Dimenticate le melodie soffuse e interplanetarie, la sua musica concreta più pura e immergetevi in un melange di dream music, pop, techno e pura electro.Un set bellissimo con pannelli a led, a creare un sipario che si chiude e dischiude a seconda delle esigenze sceniche, per degli effetti di movimento e tridimensionalità notevoli.
Ci accoglie per una breve intervista prima di esibirsi con una camicia nera a pois bianchi e i suoi capelli elettrici, un pop-punk che è un salto immediato nel suo ultimo album “Helectronica 2: the Heart of Noise” (omaggio a Russolo e all’arte dei rumori), un concentrato di collaborazioni: dai Pet Shop Boys, a Laurie Anderson, Hans Zimmer, Cindy Lauper, Primal Scream, Sebastien Tellier, Gesaffelstein.. .
Un 68enne con la forza di un teenager. E questo, la musica, lo permette.
Siamo 4 giornalisti a porgli diverse domande: “come vede l’elettronica fra 40 anni?”, “come è riuscito a creare un ponte fra la musica pop e la musica elettronica tradizionale impegnata, quasi atonale (Klaus Schulze o Tangerine Dream, ad esempio)?”, “che ruolo ha avuto l’immagine nella sua produzione?” (e direi anche l’immaginazione), “quale il suo rapporto con Edward Snowden e come salvarci da una sorveglianza globale che rischia di divenire paranoia?”
Risponde in un flusso libero e veloce, di chi ha poco tempo e le idee molto chiare.
«La collaborazione fra i musicisti è importante, come lo è l’incontro fisico fra compositori, ingegneri del suono e altre menti, in particolare con l’intelligenza artificiale per la sua capacità di produrre altra musica, altra pittura, altre immagini”. Per il futuro esprime credo e curiosità nel rapporto fra artisticità dell’uomo e creatività della macchina.
«Il fatto di essere un ponte fra pop ed elettronica: quello che feci testimonia la mia l’ossessione per la sperimentazione (fu allievo di Pierre Schaeffer, ndr.) e l’amore che ho sempre coltivato per la melodia, l’essenza della musica. La musica elettronica è totalmente differente dalla musica classica, che si fonda sulle note e sull’orchestra, è un lavoro sulla texture del suono, sulle sue infinite possibilità di modellare la sonora: è una maniera di creare il suono, di esplorarlo in maniera profonda e nuova. E ho scelto il pop per ritornare ad una melodia di base».
Sapere che ha iniziato la sua carriera musicale pensando a Pierre Soulanges e ai suoi layers pittorici, ci aiuta a comprendere i suoi layers in musica: «Considero la musica da un punto di vista molto visivo, per stratificazioni digitali e flessibili, in un continuo amore per Malevich e il suo senso della misura».
Risolve così le sue domande e forse inquietudini sulla mancanza di anonimato e di privacy e la messa in pericolo della sicurezza on line: «Il rischio è abusare della tecnologia. Siamo noi che dobbiamo divenire consapevoli del mezzo. Solo un uso consapevole del mezzo ci può salvare dalla paranoia della sorveglianza”. ll fatto è che l’abuso può essere ridotto, marginalmente, ma l’uso che le agenzie di intelligenza segreta fanno di questi nostri dati rimane incontrollato. Edward Snowden, l’informatico statunitense ex tecnico della CIA denunciato nel 2013 per aver rivelato pubblicamente dati su diversi programmi di intelligence segretati della NSA, nel video “Exit” infatti si chiede perché i tutti dati privati debbano finire online, archiviati in personal devices e la libertà di espressione così invalidata. E’ quello che ha cercato di dire, finendo agli arresti da anni».
Il tempo dedicato all’intervista è troppo breve, da far rimanere il desiderio di approfondire e spingere il discorso un po’ più in là. Oltre il limite dei minuti.
Il concerto inizia alle 9.30 di sabato 9 luglio 2016, con i toni epici di The Heart of Noise Pt 1 e Pt 2 in una pioggia di luci rosse e blu. Suoni delicati e ritmi ostinati, percussioni a battere, ad accompagnare un minimalismo di base.
La composizione visiva si anima e il suono si elettrizza con Automatic. Raggi di luce divengono un’ architettura razionalista policroma.
Poi la dedica ad Edward Snowden e si inizia con Exit: il volto di Snowden si carica di codici e caratteri alfanumerici in un flusso di dati incontrollabile. Techno pura. E un americano impeccabile della voce dell’informatico statunitense, registrata a Mosca nell’aprile 2016, a pochi giorni dall’uscita dell’album.
E’ la volta della figurazione stilizzata di Brick England e dell’arrivo sul palco della cifra stilistica dei Pet Shop Boys. Un pop rivistato da un ambient più nostalgico.
A nessun concerto di JMJ può probabilmente mancare Equinoze coi suoi pinguinoni blu e gialli a invadere la platea.
Quando arriva il momento di suonare l’arpa laser, ci invita a sperare che non ci siano intoppi nel funzionamento della stessa e coi suoi guanti bianchi suona i laser come fossero corde, esattamente al centro del palco e ci abbandona ad un gotico Time Machine.
Mi è sempre piaciuto JMJ per la sua capacità di attraversare l’attualità in musica, di permeare punti diversi dello Spazio, di pensare insomma la propria esistenza in un punto diverso dalla nostra localizzazione spaziale e temporale. Di interessarsi alla Terra così come ai campi magnetici e al sistema solare.
Waiting for Costeau (9° album, 1990) è uno degli album a cui sono più affezionata. Mette insieme la figura del regista e oceanografo Jeanne Yves Costeau per il suo impegno politico-ambientale[1] e il suo allarme verso le due primarie fonti di vita – acqua ed aria – ridotte dagli uomini a spazzatura e l’omaggio a uno dei suoi registri teatrali preferiti: James Beckett, al cui Waiting for Godot si rifà nel titolo. Questo Godot/Costeau è l’uomo cosciente di dove vive e delle operazioni da attuare per bloccare i disastri ambientali.
Zoolook (6° album, 1984) è una dichiarazione di amore per il multiculturalismo. Lì sono riarrangiate voci campionate da 30 lingue diverse (lingue Aborigene, Arabo, Cinese, lingue Eschimesi, Francese, Giapponese, Indiano, Inglese, Malese, Malgascio, Olandese, lingua Pashtu, lingua Pigmea, Polacco, Quechua, Russo, Sioux, Spagnolo, Svedese, Tedesco, Tibetano Turco e Ungherese) e, in questo momento di tensioni razzistiche epidemiche, è un album che dovremmo ascoltare e riconsiderare. La bellezza di 30 diversità che sommate fanno un uno, musica concreta che diviene funk e new wave con influenza afro-orientali.
Con “Stardust” siamo in chiusura. E il ciclo si è chiuso pensando alle stelle e alla loro e nostra infinitezza.
[1] La Carta dei Diritti delle Generazioni Future è stata proposta da Jacques-Yves Cousteau e la sua équipe in collaborazione con l’UNESCO e da questa approvata nel 1991; ha raccolto, attualmente, adesioni in più di 100 Paesi. Gli è stata intitolata la riserva Cousteau, un’area marina protetta situata nel dipartimento della Guadalupa.
Immagini (tutte) Jean Michel Jarre, concerto a Roma, immagini di Elena Giulia Abbiatici riprese live durante il concerto nell’ambito del Just Music Festival