Venerdì 6 settembre, 2019, un gran numero di persone passeggiava lungo via del Mandrione, una strada storica di Roma definita dall’Acquedotto Felice, protagonista di diversi episodi della storia, come rifugio per diversi anni a seguire il bombardamento di San Lorenzo, come casa di zingari e prostitute e tanto altro. Il suo fascino ha catturato l’attenzione di diversi scrittori e registi. Dopo essere stata convertita a zona commerciale, è diventata una strada a scorrimento veloce, trascurata per diverso tempo al punto da doverla chiudere al traffico nel 2018. Questa chiusura ha aperto le porte all’arte e al progetto di Fulvio Chimento che, con dieci artisti, tra i più interessanti nel panorama italiano, ha riportano in vita la memoria di questo scorcio particolare di Roma, estendendo il discorso all’arte tutta e alle sue funzioni attuali e potenziali, nella costruzione di scenari futuri possibili. Di più sapremo dalle parole di Chimento, mentre si prepara per il prossimo evento.
E. G. Rossi: Come nasce il progetto? A cosa si ispira il titolo Amore e rivoluzione?
Fulvio Chimento: Il progetto nasce da un sentimento profondo per la parola «amicizia» e da un senso generale di sdegno verso la situazione politica italiana e internazionale degli ultimi anni. Amore e rivoluzione è la risposta artistica a una politica che ha perso umanità e capacità di analisi sociale, relegando il ruolo della cultura a un imprecisato strumento di consenso. Amore e rivoluzione è anche un segnale di allarme rivolto al mondo dell’arte, spesso chiuso in se stesso, e schiavo dei propri cliché.
Lo stesso Alfredo Pirri, in un’intervista rilasciata nel 2018 ad Artribune, ha lanciato un grido di allarme in relazione al clima generale di restrizione delle libertà individuali, denunciando anche il colpevole silenzio/assenso da parte del mondo dell’arte e degli intellettuali, che preferiscono evitare di far parte della contesa; Amore e rivoluzione nasce anche in risposta a questo appello.
Con Alessandro Sarra e Stefania Galegati abbiamo quindi deciso di organizzare una mostra in via del Mandrione, luogo natio del neorealismo italiano, e al tempo stesso simbolo della nostra povertà, così feconda di risorse.
Le adesioni al progetto sono state raccolte tramite un invito e-mail ad artisti provenienti da tutta Italia, così siamo riusciti a incontrarci nel periodo di Pasqua 2019 per camminare insieme sui venti metri di vuoto che separano il manto stradale di via del Mandrione dalle cave sottostanti. Il tratto di strada che abbiamo utilizzato coincide con il piazzale della Stazione Casilina, tratto che il Comune di Roma ha interdetto al traffico dal 2018 a causa dello sgrottamento delle cavità sotterranee. Proprio questa chiusura stradale ha rappresentato per noi la possibilità di intervenire indisturbati in quest’area. Al nostro appello hanno risposto positivamente Fabrizio Basso, Silvia Cini, Alfredo Pirri e gli Stalker, tutti artisti che hanno alle spalle un solido lavoro caratterizzato da talento e impegno civile, e anche altri artisti che hanno un legame diretto con questa zona di Roma: Sara Basta, Elena Bellantoni, Grossi Maglioni, Jacopo Tomassini.
Il titolo è stato deciso già in occasione del primo sopralluogo. Nel piazzale della Stazione Casilina, infatti, campeggia su un muro una grande scritta Amore e rivoluzione: un invito impossibile da ignorare.
I linguaggi dell’arte sono sempre più ibridi. Si assiste spesso a un rovesciamento di contenuto – contenitore. Come si intrecciano i linguaggi di questi artisti con il contesto urbano? In altre parole: come i contenuti si rapportano al loro contenitore e come l’insieme si pone come linguaggio?
L’ibridazione dei linguaggi artistici è un dato di fatto e può costituire una fortuna, se si decide di aprirsi a esperienze quanto più eterogenee possibili. Molti artisti con i quali sono in contatto vivono in modo vitale la possibilità di misurarsi con territori «scomodi», portatori di verità storiche. Nel caso di Amore e rivoluzione, tuttavia, siamo lontani dal concetto di urban art: si tratta al contrario della dimostrazione di come si possa lavorare nello spazio pubblico attraverso i codici propri dell’arte contemporanea, principalmente installazioni. Ci siamo volontariamente tenuti lontani dalla street art, mentre abbiamo particolarmente apprezzato gli interventi preesistenti realizzati nel piazzale dai writers, che spesso sono i primi a rintracciare spazi di «libertà» artistica. Il fatto che si intervenga in uno spazio museale o in uno spazio urbano non determina nessuna differenza, se le finalità intellettuali e culturali alla base di un progetto sono chiare. Per Amore e rivoluzione non abbiamo richiesto permessi alle istituzioni e non abbiamo inviato comunicati stampa alle riviste: la comunicazione dell’evento è avvenuta per invito diretto a persone potenzialmente interessate.
