Invitation to a Disaster è il nuovo progetto di “Le Stazioni Contemporary Art” di Carlo Cinque: protagoniste sono le opere di Matteo Montani e Antonio Trimani, oltre al luogo che le ospita: un appartamento milanese posto all’ottavo piano di via Melchiorre Gioia 135. Ce ne parla Antonio Trimani.
E.G. Rossi: Home Galleries, alberghi e residence abitati anche come spazi espositivi, sono tutte formule ‘consolidate’ in questi ultimi anni. Immagino che molti, come me, sono entrati nello spazio di Via Melchiorre Gioia con aspettative già in parte precostituite, rispetto a lavori, quello tuo e di Montani, che si crede di conoscere, e ad una formula di spazio espositivo già vissuta in altre occasioni.
Ci si trova, poi, di fronte a qualcosa di completamente diverso. Qualcosa anche di molto difficile da raccontare con le parole. L’energia che si genera tra pitture, video e il loro negativo riflesso nello spazio e nella sua particolare illuminazione, investe l’emotività, anche con una certa violenza. Oltre alla sinergia tra voi due artisti si sente molto forte quella tra voi e Carlo Cinque, tanto che la recensione di Alice Ioffrida per Segno, prima ancora delle opere e del loro confronto, parla di ‘spazio riconfigurato’, prima ancora delle opere. Ci puoi raccontare come è nata questa magia, ancor più che sinergia, tra di voi?
Antonio Trimani: L’idea di realizzare una evento/mostra (è arduo darne una definizione) come Invitatio to a Disater, nasce dall’idea realizzare qualcosa che andasse oltre il concetto di un exhibition site-specific (modalità utilizzata come pratica contemporanea); ribaltando ovviamente anche il concetto di “riempire”, installare opere nel così detto un white box, pratica molto in uso nelle gallerie del mondo anglosassone e non solo.
Invitation to a Disaster vuole essere un evento/mostra che parte da uno spazio architettonico decostruito/violato e in parte distrutto per poi essere riconfigurato per accogliere delle opere realizzate per lo spazio riprogettato.
Per essere più precisi, il progetto espositivo ha avuto uno sviluppo bidirezionale: lo spazio architettonico ha influenzato la realizzazione delle opere e, viceversa, le varie opere pensate per lo spazio hanno influenzato la riconfigurazione dello spazio che sì andava realizzando, il processo è avvento in modo contestuale di interscambio attraverso non solo un progetto, ma attraverso il processo.
Per esempio Senza Limiti 2018 installata nella parete (cielo-terra) è il frutto del lavoro di progettazione dell’ambiente/nell’ambiente dove le dimensioni della parete, la posizione rispetto alle “ferite/passaggi/porte” hanno dato delle suggestioni molto precise sulle modalità realizzative della scultura video. Di converso, la scultura video con le sue necessità estetiche e realizzative hanno influenzato la contruzione/scultura del segno “ferita” e del suo contenuto liquido/digitale e con i suoi apparti tecnologici.
Per estendere l’idea, l’installazione video Risvegli Trittico disposto all’inzio del percosso espositivo, ha fatto sì che l’entrata (prologo, inizio del viaggio) fosse completamente ripensato, cambiando la struttura architettonica dell’ambiente: abbiamo abbattuto diversi muri e costruito altri elementi per far sì che l’opera dialogasse con l’entrata/ferita a muro di 90 gradi per favorire lo spettatore con una vista che coincidesse con l’esperienza fisica.
Invitation to a Disaster, grazie all’idea iniziale di Carlo Cinque e del sottoscritto con l’apporto successivo, ma fondamentale, di Matteo Montani, ha la presunzione di essere un’opera totale, dove ogni elemento è polisèmico, dove il contenitore delle opere è esso stesso un’opera in dialogo attivo con gli elementi inseriti in un percorso/viaggio (quadri, sculture, affreschi, video, sculture specchainti con elementi video).
Il percoso, come hai giustamente accennato tu, in questo ambiente è pensato come un viaggio interiore dello spettatore che agisce, che misura il proprio corpo con elementi architettonici (stanze, passaggi/ferite, cambiamenti di intesità luminosa e sonora) che si presta alla visione e all’ascolto di opere audio-visuali che dal disastro (armonico) arrivano alla stanza dell’Aria (il tetto), attraverso il Vanishing Painting di Matteo, con il lavoro finale luminescente sull pavimento e il dialogo tra La Stella Sonora realizzata da me che illumina il Terrestre, la bellissima statua di Matteo Montani.
