Space: that which is not looked at throughout a key hole, not throughout an open door. Space does not exhist for the eye only: it is not a picture; one wants to live in it. (El Lissitzky, 1923)
Viviamo tempi e spazi frammentati, liquefatti in un presente permanente, consolidati in pensieri e condizioni schizofreniche. L’arte è più inquieta che mai, si espande fuori dalle istituzioni (in termini fisici ma anche temporali), a volte esce fuori dallo spazio stesso, si astrae nella sua natura effimera e mentale, così come mentale è la nostra esistenza che corre tra gli spazi invisibili dell’informazione.
Inquieti sono anche i lavori e la ricerca di Paolo Chiasera come il suo Secondo Stile, tela nomade e spazio espositivo creato nel 2013 nel nome dell’antico stile illusionistico dei Romani con cui estendere lo spazio oltre le mura e attraverso l’illusione pittorica. In queste settimane ospite attivo di Cura.basement a Roma, attorno a questo spazio scenografico si è generata la mostra collettiva Anagramma. Battezzata URMUTTER, l’opera di Chiasera è composta dall’intersezione di tre tele, troemp l’oeil raffiguranti l’interno di una sala da bagno per uomini, dove si estende lo spazio della galleria, oltre il muro di una delle sue sale espositive. Un altro dipinto di dimensioni ridotte, MOTT, funziona da gemello di URMUTTER e si pone come elemento nomade funziona da solo e non nella relazione con il resto.
La tela dipinta diventa dispositivo espositivo nomade, spazio da arrotolare, da spostare, da mettere in funzione attraverso una serie di relazioni attivate dalla presenza delle altre opere, degli artisti, dei curatori, di tutti coloro che lo abitano temporaneamente. Con URMUTTER si confrontano i lavori Marlie Mul, Michael E. Smith, Bunny Rogers, Marguerite Humeau, Anna-Sophie Berger –integrati e mimetizzati nello spazio come oggetti che vivono nella loro naturale funzione: la vasca da bagno di Michael E. Smith; le grate per l’aria di Marlie Mul; lo scopettone appoggiato alla parete di Bunny Rogers; gli accappatoi di Anna Sophie Berger; un suono a filodiffusione di Marguerite Humeau.
Anagramma, titolo della mostra, è infatti il popolare gioco linguistico, trasposizione di lettere e sillabe di una parola o una frase in modo da comporne un’altra con senso differente. Il gioco anagrammatico si muove qui nella dimensione mentale estendendosi nello spazio e nel tempo per stimolare suggestioni su temi quali identità/alterità, nomadismo/stanzialità, spazio/pittura, opera/oggetto.
Lo spazio da bagno riprodotto e il titolo sono un esplicito riferimento a Marcel Duchamp, e in particolare al suo popolare ready-made, Fontana (1917), firmato con lo pseudonimo R. Mutt, la marca dell’oggetto eletto ad opera d’arte. Il riferimento è soprattutto indirizzato a tutto ciò che attorno a questo lavoro ha ruotato in termini di crisi dello spazio istituzionale, quella che, per iniziare, aveva innescato il posizionamento [rovesciato] di questo oggetto nel luogo sacro tanto da aver messo in crisi addirittura il Salon de Refusè a cui era stato destinato per il suo debutto, prima di attraversare le mura istituzionali e di essere consacrato per l’eternità.
Anche Duchamp aveva creato un suo spazio nomade con la sua serie di opere Boîte-en-valise (1930 – 40), valigie museo contenenti riproduzioni dei suoi lavori più importanti. Lo stesso stimolo aveva stuzzicato la creatività di diversi artisti delle avanguardie e neo-avanguardie. Basti pensare a Robert Filliou che aveva trasformato un cappello nella sua Galerie Légitime (1962-63) dove presentare i suoi lavori ai passanti in strada o nelle case. Lo ha ricordato anche la critica d’arte Cecilia Canziani nel suo incontro che, con Antonio Grulli, ha aperto la mostra, ospitati nella scenografia di Chiasera, coinvolti anche loro in un confronto con il lavoro anche fisico (se consideriamo il disagio di parlare di questioni istituzionali all’interno di un bagno per uomini). Tornando un’altra volta indietro nel tempo, all’alba degli anni Venti del XX secolo, pensiamo all’artista russo El Lissitzky che iniziava a ragionare di spazio con la pittura, ad esprimersi creativamente nella sintesi dell’opera con il disegno espositivo.