Il nostro impegno è stato quello di sostenere un lavoro coerente incentrato sul territorio. L’organizzazione della mostra è stata di per sé «leggera», così come la tipologia di interventi proposti dagli artisti, che si sono calati mimeticamente nel progetto. Il lavoro più impegnativo è stato quello svolto con i cittadini e i comitati di quartiere, che agiscono su questa porzione di territorio. I comitati di quartiere, in particolare, hanno contribuito in modo determinante alla realizzazione della mostra: hanno effettuato uno straordinario lavoro di pulizia dell’area grazie al coinvolgimento di cinquanta volontari, permettendo, di fatto, la realizzazione della mostra. Ci hanno trasmesso un profondo senso di appartenenza a questo luogo.
Qual è la natura specifica di questo quartiere collocato a Sud-Est di Roma?
Il Mandrione non è un vero e proprio quartiere, bensì un lembo di terra longitudinale (la via più lunga di Roma, persino più lunga di via del Corso), sospeso, stretto tra la Tuscolana, la Casilina e la ferrovia, un luogo carico di storia e in continua trasformazione, un territorio di confine nel volto della multiforme Roma.
Lungo l’acquedotto, infatti, hanno vissuto in condizioni disperate dal 1943 al 1973 gli sfollati del bombardamento americano sul quartiere San Lorenzo e le famiglie che durante il boom economico lasciavano le campagne e i paesini montani per cercar fortuna in città.
La mostra è divenuta un’occasione di confronto e di scambio tra artisti provenienti da diverse zone d’Italia, intellettuali, cittadini, ex abitanti delle baracche. Possiamo parlare di una vera e propria festa di quartiere che si è riunita intorno a un progetto artistico. In questo caso il contenitore che ha ospitato la mostra è divenuto un luogo ideale, una piazza ipotetica nella quale confrontarsi e far venire allo scoperto tutte le forze interessate a portare avanti con continuità iniziative artistiche da sviluppare in quest’area.
Nel tuo statement hai parlato di un intervento da intendersi non tanto come mostra quanto come ‘accadimento’, un ‘segno performativo’. Cosa ha lasciato di sé questo segno in questo frangente di mostra?
La sensazione generale che vogliamo trasferire al visitatore che attraversa il tratto di strada in coincidenza della Stazione Casilina è quella di un generale senso di spaesamento, senza voler innescare un meccanismo immediato di riconoscimento delle opere d’arte in quanto tali. Chi attraversa il piazzale avrà quindi sentore di una «presenza» artistica, ma non riuscirà fino in fondo a riconoscere la mano di chi ha orchestrato il tutto. Amore e rivoluzione vuole essere in primo luogo uno stimolo a entrare in relazione con questo territorio, coscienti che attraversarlo può comportare dei rischi.
Non una mostra, in effetti, ma momenti di concentrazione di senso artistico, senza la necessità di definirli performance, termine inflazionato e non rappresentativo di tutte le azioni che possono svolgersi nel presente dello sguardo. In occasione dell’inaugurazione, per esempio, il duo composto da Francesca Grossi e Vera Maglioni ha allattato i rispettivi figli all’interno della propria opera Occupazioni: Tenda dell’accudimento, così come lo striscione realizzato da Fabrizio Basso con la scritta Calma Calma Calma ha sfilato tra il pubblico accompagnato dalla registrazione audio di frammenti della dichiarazione di occupazione del Teatro di Porta Romana a Milano, nel 1984.
Alcuni interventi sopravviveranno al tempo e alle intemperie, mentre altri sono stati disallestiti per volontà degli stessi artisti, è il caso della bandiera Welcome realizzata da Sara Basta su uno dei cancelli della Stazione, e del Piccolo monumento precario di Jacopo Tomassini. Rimangono ancora visibili opere come Tornando in alto ad ardere le favole di Elena Bellantoni: una scala in corda con pioli in legno che consente al visitatore di arrampicarsi sopra le mura che circoscrivono il piazzale, per rivolgere lo sguardo verso gli scavi dell’acquedotto Felice, il Mausoleo di Elena (fatto costruire in onore della madre dall’Imperatore Costantino nel 330 d. C.), e gli uffici della Zecca di Stato, che è proprietaria di gran parte dei terreni presenti in quest’area.
È possibile anche leggere la poesia impressa da Stefania Galegati sull’asfalto della Stazione Casilina, intitolata Monumento al Cadere, che si compone di un unico verso della lunghezza di 350 metri, che accompagna il visitatore nell’attraversamento di tutto il piazzale. Raffinati i tre interventi realizzati da Silvia Cini, tra cui spicca Preghiera, un’opera di polvere dorata, che ricuce simbolicamente le fratture presenti sul manto stradale in coincidenza della voragine sottostante. Anche il pittore Alessandro Sarra ha lasciato il segno della propria presenza con Bisogna riscrivere tutto: due tele, lasciate volutamente bianche, collocate all’uscita del tunnel che dal quartiere della Certosa immette su via del Mandrione sono state allestite per accogliere potenziali interventi di altri artisti o i segni degli agenti atmosferici.