Invitation to a Disaster… il titolo preannuncia qualcosa di drammatico, di irreversibile. Poi, invece, ci si ritrova addentro ad un processo catartico che dallo spazio interno isolato dalla luce del sole arriva al cielo aperto dell’ultima parte del percorso che si affaccia sul terrazzo all’ultimo piano…
Il titolo Inviation to a Disaster, mi ronza nella testa da moltissimi anni, pensavo fosse il titolo di un video di John Maybury, artista inglese che intervistai nel 1999 per il catalogo Il Video a Venire, a cura di Valentina Valentini. In realtà, ho sfogliato il libro ultimamente ma non c’è traccia di questo titolo… in ogni caso sono sicuro di averlo sentito per la prima volta durante questa intervista. Mi è sempre piaciuto, restituisce il senso di Invitation, a mio avvviso, come una sorta di ossimoro, questo è più lampante specialmente nella lingua inglese.
Non sono d’accordo con te quanado usi il termine irreversibile, perché in realtà il passaggio attento e contemplativo davanti alle opere presentate e il percorso finale nella stanza dell’Aria, vogliono mettere proprio in discussione questa apparente irreversibilità.
Come vi ha cambiato questo progetto e cosa vi ha stupito a lavoro finito rispetto alle vostre aspettative?
Mi piace ricordare che questo progetto ha avuto una gestazione molto lunga, io e Carlo ne parlavamo già dallo scorso anno, spesso andavamo a visitare lo spazio: 2 appartamenti contigui all’ottavo piano di un palazzo. Da aprile 2018, abbiamo inziato a pensare seriamente alla fase realizzativa, il mese successivo abbiamo deciso di coinvolgere un altro artista: Matteo con il quale dialogo da più di 25 anni. Da quella che doveva essere una piccola collaborazione, si è creata una esaltante alchimia tra di noi, tanto che lui ha sposato completamenta il progetto diventantone parte attiva e in modo senza dubbio paritario. Abbiamo quindi programmato gli interventi e le modifiche strutturali, che il realtà, come accennavo prima, sono avvenute in modo processuale. Per ritornare alla domanda, devo dire che dal punto di vista umano noi tre ci siamo riscoperti lavorando in sinergia. Il processo creativo ha messo a nudo quelle che erano le sicurezze ma sopratutto le fragilità individuali. Prima ancora degli spettatori, noi abbiamo attraversato questo processo catartico nel suo farsi, siamo stati noi a sorprenderci dell’ambiente che stavamo creando.
Per quanto riguarda il pubblico, i numerosissimi invitati, che si sono succeduti per mesi, ha fatto sì che ci redessimo conto che il risultato ottenuto aveva superato di moltissimo le nostre aspettative. In origine il Disastro doveva durare un mese – è stato inaugurato il 27 di settembre dopo 4 mesi di lavoro. Grazie alla grande partecipazione, abbiamo deciso di prorogarlo fino alla fine dell’anno. Molti visitatori sono ritornati più volte, perché hanno capito che lo spazio è più fruibile in solitudine e non in gruppo. Molti si sono commossi, ma tutti hanno apprezzato questa esperienza.
Come intendete proseguire il percorso?
Mi sembra rilevante aggiungere che il progetto non è finito. A Gennaio lo spazio verrà modificato per l’evento/mostra ARIA. Come si può immaginare questo rappresenterà un processo autoriflessivo per noi, ma sopratutto per i numerosi ospiti/spettatori che sono stati protagonisti del primo evento e che ritorneranno nello spazio riconfigurato, anche con nuove opere… Poi demoliremo tutto.
Invitation to a Disaster, progetto di mostra nell’ambito di Le Stazioni di Carlo Cinque
via Melchiorre Gioia 135, Milano, 27.09 – 31.12.2018 (su appuntamento, info via)
immagini: (cover 1) INVITATION TO A DISASTER, «Piccolo Paesaggio in cerca di grazia» (da squarcio), courtesy le Stazioni Contemporary Art (2) INVITATION TO A DISASTER Fluo painting sulla terrazza tra i tetti (3) INVITATION TO A DISASTER, Matteo Montani, «Vanishing Painting», courtesy Le Stazioni Contemporary Art (4) INVITATION TO A DISASTER, Matteo Montani, «Linea di Massima – Canto Urgente», courtesy Le Stazioni Contemporary Art (5) INVITATION TO A DISASTER, Antonio Trimani, «Trittico. Risveglio», 2017, Courtesy Le Stazioni Contemporary Art (6) INVITATION TO A DISASTER Matteo Montani, Terrestre, Antonio Trimani, «Stella Sonora», courtesy Le Stazioni Contemporary Art (7) INVITATION TO A DISASTER. Carlo Cinque – Antonio Trimani – Matteo Montani, courtesy Le Stazioni Contemporary Art (8) INVITATION TO A DISASTER Antonio Trimani, «Senza limiti», un visitatore fotografa con l’opera, courtesy Le Stazioni(9) INVITATION TO A DISASTER Trimani e Montani, «Senza Limiti e Mai salvo ancora salvo», courtesy Le Stazioni Contemporary Art