Il valore della mostra Mario Giacomelli tra pittura e fotografia, fino al 14 Aprile al Museo Laboratorio di Arte Contemporanea dell’Università Sapienza, non è quello di celebrare le abilità pittoriche del fotografo marchigiano, quanto di tratteggiare i contorni frastagliati di un uomo che curiosamente guardava il mondo e lo interrogava. «Non risposte/ma creare/per nuove domande» scriveva. Una mostra che racconta la sua urgenza di esprimersi, che andava oltre i Pretini e le serie di Scanno per cui il fotografo è noto al grande pubblico.
Un artista che nasceva tipografo e che dal segno rimase costantemente affascinato: l’imprimitura dei materiali sulla carta, il segno materico sulla tela, la traccia del ferro intrecciato, il segno dello scorrere del tempo negli anelli dell’albero, il solco del contadino nel paesaggio.
«Paesaggio non come luogo, ma come riflessione interiore» scriveva il fotografo sui muri della sua abitazione, minuziosamente descritta dalla curatrice Irene Caravita nel volume che accompagna la mostra e che raccoglie la sua ricerca.
Il segno è quello del linguaggio informale, materico, di Tàpies e più chiaramente di Burri: contaminazione esplicita nella sua produzione fotografica, che anche il MAXXI ha recentemente narrato.
L’intento al Museo Laboratorio, invece, è quello studiare la produzione di Giacomelli in maniera scientifica, accostando la sua ricerca pittorica degli anni Sessanta e Settanta a quella fotografica. Allora lo spazio contenuto del museo universitario vede alle pareti, raffrontati, tele e collage che diventano, poi, fotografie.
Una narrazione comparata in cui compaiono costantemente, quasi per caso, segni di rosso e in cui i bianchi pastosi e pittorici sono raccontati insieme a quelli contrastati della fotografia: “bianchi più bianchi, ma con un po’ più di materia” si legge su un provino di Giacomelli.
I temi sono quelli della sua quotidianità: la terra arata, la strada, il mare marchigiano, le stoffe della madre che diventano teli stesi in spiaggia.
Ne viene fuori il disegno di un artista attento anche alla lettura che il pubblico dei più piccoli faceva del mondo e delle sue opere: se nella sua abitazione non mancavano disegni di figli e nipoti appesi alle pareti, in mostra una fotografia dei lavori di bimbi parigini a metà anni Novanta dopo la visione dei suoi paesaggi, testimonia, teneramente, quanto Giacomelli fosse interessato alla visione e alla creatività dei bambini.
E sul coperchio di una scatola, contenete provini di riproduzioni fotografiche dei suoi dipinti, si legge il senso del suo lavoro: «foto (malfatte) dei miei inseparabili lavori che altri chiamano pittura ma che invece sono solo voglia di vivere di amare di godere oltre le cose perché tutto sia vita».
Mario Giacomelli, tra fotografia e pittura, a cura di Irene Caravita in collaborazione con Archivio Mario Giacomelli
MLAC – Museo Laboratorio presso Università La Sapienza, fino al 14 Aprile, 2022
immagini: (cover 1) Mario Giacomelli, «Senza titolo», 1978, tempera, transfer di legni, tecnica mista su carta,69,2/69,4×99,2 cm, ph. Alberto C. Macchi, Courtesy Archivio Mario Giacomelli (2) Mario Giacomelli, «Presa di coscienza sulla natura», 1976-anni ’80, Fotografia Gelatin Silver Print, 30x40cm, Courtesy Archivio Mario Giacomelli (3) «Mario Giacomelli pittore», Edizioni Campisano 2022, cover (4) Mario Giacomelli, opera pittorica 1978, tempera, matita, pastelli a olio, tecnica mista e collage di stoffe su cartone intelato, 49,7×70 cm, Courtesy Archivio Mario Giacomelli (5) Mario Giacomelli, «Astratte, anni ’90», Fotografia Gelatin Silver Print, 30x40cm, Courtesy Archivio Mario Giacomelli