Il racconto di Luca Zaffarano ha inizio per portarci al Mori Building Digital Art Museum sull’isola di Odaiba, a Tokyo. Qui Zaffarano ha incontrato il collettivo interdisciplinare teamLab, rappresentativo di un moderno modello di paradigma creativo, e anche, perché no, di business.
Nella baia di Tokyo, sull’isola di Odaiba, le installazioni Borderless del teamLab, un collettivo di creativi fondato nel 2001 da Toshiyuki Inoko e oggi rappresentati a livello mondiale dalla Pace Gallery, sono diventate una delle attrazioni di maggior richiamo. Si arriva al Mori Building Digital Art Museum con una linea metropolitana sopraelevata che si incunea tra i grattacieli per poi salire lentamente sul Rainbow Bridge, il ponte che collega la città all’isola artificiale. Il sabato mattina, all’ora di apertura, la coda delle persone in attesa è già consistente.
Il teamLab è un gruppo di lavoro intrigante per molti aspetti. Una delle sue caratteristiche più rilevanti è la definizione di un paradigma creativo incentrato sulla cooperazione tra specialisti in campi differenti: ingegneri hardware e software, architetti, matematici, pittori, specialisti di computer graphic. A differenza di alcune esperienze collettive del secolo appena trascorso, qui non troviamo intenti politici o ideologici ma la consapevolezza che il processo creativo, per realizzarsi nella sua complessità espressiva, fortemente tecnologizzata, non può che risultare da una progettazione collaborativa. In fondo l’artista isolato e ispirato, alle prese con schizzi, tele e pennelli, era una figura romantica obsoleta che persino nel secolo scorso ha resistito fin troppo a lungo, fortemente contestata dagli artisti produttori e dai proto-designer delle avanguardie europee di inizio novecento. E se nel secolo scorso l’idea di un’arte alla portata di tutti veniva realizzata con la produzione seriale di oggetti, oggi la scelta adottata dal teamLab consiste nell’offrire una serie di ambienti immersivi iper-tecnologici, una specie di parco giochi creativo in cui vivere uno spettacolo al costo contenuto di circa 30 euro. Ai più snob va subito chiarito che qui ci vengono le famiglie, i bambini talvolta urlano per la meraviglia e l’atmosfera non è quella asettica di una galleria newyorkese di Chelsea. Lo spazio allestito grazie alla collaborazione con l’azienda costruttrice Mori Building Company è di 10.000 metri quadrati dove si susseguono, senza soluzione di continuità, decine di ambienti nella semioscurità e dove è facile, e persino utile, perdersi.
Un altro aspetto rilevante è che il teamLab ha un modello di business che si differenzia per linee, tra servizi digitali alle imprese (tra i propri clienti ha Toyota, All Nippon Airways, gruppi televisivi, società sportive, brand internazionali, ecc.), servizi di supporto al proprio museo (website, e-ticketing, gestione degli ingressi con QR code) e installazioni site specific certificate digitalmente e veicolate dalla Pace Gallery. Probabilmente la sostenibilità dell’attività museale a Odaiba non può essere raggiunta solo con la vendita dei biglietti, ma grazie ai servizi alle imprese (nel solo quartiere di Ginza sono attive installazioni presso Bulgari, i magazzini Ginza Six e il ristorante Moonflower Sagaya), ad accordi di partnership con aziende come Epson, Yamaha, MouseCompute, Hitachi-LG Data Storage, ecc, e con i proventi realizzati grazie allo presenza sul mercato dell’arte.
Ma di tutti di questi aspetti il responsabile comunicazione del teamLab, da noi intervistato, preferisce comprensibilmente non entrare nei dettagli. Per rendere profittevole la propria attività il teamLab si è strutturato come una azienda che oggi conta su circa 500 dipendenti. Solo una parte di essi svolge lavori di progettazione creativa di installazioni, dato che, solitamente, questo lavoro viene svolto da gruppi di 20 specialisti circa per progetto. Ken Gail Kato, del team legale, descrive in questo modo l’attività di progettazione:
«Sono convinto che per creare qualsiasi tipo di cosa nell’era digitale sia importante rivolgersi a persone con un alto livello di preparazione in diversi campi di lavoro che si uniscano per creare con un attitudine interdisciplinare. Nonostante questo accresca il grado di preparazione richiesto per ciascun campo, è impossibile dividere i progetti in singole discipline. E’ necessario, piuttosto, rendere i confini tra queste sempre più sfocati, e di farlo proprio attraverso il processo creativo» [1].
E’ evidente che la realizzazione di progetti complessi impone all’artista contemporaneo, singolo o collettivo, di gestire competenze specialistiche di altissimo profilo, di coordinare processi e di pianificare modalità di ritorno degli investimenti. Offrire ad un largo pubblico un evento implica progettazione, controllo di maestranze, interfacciamento con studi di ingegneria o di architettura, competenze manageriali e strategie di medio e lungo termine, tutte qualità che spesso non si adattano alla visione romantica dell’artista contemporaneo.
(…) il viaggio prosegue domani su questi canali…
[1] tradotto dall’inglese: In this digital age, whenever you’re creating something, I feel it’s important to have people with a high level of expertise in a variety of fields working and creating together in an interdisciplinary fashion. Although this increases the degree of specialization required in each field, it’s impossible to divide projects up into single, isolated disciplines. This is because it’s necessary to make the boundaries of these specialized fields ambiguous through the process of creation
teamLab. Borderless, MORI Building DIGITAL ART MUSEUM: teamLab Borderless, 2018, Odaiba, Tokyo
immagini (tutte): teamLab, Exhibition view of MORI Building DIGITAL ART MUSEUM: teamLab Borderless, 2018, Odaiba, Tokyo © teamLab. TeamLab is represented by Pace Gallery