Il silenzio, di solito, è più assordante delle parole. Da parte mia, che ho frequentato Alberto Boatto dal 1967, da quando, con Filiberto Menna, ha curato L’impatto percettivo – la Rassegna internazionale di pittura di Amalfi, voluta da Marcello Rumma –, ho scelto di affidare alle parole, qualunque siano, l’amicizia e l’emozione provate dalla notizia della morte di uno storico e di un critico d’arte che la mia generazione ha assunto, con pochi altri nomi, quale bussola per orientarsi nel pianeta dei linguaggi dell’arte, tra avanguardia e neoavanguardia. Anche per non dimenticare che, nel 1968, Boatto ha contribuito, con una riflessione su Zorio, a Ricognizione cinque, rassegna da me curata su istigazione di Menna e di Rumma.
L’anno dopo, nel 1969, nel ricostruire il “ritratto di famiglia”, Boatto ha firmato l’introduzione a Marchand du sel di Duchamp, uno dei primi titoli con cui il giovane Marcello Rumma ha inaugurato la propria casa editrice. Intanto, subito dopo l’esplosione veneziana della pop art, il critico è andato a New York per verificare sul campo – negli studi degli artisti e nella galassia urbana – i segni, i simboli e l’imagerie che popolano le ricerche del new-dada e della pop art. Nel 1967, ha pubblicato Pop Art in U. S. A., libro di culto ancora oggi, messo in forma da Magdalo Mussio, con il rigore del bianco e nero e con le immagini collocate a tutta pagina per farle respirare.
Dicevo di Marcel Duchamp. Boatto rilegge in chiave linguistica – negli stessi anni, Schwarz ha proposto una lettura alchemico-archetipica – l’esperienza di Duchamp, destinata a essere riferimento d’obbligo per il presente dell’arte. A sua volta, Duchamp, vero e proprio “marchand du sel”, gli ha aperto la strada al “dopo-il-moderno”, allo “sguardo dal di fuori”.
Annunciati dal “libro-mappa” Ghenos Eros Thanatos (1974) e dalla lezione al Convegno salernitano sul surrealismo – Sull’erotismo: Sade, Bataille, Breton (1972-73) –, Boatto ha pubblicato Cerimoniale di messa a morte interrotta (1977) nel quale, con Sade e con Nietzsche, ha interrogato le categorie del Moderno, in particolare, il negativo, la morte e la destinazione del soggetto, e, nel 1981, Lo sguardo dal di fuori in cui, da “psiconauta”, ha avvertito lo “spaesamento ecumenico” della Terra, divenuta ready made e entrata nella “fase dello specchio”.
Lo psiconauta, nozione preso in prestito da Ernst Jünger, si differenzia dal cosmonauta – marca Boatto – perché “è l’uomo che di fatto non ha compiuto nessuna ascensione, e tuttavia il viaggio si è inscritto nel suo sistema nervoso, mettendolo in grado di darne le prime, frammentarie notizie, di riempiere i capitoli iniziali della storia postmoderna, di scrivere della nuova condizione dell’uomo in uno spazio completamente capovolto, ad un tempo dislocato e duplicato”: appunto, “proiettato nel di fuori e da questo fuori osservato, tallonato, spiato”.
Boatto, in dialogo con Corà, avverte come alla “situazione postmoderna o del ‘dopo-il-moderno’ non corrisponda ancora nessuna espressione, nessuna opera, nessuno segno postmoderno”. È consapevole, questo sì, che la scrittura potrà accostare l’inquietudine e le figure del “dopo-il-moderno” e, insieme, potrà “sottrarre lo specchio a Narciso per restituirlo a Dioniso”. Narciso infranto. L’autoritratto da Goya a Warhol (2005) è, in questo movimento, l’esito del suo pensiero da continuare a interrogare.