Siamo andati avanti e indietro nel tempo non tanto per creare antecedenti e parallelismi con la storia, né per elencarli tutti. Piuttosto, per ritrovare la continuità di un pensiero che con Chiasera prosegue nel post-digitale, una dimensione spazio – temporale frammentata e fatta di continui spostamenti e ri-posizionamenti di significanti e significati, a cui arriva per vie analogiche.
L’intenzione –sostiene Chiasera– di attivare un contro-discorso nella forma di una definizione sostenibile di uno spazio espositivo, approfittando delle qualità nomadiche della tela portabile per esplorare i confini della collaborazione attraverso l’idea della fluidità, indipendenza e architettura mobile[1]. L’innescarsi di processi collaborativi relazionali si presta, quindi, a continui slittamenti [simultanei] di verità e significati.
La pittura può quindi diventare un dispositivo architettonico mobile, distaccarsi dalla sua staticità bidimensionale, diventare nomade, attraversare il tempo, innescare una catena di relazioni e associazioni con il contesto, confluire in un esercizio linguistico. Tutto questo si pone come la dimensione analogica di un’interfaccia, un termine così comune nel linguaggio informatico funzionale a definire “uno spazio liminale che mette in relazione dimensioni diverse attivando processi di relazione”. Così Second Stile di Chiasera – per come anche lui lo definisce nel suo ironico Tutorial per Dummies – crea l’interfaccia per connettere agents, lavori, e audience, espandere esperienze, pre-settare formati soggettivi e produttivi[1].
Lo spazio nomade di Chiasera si presenta come istituzione e nel suo caso coincide con uno spazio di inquietudine, una condizione ideale per creare un discorso dialettico, quella che il critico Antonio Grulli si augura torni a rivitalizzare i musei contemporanei, per come si è espresso nel suo discorso da Cura.basement e nel suo Manifesto formulato qualche tempo prima per essere indirizzato ad una serie di rappresentativi istituzionali ad un Forum organizzato dal Museo Pecci di Prato. All’attivazione del discorso dialettico arriva anche Cecilia Canziani a conclusione del suo intervento dove la lettura del lavoro ha compreso un gioco linguistico di associazioni e relazioni con altri lavori nella storia. Tocca ora a voi immergervi nello spazio, prestarvi al gioco, e trarne le conclusioni.
A N A G R A M MA, group show curated by CURA. in dialogue with Paolo Chiasera with works by Anna-Sophie Berger, Paolo Chiasera, Marguerite Humeau, Marlie Mul, Michael E. Smith, Bunny Rogers, Cura.basement, Roma, fino al 30.11.2015
Immagini
(cover 1-2-4) Paolo Chiasera, URMUTTER, Anagramma, installation view, Cura.basement, Roma, photo by Roberto Apa (3) Marlie Mul in URMUTTER, Anagramma, installation view, Cura.basement, Roma, photo by Roberto Apa
[1] dal testo originale inglese, statement su Second Stile, di Paolo Chiasera: intend to activate a counter-discourse in the form of sustainable definition of an exhibition space, taking advantage of the nomadic qualities of the portable canvas to explore the boundaries of collaboration through ideas of fluidity, independency and architectural mobility).
[2] Second stile creates the interface connecting agents, works, and audiences, expanding experiences, overflowing preset subjective and productive formats “.(Chiasera nel suo Tutorial for Dummies, vol. 2 Second Stile).