Ripensare, attraverso l’antropologia e le sue eredità, nuovi oggetti con identità relazionali in costante dialogo tra loro, abolendo un fare artistico classificatorio e che, per troppo tempo, è stato premessa del razzismo sistemico. E’ forse questo il volere più grande che traspare da Parentele di Terra, la seconda mostra personale nella Galleria Spazio Nuovo di Marco Maria Zanin, visitabile sino al 17 Luglio 2021.
La produzione presente in mostra appartiene all’ultimo anno. Il lavoro di Marco Maria Zanin, artista e ricercatore antropologo, ci presenta connessioni impreviste fra oggetti che spaziano dagli attrezzi della cultura contadina veneta delle sue origini, ai manufatti di comunità incontrate nel suo percorso da antropologo in Sud America e Portogallo.
L’installazione non è nello spazio, ma è lo spazio stesso a divenire installazione.
Infatti, avvalendosi di un gioco associativo tanto libero quanto informato, le associazioni visive ci vengono presentate attraverso sculture in ceramica, piante spontanee, fotografie e wallpaper, che occupano l’intero spazio espositivo e sono accomunate dall’idea di radicamento alla terra.
Le ceramiche presenti sono frutto di una serie di manipolazioni di oggetti comuni, quali pialle da falegname, vanghe, definiti da Marco Maria Zanin, Embodied Matter, letteralmente materia incarnata.
I nuovi oggetti vengono presentati su un tavolo, come a suggerire il loro ‘essere vivi’ in costante ‘dialogo’, ed alludono a qualcos’altro sotto una nuova forma che li vede mostrarsi all’osservatore in modo differente dalla loro forma originaria e conosciuta.
Le fotografie presenti attorno al tavolo narrano, attraverso una concezione metabolica, degli incontri tra i diversi manufatti e utensili, quelli appartenenti all’infanzia dell’artista e quelli acquisiti nei molteplici viaggi, e che hanno portato alla creazione delle ceramiche.
Accanto alle connessioni impreviste tra nuovi corpi, eredi dei loro contesti di origine ma ora in dialogo tra di loro, appaiono, sulle pareti della galleria, sotto forma di wallpaper, i fantasmi della tendenza museale di ridurre gli oggetti extraeuropei a pura forma. Ed è così che si intravedono, ad esempio, oggetti della cosiddetta arte negra, strumentalizzata come rappresentazione di un primitivismo accostato a sculture moderne.
Fantasmi che restano sullo sfondo della mostra, ma presenti, come a voler sottolineare quanto, invece, gli oggetti siano portatori di saperi che vanno ben oltre la pura forma plastica, sono identità relazionali e aperte capaci di suggerire una nuova etica delle relazioni.
A sottolineare questo concetto, la presenza della fotografia Family Portrait, un ritratto di famiglia, appunto, che vede dialogare e presenziare sul medesimo piano, nel medesimo luogo, oggetti-soggetti accomunati da un forte rapporto con la terra. Appaiono, infatti, le coppe donate dalla comunità Q’ero, una statuetta camerunense, un Sant’Antonio scolpito a Belo Horizonte, le pialle da falegname: parentele di terra che permettono di scrivere una nuova biografia della cose, intessendo memorie e conoscenze.
Marco Maria Zanin, Parentele di Terra, a cura di Matteo Lucchetti, Spazio Nuovo, Roma, fino al 17 luglio, 2021
immagini: (cover 1) Marco Maria Zanin, Family Portrait (2-3) Marco Maria Zanin, Spazio Nuovo, Roma, Exhibition view (4) Marco Maria Zanin, Vessel Hoe I