Dicesi poesia sonora «l’espressione artistica interdisciplinare nella quale la vocalità, talora applicata alla scrittura, talora svincolata da essa, svolge un ruolo di primo piano, connettendosi anche con forme espressive visive, gestuali, musicali»(1). Atto rivoluzionario delle avanguardie del XX secolo, essa rappresentò emancipazione e libertà rispetto alle pratiche tradizionali, solide e rassicuranti; un gesto scomposto eppure significante, rivolto verso nuove ribellioni e rivendicazioni. A partire dagli anni Cinquanta la cosiddetta poesia fonetica si arricchì di quegli strumenti tecnologici che le permisero di diventare sonora.
L’esposizione al Palais di Tokyio, La voix libérée – Poésie sonore si propone di restituire uno sguardo d’insieme di queste pratiche, dal secondo Dopoguerra alla contemporaneità, guardando alla ricerca di quanti oggi tentano di affermare la propria unicità in un mondo chiassoso e in continua espansione.
Essa è concepita «come un posto da ascoltare dal suo interno, un trasmettitore che crea frequenze che attraversano i muri del Palais de Tokyo grazie ad una applicazione sonora della mostra che può essere scaricata gratuitamente, così come una moltitudine di siti, stazioni radio che estendono l’esperienza della poesia visiva per l’intera primavera 2019»(2).
«La voix libérée – Poésie sonore» si declina in varie altre forme: una giornata di performance (questo 27 aprile), una serie di eventi in collaborazione con altre istituzioni culturali di Parigi e un catalogo App da scaricare gratuitamente, contenente tutti gli audio della mostra.
Numerosi gli artisti interessati, suggestivo pensare ai taccuini dei poeti anni Cinquanta colmi di annotazioni, schemi, parole e inchiostri colorati ai quali si dava voce, trasformando la grafica giocosa delle parole in suono. Più avanti, oltre la penna ribellatasi alle righe, nuovi strumenti entrarono in gioco per registrare audio, scomporli e ricomporli, come avveniva nei contemporanei collage di arte visiva. «Con le ricerche elettroniche – scrisse Henri Chopin, pioniere della poesia sonora- la voce è diventata finalmente concreta»(3). La tecnica utilizzata negli anni Sessanta consente di deformare la voce variandone velocità, echi e riverberi. Dalla carta al microfono i suoni sono amplificati, sovrapposti, registrati su nastro e resi materia plastica in contrapposizione a quanto veniva precedentemente recitato dal vivo. Intervengono i suoni della strada, scampoli di vita quotidiana che concorrono nell’atto di creazione poetica.
La mostra getta, infine, uno sguardo sulla scena contemporanea, praticata da molti giovani poeti in tutto il mondo. Si tratta di sperimentazioni in ambito digitale, che muovono a partire dall’eredità della seconda metà del secolo scorso ma che indagano il più recente rapporto con la tecnologia, i mass media e la società della comunicazione.
«La voix libérée – Poésie sonore» è un progetto sostenuto dal Palais de Tokyo e dalla Fondazione Bonotto di Molvena (VI), la quale promuove un patrimonio di oltre 16.000 documentazioni audio, video, manifesti e libri di artisti di Fluxus, della Poesia Concreta, Visiva e Sonora .
1.Poesia sonora in wikipedia
2. comunicato dal sito del Palais de Tokyo
3. H. CHOPIN, La voce, in «La Tavernadi Auerbach», n° 9/10, 1990.
«La voix libérée – Poésie sonore», Palais de Tokyo, 21.03 – 16.05.2019
immagini: (All) «La voix libérée – Poésie sonore» Credit Anette Lenz