Il tempo del Coronavirus, con il congelamento globale delle dinamiche di scambio (fisico), ha costretto a ripensare lo spazio virtuale. In molti casi ha ampliato gli orizzonti della comunicazione.
Negli anni ’80, molto prima che Internet diventasse un luogo accessibile (nei primi anni ’90), Robert Adrian creava un happening globale della durata di 24 ore che mettendo in comunicazione 16 città nel mondo anticipava il network. Il progetto era stato realizzato in occasione di Ars Electronica, Festival tutt’oggi attivo, punto di riferimento per tutto ciò che ruota attorno al crocevia tra arte, tecnologia e società. Ciascuna postazione coinvolta avrebbe potuto trasmettere, in un’ora stabilita a metà giornata rispetto al fuso orario della regione di appartenenza, contenuti di vario tipo attraverso una diversità di canali: computer terminals, telefoni, fax, slow scan TV.
Robert Adrian realizzava questo progetto in collaborazione con Gerfried Stocker, ancora oggi direttore artistico di Ars Electronica, ingegnere prestato all’arte attraverso il suo interesse per la musica.
Adrian, tra altri artisti che hanno lavorato sulla combinazione di spazio e network come Roy Ascott e Nam June Paik, anticipava il modo in cui il mondo della comunicazione, avrebbero cambiato la nostra esistenza.
Alla fine degli anni ’60, nei laboratori militari nasceva ARPANET. Nessuno avrebbe potuto immaginare come questo arcaico internet si sarebbe trasformato nell’uso comune a partire dai primi anni ’90 e per come lo conosciamo oggi. La sua immaginazione era quindi partita da vecchie tecnologie e dal sistema di trasmissione simultanea tra trasmettitore e ricevitore. Ricordarlo oggi potrebbe essere di aiuto per proiettare nel futuro le tecnologie moderne, che non di molto si discostano da quelle passate, se non per una funzionalità accelerata.
Robert Adrian, The World in 24 hours, performance telematica, Ars Electronica, 1982
immagini: (all) Robert Adrian, «The World in 24 hours», 1982, Ars Electronica, Ph: Sepp Schaffler, via