Manuela de Leonardis in conversazione con Antonello Tolve discute l’«intervista» come metodo dialogico per entrare nel lavoro dell’artista. L’intervista è soggetto e oggetto della sua ricerca e delle sue più recenti pubblicazioni.
Antonello Tolve: Adoperi da tempo l’intervista come forma e formula dialogica per entrare nel lavoro dell’artista. Che cosa rappresenta per te questa espressione bipolare?
Manuela De Leonardis: Sì, la formula dell’intervista mi accompagna dai tempi dell’università. Allora ha rappresentato una necessità, dal momento che la mia tesi di laurea in Storia dell’Arte Contemporanea verteva sul lavoro di quattro artiste viventi (Maria Lai, Mirella Bentivoglio, Elisa Montessori e Tomaso Binga). Non essendo artiste storicizzate incontrale nei loro studi e raccogliere le loro testimonianze è stato fondamentale. A distanza di tempo un altro incontro è stato fatidico nell’acquisire la consapevolezza dell’affinità elettiva con la formula dell’intervista, quello con Fabio Mauri. Eravamo nel suo studio a Roma in via Santa Maria dell’Anima, nel 2004, seduti uno di fronte all’altro con lui che spegneva una sigaretta e ne riaccendeva subito dopo un’altra, mentre il nastro della cassetta da 90 minuti continuava a girare nel registratore, per essere sostituito da un altro. Altri tempi, altri mezzi tecnologici, ma la modalità non cambia.
A tu per tu con i grandi fotografi I (2011), A tu per tu con i grandi fotografi e videoartisti (2012) e A tu per tu con gli artisti che usano la fotografia (2013) sono tre libri che hai pubblicato negli ultimi anni, tre raccolte di interviste. La formula «a tu per tu con» mi fa pensare ad una necessaria intimità, al desiderio di comunicare realmente con l’altro e di lavorare anche antropologicamente.
È un incontro di sguardi, prima di tutto. Le mie interviste, infatti, sono realizzate dal vivo, raramente via skype; mai per telefono o email. Mi piace il rapporto privilegiato con l’interlocutore che può essere l’inizio di una nuova storia – d’amicizia o rapporto professionale – ma non prevede necessariamente il feeling.
Ti andrebbe di delineare i nuclei e i grumi di questi tre libri?
Il primo libro è nato insieme al mio editore Claudio Corrivetti (Postcart), che con A tu per tu con i grandi fotografi I ha inaugurato la collana di saggistica che si chiama Postwords. Essendo un editore fotografico la scelta si è orientata sui grandi nomi dello scenario internazionale della fotografia, da Elliott Erwitt a Letizia Battaglia, Gabriele Basilico, Eikoh Hosoe, Daido Moriyama, Malick Sidibé… Abbiamo raccolto interviste già pubblicate sulle testate con cui collaboro – soprattutto il manifesto, art a part of cult(ure) e Exibart – inserendo anche i ritratti fotografici che ho scattato personalmente ai vari personaggi. Le interviste sono nella versione integrale, mentre sulle testate solitamente appaiono, per motivi di spazio, nella versione ridotta. Per gli altri due libri ho avuto la libertà di ampliare lo sguardo includendo i videoartisti e poi gli artisti che usano altri media inclusa la fotografia. Tra gli innumerevoli autori ho cercato di dare spazio alle donne: Lalla Essayidi, Larissa Sansour, VALIE EXPORT, Mona Hatoum, Sarah Moon, Parastou Forouhar, Rinko Kawauchi, Loredana Longo, Regina José Galindo… e sono particolarmente felice che alla giapponese Miyako Ishiuchi, che ho intervistato a Paris Photo 2011, quest’anno sia stato assegnato il prestigiosissimo premio Hasselblad.
Secondo te cosa ruota attorno al lavoro di colui che costruisce un’intervista?
La capacità di ascolto, la pazienza, la curiosità… L’intervista va costruita studiando il lavoro dell’artista, senza mai dar nulla per scontato. Poi c’è l’incontro, che qualche volta assomiglia ad una seduta psicoanalitica, e infine la fase di riascolto del registrato e trascrizione. Il linguaggio parlato non è esattamente come quello scritto, si sa.
Leo Longanesi dice – e non senza crudeltà – che l’intervista è un articolo rubato. Tuttavia, a ben vedere, inter-vista indica un movimento ben preciso, uno spostamento. Significa (da intra, inter, in mezzo, interno, entrare e vedere, illuminare) entrare nello sguardo dell’altro, nell’ottica altrui. E dunque trattenere il proprio narcisismo per affidare all’altro il compito di raccontarsi in prima persona. Quale metodologia adotti quando costruisci un’intervista?
Mi documento sul lavoro dell’artista e cerco di leggere anche altre interviste. Sicuramente parto da mie curiosità personali. Spesso, ad esempio, faccio domande – che forse ad alcuni possono sembrare banali – sulla cucina o sul cibo, che per me sono indice di creatività e interessanti spunti d’indagine socio-culturale.
Dialogo, dal greco dia-logos, è, d’altro canto, un componimento di pensieri alternati, un incontro tra due menti. Pensi che l’intervista sia vicina a questa struttura?
Assolutamente sì. Non è detto, però, che le maschere cadano. Del resto, non sono mica una psicologa!
A tu per tu sembra un lavoro in continuo divenire, un progetto dolce che indica una progressione, una serie di nuove tappe. Hai in programma altri volumi?
In programma, intanto, c’è il primo volume in lingua inglese che dovrebbe uscire entro la prima metà del 2015. Si chiama Face to face e raccoglierà trenta interviste a fotografi internazionali, sia inedite che tra quelle già pubblicate nei volumi A tu per tu. Poi, vedremo… il mio editore – scherzando – parla dell’Enciclopedia De Leonardis. Ma sono ancora di moda le enciclopedie?