Che ne è della pittura nella realtà mediatizzata che stiamo vivendo? Siamo destinati a veder tramontare i media artistici tradizionali, inghiottiti dal digitale, o forse la tecnologia può essere utilizzata per reinventarli? Quest’ultima sembra l’ipotesi suggerita dai lavori di Andrea Aquilanti (Roma 1960), installazioni in cui il disegno e la pittura si combinano con l’immaterialità della videoproiezione.
Già dall’inizio degli anni Novanta, prima ancora di approdare all’uso della fotografia e poi del video, Aquilanti ha concepito i suoi lavori a partire dal luogo per cui essi venivano realizzati. La relazione con lo spazio e con lo spettatore che lo abita, la riflessione sulla rappresentazione e sull’instabilità della percezione sono i temi di cui si nutre la sua ricerca. La pratica pittorica diventa un’operazione concettuale che, a dispetto del ricorso a soggetti tradizionali, muove più dall’esigenza di analizzare gli elementi costituitivi delle immagini e dei media da cui esse sono prodotte, piuttosto che da finalità meramente rappresentative. Per questo motivo, fin dalla seconda metà degli anni Novanta, la pittura si sovrappone alla stampa fotografica e poi alla proiezione video, creando una stratificazione che è tuttora tipica delle opere di Aquilanti.
Un passaggio significativo, specie nella riflessione sul coinvolgimento dello spettatore, è nell’uso della proiezione che rende le sue videoinstallazioni delle opere aperte, modificabili da chiunque faccia il suo ingresso nel sistema progettato dall’artista. Contrariamente a un dipinto, la proiezione è un’immagine immateriale ed evanescente, che può essere cancellata da chi si pone davanti al proiettore, svelando con la sua ombra la superficie del muro e il disegno fatto dall’artista, come accadeva già nel 1999 con Voliera (Museo Laboratorio di Arte Contemporanea, Sapienza Università di Roma).
La tradizione artistica rivive nelle opere di Aquilanti anche nel frequente riferimento al genere pittorico del paesaggio, spesso catturato dall’obiettivo di una telecamera puntata sullo spazio esterno e restituito in diretta tramite una proiezione. L’espediente del circuito chiuso, cui Aquilanti spesso ricorre, crea delle immagini instabili, in continua variazione. È il caso di Né in cielo né in terra (2006), dove sul soffitto della Biblioteca degli Incontri Internazionali d’Arte veniva proiettata una veduta panoramica di Roma ripresa in diretta dal soffitto di Palazzo Taverna. I cambiamenti della realtà esterna si sovrapponevano a un dipinto a 360°, creando un dialogo tra due immagini di diversa natura. Il riferimento al panorama ottocentesco tornerà anche nella mostra Ipotesi per quel che la pittura non dice (NOTgallery, Napoli 2009), titolo singolare che suggerisce evidentemente la necessità di andare oltre i confini della pittura, proponendo un’ipotesi di interazione tra realtà e sua rappresentazione. Attraverso il software Lucid Viewer, il paesaggio esterno era catturato contemporaneamente da più punti di vista, ottenendo una ripresa a 360° che veniva poi rielaborata pittoricamente. Si tratta di un chiaro esempio di come la tecnologia trasformi non solo la manualità e la materialità della pittura, ma anche la rappresentazione dello spazio, dovuta a un’ottica diversa da quella umana e quindi distante dalla prospettiva monoculare. Anche l’esperienza della pittura si modificava, diventando più immersiva perché quegli stessi dipinti venivano fotografati e inseriti nel software in modo che con l’uso di un mouse si potesse navigare al loro interno.
