavoro di un nostro prezioso collaboratore Conleth White light designer di Dublino che lavora insieme a noi dal 2011 e che quest’anno fa 40 anni di carriera. Senza la sua visione saremmo tutti nel buio.
Cosa ti aspettavi e cosa alla fine ti ha sorpreso?
Pensavo fosse più facile organizzare un evento online piuttosto che dal vivo. Invece è stato molto difficile, per le problematiche legate alla connessione, ma anche per rimanere in contatto a distanza, tra barriere linguistiche e barriere temporali, rincorrendoci attraverso i vari fusi orari. Poi fortunatamente abbiamo riscosso un grande. Interesse. Io e Ambra, quindi, passiamo il tempo a rispondere a messaggi, email e telefonate mentre rimbalziamo i pezzi su gruppi e varie piattaforme per far si che raggiungano più utenti possibile. Abbiamo dormito molto poco ma siamo contente e commosse dallo spirito dei partecipanti, tanto degli artisti quanto degli utenti e da come, spontaneamente le performance siano state condivise anche da sconosciuti, commentate, messe in rilievo. Non ce lo aspettavamo. Soprattutto perché siamo partite da zero, in due, con l’aiuto del nostro grafico Matteo Giampietro, un giovane artista che ha studiato un progetto ad hoc per il tema del festival BLU NOTTE, ispirandosi ai Late Show americani, per raccontare con un estetica che sa di modernariato tutti i momenti del festival, una notte lunga quanto una quarantena, un momento di riflessione da condividere e svilupparsi usando i mass media. Speriamo che questo sia un inizio. Stiamo già lavorando al prossimo progetto per far si che l’arte dal vivo non si disperda. Bisogna muoversi, non per esserci a tutti i costi ma pensando al futuro e a costruirlo, un atto sociale e politico, non solo per l’arte ma per trovare un modo di diminuire le distanze.
Teatro Espace
immagini: (cover 1) Yumiko Yoshioka, IkI (2) Quarantena (3) Francesca Arri, Loading, performance su zoom, 2020 (4) Edegar Fernando Starke (5) Girolamo Marri, Ballata delle 4 Mura