Memestetica. Il settembre eterno dell’arte (Nero Editions) è il viaggio di Valentina Tanni nel mondo delle immagini al tempo di internet, al crocevia tra cultura popolare e arte, tra presente e passato, «da Duchamp a Tik Tok»
Eternal September (il settembre eterno), evocato nel sottotitolo, è un’espressione gergale utilizzata da Dave Fisher nel 1993 in riferimento all’afflusso crescente della piattaforma Usenet, una rete americana nata negli anni ’80, da quando la compagnia telefonica American On Line l’aveva resa accessibile a titolo gratuito. Il numero di utenti sarebbe stato destinato a moltiplicarsi esponenzialmente. Il suo utilizzo presso le università americane, faceva sì che a settembre, con l’avvio dell’anno accademico, accogliesse un grandissimo numero di nuovi utenti.
Eternal September è anche l’aneddoto da dove parte una vera e propria navigazione nel mondo delle immagini, della loro circolazione, del loro configurarsi e riconfigurarsi nella storia dell’arte, ma anche in icone della cultura popolare, del loro impatto rivoluzionario su economia, industria, cultura. Tutto parte dall’accesso, dalla possibilità crescente di creare contenuti, di diventare prosumers, come Alvin Toffler definiva negli anni ’60 la figura del creatore-consumatore.
Dieci anni di ricerca e di osservazione sulle immagini, del loro generarsi e agire negli usi e costumi sociali, del loro entrare, uscire, indugiare alla soglia del sistema dell’arte, che a volte li snobba, a volte li glorifica. Sono fenomeni recenti, difficili da catturare e metabolizzare per la stessa velocità con la quale nascono, vivono, circolano in quel ‘brodo di cultura privilegiato’ che è internet. Non diciamo scompaiono perché quello è argomento ancora scottante, semmai saltano di contesto in contesto, lasciano che il loro significato originario si perda nella scia delle sue continue trasformazioni.
Il saggio cavalca l’impulso creativo di una cultura dal basso che cresce esponenzialmente, mentre il sistema dell’arte si mostra sempre più propenso a stringere alleanze con la grande industria. Il racconto si avventura in un percorso fatto di continui intrecci, conflitti, un mondo che si è vorticosamente confuso in quello dell’immagine e del potere della sua circolazione. Uno sguardo che parte da un occhio formato sulla critica d’arte e che stabilisce i punti di incontro e di scontro con l’arte, in relazione a ciò che la cultura popolare deve rispetto ai suoi antenati delle avanguardie, rispetto all’appropriazione, modifica e ri-contestualizzazione delle immagini, quelle dell’arte riprese dalla cultura popolare, quelle che il pubblico rimescola e nel brodo primordiale di internet.
La fotografia diventa il gatto di Schrödinger (nel medesimo istante è viva e morta); la gif si prepara a diventare ‘terra di mezzo’; la performance diventa “pratica espressiva definitivamente liberata, che cresce e muta in mano alle persone, al di fuori del mondo dell’arte, trasformandosi in un vero linguaggio.”(p.142)… Il libro attraversa vari scenari, e ne mette in evidenza alcuni rovesciamenti di canone, anche questi non nuovi nella storia delle avanguardie: irriverenza, rilancio, brutalità, immagini spesso low tech diventano la gloria di qualcosa che oscilla tra istinto e lucido impiego dell’immagine… non importa perché tutto funziona nel suo ‘circolazionalismo’. Il fallimento diventa epico, il brutto celebrato. Tutto emerge sullo sfondo della memetica suggerita dal titolo, Memestetica, che dal meme biologico trasferisce le sue proprietà virali e di attecchimento nel mondo delle immagini circolanti, tanto da diventare parametro estetico.
La produzione di immagini è una ‘necessità biologica’. Lo diceva Aby Warburg in uno scritto del 1923 per descrivere il mondo delle immagini come «un territorio a metà ‘tra la religione e l’arte’, sottolineandone il carattere archetipico ed emotivo» (p. 203) La citazione arriva sul finale di lettura e rivela l’ispirazione di tutto il saggio. Percorsi tra i più vari, intrecci, diversità di culture e di approcci, ripiegamenti, sembrano scorrere in maniera molto lineare per quanto accelerata, come guardando fuori da un finestrino in un viaggio che permette di voltare lo sguardo a 360 gradi, di guardare le immagini da tutte le sue angolazioni, dall’intimità del quotidiano vivere, all’arte, all’economia. Ecco che si arriva al post internet, termine introdotto e dibattuto da un gruppo di artisti digitali per indicare un approccio creativo immerso in internet con la piena consapevolezza di esserlo.
Con la storicizzazione dei fenomeni della cultura popolare che questo saggio comporta, si spegne quell’aura, per quanto discussa, del post internet come genere perché «il post-internet è una condizione culturale generale dalla quale è impossibile tornare indietro. Una condizione che non si esaurisce nella diffusione di un’estetica fatta di pixel, gradienti, loghi social e template memetici, ma che ci mette di fronte a un sistema di produzione e diffusione della cultura radicalmente diverso. Non possiamo continuare a navigare sulla superficie e rigettare tutto il resto, perché il settembre eterno è la nostra nuova realtà.» Allora riconosciamo che questo mondo di immagini e l’epoca post internet o after the internet, o come la vogliamo chiamare, è proprio la nostra. Per un momento, la abbiamo attraversata in un percorso guidato vedendola dall’esterno.
Valentina Tanni, Memestetica. Il settembre eterno dell’arte, Nero Edizioni 2020
immagini: (cover 1)Memestetica-cover (2) Mark McEvoy, «New Lyrics for Old Songs», 2013. Courtesy dell’artista (3) Eric Fleischauer, «Universal Paramount», 2010. Courtesy dell’artista (4) Christo e Supermario, immagine trovata (5) Aaron Graham, «Hair Straightener Used to Cook Individual Piece of Bacon», 2012. Courtesy dell’artista (6) Clusterduck Collective, «Il Quinto Stato», 2018. Courtesy degli artisti