James Bridle, artista, teorico, scrittore, visionario di un’epoca ancora difficile da definire, ci fa riflettere sul corso di una trasformazione radicale, quella che l’accelerazione tecnologica ha investito ogni ambito e disciplina, che ha riconfigurato le tradizionali geografia territoriali, ma anche linguistiche e comportamentali.
New Dark Age. Technology and the End of the Future ci addentra nel cuore di questa dimensione e condizione non proprio nuova, ma per molto tempo scansata come profezia fantascientifica di un futuro ancora lontano.
Il libro è una tappa importante della ricerca di Bridle che, dall’età di 13 anni, oscilla tra arti visive e scrittura, tra mondo fisico e online. Sul suo blog opere, riflessioni, teorie, come quella della New Aesthetic, si intrecciano e si alimentano vicendevolmente per proseguire e confluire in nuove trasformazioni.
La nuova era oscura, la dark age, come la definisce Bridle nel suo libro prende forma, tra gli altri, nei sistemi di sorveglianza di massa, nel terrorismo transnazionale, nel cambiamento climatico, nella cospirazione, tutti argomenti trattati anche nella sua ricerca visiva che qui tornano rielaborati in un discorso scritto pronto per proseguire il viaggio in nuove elaborazioni. «Ciò che accomuna tutti questi temi» – dice Bridle in una recente intervista per Arshake – «è il loro effetto paralizzante». Ma la cosa più spaventosa non è tanto la trasformazione in sé che dalla nascita del computer è arrivata ad una cultura code/space defluita in ogni angolo dell’agire umano, quanto l’impossibilità di comprenderla. Il motivo è la nostra esistenza all’interno di essa: «we cannot stand outside them [technological systems]; we cannot think without them» (p.2).
La stessa impenetrabilità Timothy Morton la individuava negli Hyperobjects, oggetti distribuiti nello spazio e nel tempo in relazione agli umani in cui includere la biosfera, i buchi neri e il sistema solare identificati in una dimensione opaca, difficile da mettere a fuoco e da inquadrare.
L’oscurità può essere tutt’altro che negativa. Può essere un luogo di libertà e potenzialità. Ciò che bisogna fare è conquistare consapevolezza che la nostra esistenza abita una zona grigia, incerta, si nasconde dietro la pellicola di certezza che prende forma e forza ‘nei’ e ‘dai’ canali di comunicazione. La vera crisi di questa trasformazione è da ricercare quindi in una crisi di conoscenza, di consapevolezza, la stessa in grado di trasformare la zona di incertezza in potenziale: «uncertainty can be productive, even sublime» (p. 15). Questa crisi di conoscenza scaturisce in tutti i capitoli e argomenti che Bridle affronta nel libro: dal pensiero computazionale, ai cambiamenti climatici, all’Intelligenza Artificiale, alle tecnologie della blockchain. E’ particolarmente evidente quando l’obiettivo stringe il fuoco sul tema della sorveglianza, un fenomeno che scaturisce da un iper-controllo che prende forma proprio nella nostra complicità e dove la vista è cieca: «everything is illuminated, but nothing is seen». Tutto quanto espresso dal libro, dove converge la ricerca intera di Bridle fino al momento della sua pubblicazione, ha già trovato un suo proseguimento di indagine artistica nella mostra Agency presso la NOME Gallery di Berlino con la complicità di numerosi artisti provenienti da background e paesi diversi che hanno rivelato diverse sfaccettature della sua stessa direzione di pensiero. La Dark Age si riconfigura quindi in visualizzazioni di diverso tipo, scritte e/o esperienziali, tutte rivolte a stuzzicare la riflessione e ad essere quindi parte attiva di un processo di trasformazione che riconfiguri la percezione, e quindi la natura, dell’oscurità in una meravigliosa combinazione di possibilità.
James Bridle, New Dark Age, Verso, Londra 2018 (vedi anche Intervista a James Bridle, Arshake, 13.12.2018)
Viaggio tra le pagine della new dark age che James Bridle, artista, teorico, scrittore, prospetta nel suo ultimo libro