A dire il vero, questo lavoro è un unicum nella produzione di Aquilanti che preferisce invece un uso della tecnologia lontano da complesse sofisticazioni. L’interazione cui egli punta è infatti distante dagli effetti della realtà virtuale e si basa su un gioco di sovrapposizioni di immagini, diventando più esplicita laddove c’è una telecamera puntata sullo spettatore. È quanto accadeva in occasione della mostra Post Classici negli spazi del Foro Romano, dove Aquilanti ha sovrapposto alla proiezione delle Carceri piranesiane l’immagine in diretta dei visitatori (Carceri Visionarie, 2013). Secondo una logica simile, che chiama lo spettatore a far parte dell’opera, anche alla Biennale di Venezia del 2015 ci si poteva osservare al di sopra di un’incisione di Piranesi. Il gioco di sottili stratificazioni era qui accentuato dalla presenza della pittura, una membrana sottile che emergeva sul muro quando un’ombra cancellava la proiezione.
Questi esempi dimostrano come il lavoro di Aquilanti si nutra del confronto con il passato, attraverso una citazione che reinterpreta, ricolloca e riattualizza il brano storico. Nello stesso periodo di Post-Classici, l’artista lavorava a Veduta di Roma Moderna (De Crescenzo & Viesti Galleria d’Arte Contemporanea, Roma) dove la sua predilezione per il genere del paesaggio e per gli incastri di immagini, che creano l’effetto “quadro nel quadro”, era resa esplicita dal riferimento a un pittore come Pannini, conosciuto prevalentemente per questi temi.
Curiosamente Aquilanti si è di recente confrontato con un’opera della storia dell’arte che supera la bidimensionalità della pittura. Si tratta di Rivedere Eracle e il toro di Creta (2016) realizzata per la mostra Confluenze. Antico e Contemporaneo (a cura di Nicoletta Cardano e Francesca Gallo), una revisione, come recita il titolo dell’opera, di uno dei numerosi gessi del Museo dell’Arte Classica della Sapienza di Roma.
La videoinstallazione, in mostra fino al 18 giugno, consiste in un sistema a circuito chiuso: una telecamera è puntata su una tela dai colori accesi e un proiettore rimanda quest’immagine sull’altorilievo, donandogli gli stessi colori, anche se più tenui. La tecnologia ha trasformato anche il procedimento di realizzazione perché l’oggetto che l’artista guardava mentre dipingeva non era la tela, ma il rilievo esposto sulla parete adiacente. La telecamera usata in fase di realizzazione continua inoltre a essere puntata sul dipinto, riprendendo chiunque ci passi davanti e rinviando la sua immagine sul rilievo di Eracle. Secondo il consueto gioco basato sull’instabilità delle immagini, lo spettatore modifica l’opera entrandoci dentro oppure, oscurando con la sua ombra la proiezione, può scoprire il reale candore del gesso. Questa colorazione tramite proiezione ci ricorda indubbiamente l’uso del colore nell’arte classica, cancellato dal tempo, ma è anche un’operazione che mostra una certa leggerezza. È la leggerezza di interpretare in modo creativo un rilievo classico, ma anche la leggerezza di un’operazione discreta che riveste con un’immagine immateriale l’altorilievo: la proiezione è impalpabile e colora il gesso senza sfiorarlo.
La video installazione di Andrea Aquilanti, Rivedere Eracle e il toro di Creta (2016), creata come site specific per la mostra «Confluenze. Antico e Contemporaneo», a cura di Nicoletta Cardano e Francesca Gallo, è visibile presso il Museo di Arte Classica presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università La Sapienza di Roma.
immagini (cover 1 – 5) Andrea Aquilanti, Rivedere Eracle e il toro di Creta, 2016, videoproiezione site specific, tela dipinta, telecamera e proiettore. Ph. Valeria Tempesta (2) Andrea Aquilanti, Voliera, Museo Laboratorio (MLAC) Sapienza, Università di Roma, ombra e disegno su muro, dimensioni ambientali, 1999 (3) Andrea Aquilanti, Le Stanze, Galleria Ciocca Arte Contemporanea(MI), video-proiezione in diretta, disegno su muro, dimensioni ambientali. 2010 (4) Andrea Aquilanti, Vedute di Roma Moderna, Galleria De Crescenzo e Viesti (RM), video-proiezione su muro con inserti dipinti, dimensioni ambientali, 2013