Proponi di «creare uno spazio fisico di discussione e di incontro per eventuali esperienze future aperte anche ad altri artisti, un modo per ‘vivificare’ la zona e non per riqualificarla». Alfredo Pirri, nel suo testo diffuso in occasione della mostra, identifica via del Mandrione «con l’insieme di quei punti che caratterizzano il fare arte stesso, ovvero la possibilità e capacità di proporsi come narrazione mutevole, accettare questa dinamica attiva per predisporci al futuro, infine il saper armonizzare le cose tramite la convivenza di istinto e ragione». Il progetto sembra quindi rivolto a una prospettiva futura? Quale?
Vogliamo dare continuità alle iniziative artistiche in questo tratto di strada, abbiamo sentore che le forze in campo che si sono palesate durante l’organizzazione di Amore e rivoluzione possano essere in grado di dare un seguito a questo tipo di esperienze. Nel mese di novembre ci incontreremo nuovamente con tutte le realtà operanti in questo tratto di strada per decidere insieme come muoverci in futuro. Sicuramente i progetti artistici dovranno mettere in risalto figure chiave legate alla storia del luogo, andando oltre le suggestioni offerte da grandi registi come Pasolini, Bertolucci, Fellini, che hanno fatto del Mandrione un topos della cinematografia italiana. Il nostro obiettivo è quello di vivificare attraverso l’arte alcune «storie», per esempio la figura di Don Roberto Sardelli, recentemente scomparso, che nel 1968 lascia la limitrofa parrocchia di San Policarpo per trasferirsi a vivere tra i baraccati dell’acquedotto Felice, dove fonda la «Scuola 725», che prende il nome dal civico impresso sulla baracca utilizzata per le riunioni dei ragazzi.
La baracca venne acquistata da Sardelli direttamente da una prostituta, che nella baracca viveva e lavorava. Don Roberto insegnava a leggere e scrivere ai ragazzi che venivano allontanati dalla scuola perché ritenuti non idonei, ma soprattutto fu in grado di fornire loro una coscienza civile e politica. Il suo operato permise a molti ragazzi delle baracche di proseguire negli studi e di conoscere testi e autori come Gandhi o Malcolm X. Le riflessioni tra i ragazzi e Don Sardelli venivano collezionate in una rivista quindicinale, che veniva redatta dagli stessi ragazzi, in questo modo nacquero in forma di auto-produzione Lettera al sindaco e il libro Non tacere. Grazie a queste iniziative e rivendicazioni, i baraccati riuscirono a ottenere nel 1973 degli alloggi dignitosi distribuiti tra Ostia e il quartiere di Spinaceto.
Altra storia straordinaria è quella relativa alla professoressa Angelina Linda Zammataro, nota anche con il nome di Linda Fusco. Nella seconda metà degli anni 70 la zona del Mandrione continuò a essere al centro di problemi sociali e abitativi. In questo periodo si segnala l’importante lavoro della Zammataro, psicologa e pedagogista, fondatrice del metodo della psico-animazione. Proprio lei riuscì a dare una svolta risolutiva alla situazione abitativa, tanto che, negli anni successivi, il Mandrione è diventato una zona residenziale dalla viva attività artigianale, dove, affiancati all’acquedotto, si alternano esercizi commerciali, palazzine, officine, e botteghe di artigiani.
Quanto è importante per te e per gli artisti la documentazione di questo progetto?
Le immagini sono importanti, ma lasciare tracce significative è sempre molto complicato, in queste caso le parole possono essere più evocative delle immagini. Con questo intento, di fatto, affido ai lettori di Arshake sia la rivendicazione ufficiale, che la narrazione di Amore e rivoluzione.
Amore e rivoluzione, a cura di Fulvio Chimento, Via del Mandrione (Stazione Casilina), Roma
Artisti: Fabrizio Basso, Sara Basta, Elena Bellantoni, Silvia Cini, Stefania Galegati, Grossi Maglioni, Alfredo Pirri, Alessandro Sarra, Morteza Hosseini (Stalker), Jacopo Tomassini.
immagini: (cover 1) Stefania Galegati, Manifesto del cadere, pittura lavabile, 2019. (2) Fabrizio Basso, Calma Calma Calma, stampa su tessuto, 2019. Ph. Sabino de Nichilo 2019 (3) Sara Basta, Welcome, scritta in tessuto wax su tovaglia da pic nic, 150 x 100 cm, 2019. (4) Piazzale della Stazione Casilina su via del Mandrione, location Amore e Rivoluzione, Roma, 2019. (Titolo-scritta “Amore e Rivoluzione” 2019 (5) Il pubblico di “Amore e Rivoluzione” (6) Francesca Grossi e Vera Maglioni allattano i loro rispettivi figli all’interno della loro opera Occupazioni: Tenda dell’accudimento, tessuti, materassi, corde, pietre, 2015/19; il lavoro è realizzato in collaborazione con Sara Basta, Maria Pia Picozza, Guendalina Salini. (7) Elena Bellantoni,Tornando in alto ad ardere le favole, installazione in legno, pigmento fluorescente, 350 x 40 cm, 2019 (8) Stefania Galegati veduta del Manifesto del cadere, pittura lavabile, 2019.